Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27667 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25942/2013 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE ***** DI NUORO, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA RUSSO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO MOCCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO PIRAS, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 365/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 14/11/2012 r.g.n. 7/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA SERRETI per delega verbale Avvocato ANTONIO PIRAS.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari – ha respinto, con sentenza n. 365/2012, l’appelloproposto dall’Azienda Sanitaria Locale n. ***** di Nuoro (ASL) avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso di C.M., dirigente sanitario non medico e aveva riconosciuto il diritto del medesimo alla retribuzione di posizione variabile nella misura prevista in base alla Delib. n. 2077 del 2002 e Delib. n. 2914 del 2002, con disapplicazione della Delib. n. 2448 del 2004 e Delib. n. 2790 del 2004, con cui quelle precedentemente assunte erano state modificate con efficacia retroattiva.

2. La Corte territoriale ha premesso che con le predette successive deliberazioni la quota variabile era stata rideterminata e ridotta da Lire 22.000.000, dapprima a Lire 3.960,000 e poi a Lire 9.000.000 (negli atti di parte importi diversamente indicati in Euro 22.000,00, Euro 3.960,00 ed Euro 9.000,00) e l’azienda aveva preteso di applicare la riduzione anche al passato.

3. Il giudice di appello, evidenziata la natura negoziale della determinazione della indennità, ha rilevato che la ASL poteva procedere alla modifica unilaterale dell’obbligazione assunta solo dimostrando che vi era stata violazione di legge al momento dell’originaria quantificazione della parte variabile della retribuzione di posizione, in quanto in ipotesi determinata in misura non rispettosa dei limiti minimi e massimi previsti dalla contrattazione collettiva.

4. Ha aggiunto che a tal fine non era sufficiente affermare l’incapienza del fondo destinato a tali retribuzioni, tra l’altro non dimostrata, dovendo invece l’azienda provare che l’asserita indisponibilità delle risorse derivava dall’applicazione dei criteri per la formazione del fondo previsti dalle parti collettive e non, ad esempio, ad un diverso impiego delle risorse stesse.

5. Ha rilevato, inoltre, che l’indennità di posizione deve essere corrisposta anche nella parte variabile perchè l’obbligo deriva dalla contrattazione collettiva ed ha aggiunto, infine, che la ASL non poteva invocare la presunzione di legittimità delle delibere assunte dal direttore generale, in quanto le stesse si ponevano le une in contrasto con le altre, assumendo presupposti fattuali contrastanti.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Sanitaria Locale n. ***** di Nuoro sulla base di cinque motivi ai quali hanno resistito i dirigenti indicati in epigrafe con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 Cost., in relazione all’art. 26, n. 4 e art. 40, n. 6 del C.C.N.L. dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa del Servizio Sanitario Nazionale ed in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3”.

1.1. Premesso che il contratto collettivo stabilisce direttamente la sola componente fissa della retribuzione di posizione mentre riserva alla competenza delle singole aziende, in relazione alle risorse disponibili nell’apposito fondo, la determinazione della componente variabile, rileva l’Azienda che la graduazione delle funzioni è atto autoritativo sottratto alla fonte pattizia e la quantificazione del fondo non è libera, ma vincolata dai parametri individuati dall’art. 58, commi 2 e 3, del C.C.N.L. 1994/1997, sicchè il valore economico della singola posizione dipende da due distinti fattori, ossia dall’entità del fondo da ripartire e dal peso attribuito a ciascuna posizione.

1.2. Gli atti adottati dal Direttore Generale erano, dunque, doverosi perchè facevano riferimento all’insufficienza del fondo derivata dalla necessità di dover tener conto dell’interpretazione autentica data dalle parti collettive all’art. 55, comma 3, del C.C.N.L. 5 dicembre 1996, con la quale era stato chiarito che occorre considerare solo le risorse residue, una volta detratto l’ammontare delle voci fisse gravanti sullo stesso fondo.

1.3. Aggiunge la ASL che ben poteva il Direttore Generale esercitare i poteri di autotutela e precisa, infine, che gli originari ricorrenti non avevano contestato le ragioni per le quali si era resa necessaria la rideterminazione ma avevano solo asserito che la riduzione non poteva operare per il passato.

2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del C.C.N.L. dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa del S.S.N., in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3” perchè, una volta esclusa la natura autoritativa delle Delib. direttoriali, andava applicata la procedura prevista per la contrattazione collettiva integrativa, non rispettata nella fattispecie, con conseguente nullità degli atti.

3. Con la terza critica l’Azienda denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di “omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 26, n. 4 e art. 40, n. 6 del C.C.N.L. dell’area della dirigenza sanitaria professionale tecnica ed amministrativa del Servizio Sanitario Nazionale” perchè la Corte territoriale, nel respingere nella sua interezza l’impugnazione, non ha indicato le ragioni per le quali doveva ritenersi infondato anche il motivo di appello teso a dimostrare che con la Delib. n. 2077 del 2002, era stata quantificata la complessiva retribuzione di posizione e non la sola quota variabile.

4. Il vizio motivazionale è denunciato anche con il quarto motivo con il quale si sostiene che, tenuto conto della presunzione di legittimità che assiste gli atti di graduazione delle funzioni, sarebbe stato onere degli originari ricorrenti dimostrare che il fondo era stato erroneamente determinato.

4.1. L’azienda aggiunge che i dirigenti avevano censurato l’operato dell’amministrazione senza contestare i criteri in base ai quali il fondo era stato quantificato, sicchè nessun onere probatorio poteva gravare sulla ASL in quanto, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., i ricorrenti erano tenuti ad individuare gli errori e le omissioni dell’Amministrazione.

5. Con l’ultima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è denunciata la violazione dell’art. 50 e art. 40, n. 6 del C.C.N.L. per l’Area della dirigenza non medica del SSN e si sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale ha errato nell’affermare che la retribuzione di posizione nella sua parte variabile deve essere corrisposta anche a prescindere dalle risorse disponibili.

5.1. Al contrario tutte le disposizioni contrattuali, richiamate nel motivo, collegano la graduazione delle funzioni alla disponibilità dell’apposito fondo e si giustificano in quanto il datore di lavoro pubblico non può erogare trattamenti retributivi se non nei limiti previsti dalla contrattazione nazionale e da quella integrativa che, a sua volta, non può porsi in contrasto con il livello contrattuale superiore nè comportare oneri economici non previsti nella programmazione annuale pluriennale di ciascun amministrazione.

6. E’ infondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla difesa dei controricorrenti i quali hanno fatto leva sul mancato deposito del C.C.N.L. 5.12.1996 per la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del comparto sanità.

6.1. L’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è applicabile al contratto collettivo nazionale disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, “atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice era già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8” (Cass., S.U., 4 novembre 2009, n. 23329).

7. E’, invece, fondata l’eccezione di inammissibilità, perchè i motivi di ricorso sono formulati senza il necessario rispetto dell’onere di specificazione di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.

7.1. Infatti, pur indicando le delibere sulle quali essa incentra i vari motivi, la ricorrente non ne riproduce il tenore testuale, in quanto nella esposizione sommaria dei fatti di causa, essa ha solo riassunto i termini della vicenda sostanziale e processuale e nel corpo dei motivi ha indicato i documenti rilevanti e la sede della loro produzione, ma ha omesso di trascrivere il contenuto degli atti deliberativi sui quali le censure risultano fondate. Tutto ciò non consente quindi di apprezzare, già sulla base dell’argomentare del ricorso, la pertinenza e decisività delle censure rispetto a quanto contenuto negli atti in questione. Si determina quindi un difetto di specificità dei motivi, sotto il profilo dell’autosufficienza intesa come compiutezza espositiva (Cass. 7 marzo 2018, n. 5478; Cass. 28 giugno 2017, n. 16147).

7.2 I principi sopra esposti valgono peraltro anche rispetto alla deduzione di un error in procedendo perchè l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità del motivo e, quindi, la trascrizione nel ricorso delle parti rilevanti degli atti processuali, che non possono essere richiamati solo genericamente (Cass. 8.6.2016, n. 11738). Ed in proposito la ricorrente ha omesso di riportare le parti rilevanti degli atti introduttivi e di difesa del giudizio di primo grado, indispensabili ai fini della valutazione sulla sussistenza o meno della denunciata (v., ad es., quanto riepilogato supra, punti 1.3 e 4.1) violazione del principio di non contestazione.

8. Alle considerazioni che precedono si deve aggiungere che la sentenza impugnata è fondata sul convergere di più rationes decidendi consistenti non solo nell’assunto in ordine alla mancata prova dell’incapienza del fondo o nell’irrilevanza, parimenti affermata, di tale incapienza, a fronte di diritti comunque riconosciuti, ma anche nell’affermazione secondo cui le produzioni della ASL sarebbero “tutte fumose e non danno mai conto di un percorso logico seguito” sicchè non risultava possibile affermare “che il fondo era non capiente”. In sostanza qui la Corte argomenta in concreto in ordine all’inidoneità delle produzioni a far constare l’incapienza del fondo, sicchè le censure motivazionali svolte comporterebbero la richiesta di riesame di una chiara valutazione di merito, il che è palesemente impossibile che possa avvenire senza la riproduzione delle delibere di annullamento e dei documenti sottoposti all’esame della Corte territoriale. Sicchè tale ratio decidendi è comunque destinata a resistere, il che rende superflua ogni critica mossa rispetto agli altri fondamenti motivazionali.

9. Si aggiunga infine che l’omessa pronuncia su uno dei motivi di appello, della quale la ricorrente si duole con il terzo motivo, è denunciata erroneamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e senza fare riferimento alcuno all’art. 112 c.p.c., ed alla nullità della sentenza impugnata, eventualmente derivata dalla violazione del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

9.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno tuttavia affermato che “nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931).

10. In via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’azienda ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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