LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3702/2017 proposto da:
K.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Mangino Mario, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
– intimati –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 15/06/2016;
e sul ricorso 4549/2017 proposto da:
K.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Mangino Mario, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, del 12/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/06/2018 dal cons. ACIERNO MARIA dei due ricorsi;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per la cessazione della materia del contendere;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Ornella Fiore, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il cittadino ceceno K.M. è stato oggetto di un provvedimento di revoca della protezione sussidiaria ad esso precedentemente riconosciuta, da parte della Commissione Nazionale per il diritto d’asilo perchè è stato ritenuto che lo stesso potesse costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato. In virtù di tale decisione ne è stata disposta l’espulsione ed il trattenimento, con provvedimento regolarmente convalidato, presso un centro di identificazione ed espulsione.
All’esito di ricorso proposto davanti alla Corte Europea dei diritti umani, ed in pendenza dello stesso, il governo italiano in applicazione dell’art. 39, del regolamento della Corte, è stato invitato a non eseguire l’espulsione in virtù del principio di non refoulement. Il trattenimento è stato di conseguenza annullato ed al suo posto il Questore ha adottato le misure alternative D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 1 bis. Il provvedimento del questore è stato convalidato dal tribunale di Torino ed avverso la convalida è stato proposto ricorso per cassazione (R.G. 3702 del 2017). Il Tribunale di Torino ha, inoltre, rigettato la successiva istanza di revoca delle predette misure, proposta dopo il provvedimento di convalida. Anche avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione (R.G.4549 del 2017).
Il ricorso recante il numero di R.G. n. 3702 del 2017, avviato alla trattazione camerale presso la sesta sezione civile è stato dal Collegio rimesso alla pubblica udienza. In relazione all’altro ricorso (R.G. 4549 del 2017) è stata disposta direttamente la trattazione in pubblica udienza. In entrambi ha resistito il Ministero dell’Interno con controricorso e la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. E’ stata, infine, prospettata dalla parte ricorrente l’opportunità di riunire i due ricorsi in quanto aventi oggetto analogo e pendenti tra le stesse parti. Il Collegio ha ritenuto che i due ricorsi debbano essere trattati unitariamente previa riunione del ricorso recante il n. 3702 del 2017 a quello recante il n. 4549 del 2017.
Il Tribunale di Torino, nel provvedimento avente ad oggetto la convalida delle misure alternative al trattenimento, adottate dal Questore, ha rilevato che la sospensione dell’efficacia del provvedimento di revoca della protezione sussidiaria non determina l’inesistenza del provvedimento espulsivo. Ne consegue che possono essere legittimamente disposte le predette misure alternative dal momento che non contrastano con il principio di non refoulement indicato dalla CEDU, alla luce del quale non deve essere concesso per forza l’asilo al richiedente ma solo evitare che nel suo paese sia sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Peraltro, ha sottolineato il tribunale, il cittadino straniero avrebbe dichiarato la propria disponibilità ad ottemperare alle misure alternative disposte. Il medesimo tribunale, in relazione alla richiesta di revoca del provvedimento di convalida dell’adozione di misure alternative al trattenimento disposte dal Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 1 bis, a carico del cittadino ceceno K.M. ha affermato la legittimità del provvedimento adottato in quanto giustificato da esigenze primarie di pubblica sicurezza, aggiungendo che non sussiste alcuna incompatibilità tra il provvedimento di espulsione amministrativa e la misura di prevenzione della sorveglianza speciale essendo comune la finalità di pubblica sicurezza.
Prima di esaminare analiticamente i motivi prospettati dal ricorrente in entrambi i ricorsi si deve rilevare che nelle memorie depositate ex art. 378 c.p.c., la parte ricorrente ha evidenziato che in data 19/9/2017 il tribunale di Torino ha accolto il ricorso proposto da K.M., confermando l’esistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ed escludendo la pericolosità per la sicurezza dello Stato in relazione al soggiorno del richiedente nel nostro territorio. A tale decisione è seguito l’annullamento del decreto di espulsione con ordinanza del giudice di pace del 24/10/2017. In data 8/2/2018 la Corte EDU ha disposto la cancellazione della causa dal ruolo ritenendo non più attuale il rischio di allontanamento del ricorrente atteso l’esito favorevole delle due impugnazioni sopra illustrate, pur affermando di essere pronta ad intervenire anche ex art. 39, del proprio regolamento qualora l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino con la quale sono stati riconosciuti i presupposti della protezione sussidiaria avesse trovato accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’esposizione dei motivi verrà effettuata separatamente per ciascuno dei ricorsi.
In ordine al ricorso n. 3702 del 2017, nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14,comma 1 bis, per non essere stata dichiarata l’illegittimità del provvedimento convalidato in quanto fondato su una causa espulsiva (lettera c) art. 13) che non consente ex lege l’adozione di queste misure.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 ed 1 bis, per avere il Tribunale fondato la convalida del provvedimento del questore sulla differenza dei presupposti legittimanti l’adozione del trattenimento nel C.I.E. da quelli riguardanti le misure alternative al trattenimento previste dall’art. 14, comma 1 bis. Secondo la parte ricorrente, per entrambi, il fondamento è un provvedimento espulsivo valido ed efficace. Nella specie difetta il presupposto per le misure attuative di qualsiasi tipo. In ordine al ricorso recante il numero di R.G. n. 4549 del 2017, il primo motivo ha contenuto identico a quello già illustrato in relazione all’altro ricorso.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 e comma 1 bis, e art. 15 della Direttiva 2008/115/CE per avere il Tribunale ritenuto sufficiente, al fine di conservare la validità e l’efficacia delle misure contestate, la mera esistenza del provvedimento espulsivo pur essendo sospesa l’efficacia esecutiva del provvedimento (la revoca della protezione sussidiaria) che costituiva la condizione legittimante l’espulsione, senza rilevare che tale provvedimento aveva perso efficacia.
Preliminarmente deve ritenersi validamente instaurato il contraddittorio nel presente giudizio mediante notifica di entrambi i ricorsi al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura generale dello Stato, costituitasi senza alcun rilievo attinente alla propria legittimazione.
Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 bis, aveva indicato, al comma 2, nelle autorità che avevano emesso rispettivamente il decreto di espulsione e quello di trattenimento come legittimate a stare in giudizio, in primo grado anche per mezzo di propri funzionari delegati. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, tale norma è stata abrogata a partire dal 6/10/2011. Essa, di conseguenza non trova diretta applicazione nel presente giudizio introdotto successivamente alla sua abrogazione. La medesima norma, tuttavia, è stata riprodotta per l’espulsione nell’art. 18, e per la convalida del trattenimento (con applicazione estesa anche alle misure alternative dedotte nel presente giudizio) nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 19, lett. d).
Gli orientamenti di questa Corte in ordine alla corretta individuazione dell’autorità pubblica da evocare in giudizio non sono stati univoci. Il più recente, contenuto nell’ordinanza n. 28749 del 2013, individua nel Ministero dell’Interno l’autorità legittimata nel giudizio di cassazione. Tale conclusioneie da condividersi. Deve osservarsi che la legittimazione diretta degli organi periferici del Ministero, deve essere configurata come uno strumento di semplificazione della partecipazione in giudizio, in particolare nei gradi di merito, dell’Autorità statuale, in funzione della valorizzazione del principio di prossimità e di conseguente conoscenza della situazione da rappresentare e sostenere nel processo, oltre che dell’esigenza di non gravare l’Avvocatura distrettuale dello Stato della partecipazione necessaria a procedimenti che possono essere dislocati anche molto lontano dal capoluogo di regione. Si tratta pertanto di una facoltà, concessa, agli organi periferici del Ministero dell’Interno, di stare in giudizio con propri funzionari delegati ma senza escludere, da un lato, la possibilità della partecipazione dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, e dall’altro, che nel giudizio di legittimità possa essere evocato in giudizio direttamente il Ministero dell’Interno, essendo imposto ex lege, con riferimento a tale fase processuale, soltanto che la notificazione del ricorso venga effettuata presso l’Avvocatura generale dello Stato, peraltro senza che dall’errore (non commesso nel caso di specie) consegua alcun impedimento preclusivo della prosecuzione del giudizio, potendo procedersi alla rinnovazione, in funzione sanante, della notificazione. (ex multis Cass. 27767 del 2013).
In conclusione, deve escludersi, nella specie, il difetto di legittimazione passiva del Ministero evocato in giudizio e precisarsi che, anche qualora si ravvisasse erronea l’individuazione come soggetto legittimato del Ministero (o dell’organo periferico che ne costituisce articolazione organizzativa) si tratterebbe di un vizio di mera nullità senz’altro sanabile con la rinnovazione della notificazione. Tra l’organo periferico ed il Ministero, dotato ex lege di legittimazione e rappresentanza esterna, ricorre una relazione gerarchica di sotto-ordinazione che esclude comunque la ricorrenza di un effettivo errore identificativo, incidente sulla legittimazione processuale e sostanziale della parte resistente.
Deve essere affrontato, sempre in via preliminare, il profilo, della conservazione dell’interesse a ricorrere, in quanto escluso dal signor Procuratore generale nelle conclusioni assunte in pubblica udienza.
Al riguardo, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, l’interesse giuridicamente rilevante all’accertamento della legittimità od illegittimità del provvedimento di convalida del trattenimento nel C.I.E. o delle altre misure di esecuzione coattiva dell’espulsione, anche dopo la definitiva cessazione della sua efficacia, permane. Nella pronuncia n. 17407 del 2014 tale interesse è stato riconosciuto, con riferimento ad un decreto illegittimo di trattenimento presso un centro d’identificazione ed espulsione sia in relazione alla configurabilità del diritto al risarcimento del danno dovuto all’illegittima privazione della libertà sia in relazione all’interesse ad eliminare un provvedimento che pur se inefficace abbia determinato una soluzione di continuità nel riconoscimento dell’esistenza delle condizioni di legittimo soggiorno in Italia. Nella specie, pur non trattandosi di privazione integrale della libertà personale le misure poste a carico del ricorrente, costituiscono una restrizione di essa sotto il profilo della libertà di movimento e circolazione interna.
L’esame delle censure riguardanti la legittimità dei provvedimenti impugnati, deve prendere le mosse per ragioni di priorità logica dal secondo motivo di entrambi i ricorsi, assumendo come paradigma la condizione giuridica del soggiorno del ricorrente al momento dell’adozione dei provvedimenti impugnati.
Entrambi sono fondati. Le misure alternative al trattenimento indicate nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, attengono alla fase dell’esecuzione coattiva dell’espulsione amministrativa ed hanno, di conseguenza, la finalità, di garantire, mediante la graduazione della limitazione della libertà personale prevista dalla norma, l’attuazione dell’ordine di allontanamento dal territorio italiano. La convalida di esse, da parte dell’autorità giurisdizionale richiede il preventivo accertamento dell’esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva. Il sindacato del giudice della convalida è limitato all’esame delle condizioni che giustificano la misura attuativa ancorchè possa estendersi alla valutazione dell’atto presupposto (provvedimento espulsivo) solo nel caso in cui esso sia manifestamente illegittimo e lo straniero possa qualificarsi inespellibile (Cass. 24415 del 2015). Tuttavia, nella specie, l’applicazione, da parte della Corte EDU, nel giudizio pendente a Strasburgo, dell’art. 39 del proprio regolamento ha determinato con effetti vincolanti l’inefficacia dei provvedimenti di allontanamento a carico del ricorrente, ed in particolare del decreto di espulsione che costituisce il fondamento legittimante di tutte le misure attuative. L’inefficacia sopravvenuta dell’espulsione deriva a sua volta dalla mancanza, anch’essa sopravvenuta, di un provvedimento efficace di diniego (revoca) della protezione sussidiaria.
Al riguardo deve rilevarsi che le misure provvisorie che la Corte EDU può adottare ex art. 39 (c.1: “La camera o, se del caso, il presidente della sezione o un giudice di permanenza designato conformemente al paragrafo 4 del presente articolo possono, su richiesta di una parte o di ogni altra persona interessata, ovvero d’ufficio, indicare alle parti le misure provvisorie la cui adozione è ritenuta necessaria nell’interesse delle parti o del corretto svolgimento della procedura”) sono vincolanti per gli Stati (Caso Mamatkulov e Askerov c. Turchia Ricorso n. 46827/99 e 46951/99 sent. Del 4/2/2005) e vengono adottate in funzione della lesione imminente ed irreparabile di uno dei diritti fondamentali contenuti nella Convenzione. L’inosservanza di tali misure determinerebbe una violazione dell’art. 34 della Convenzione in quanto vanificherebbe il diritto di adire la Corte a tutela dei diritti fondamentali.
Nella specie, il contenuto della misura provvisoria, come già illustrato, ha avuto ad oggetto la sospensione dell’efficacia del provvedimento (o dei provvedimenti, se i singoli Stati, come il nostro, abbiano predisposto un sistema articolato) di allontanamento, in funzione dell’osservanza del principio di non refoulement. L’ordinamento italiano è caratterizzato dalla separazione tra la fase che si conclude con l’espulsione, ovvero con il provvedimento che attesta l’inesistenza delle condizioni d’ingresso e soggiorno previste dalla nostra legge e ordina l’allontanamento, e la fase di attuazione di tale provvedimento cogente. Le due fasi, ancorchè distinte, sono eziologicamente collegate dalla necessità che quella di attuazione, coattiva o volontaria, consegua ad un provvedimento dotato di efficacia esecutiva. La misura provvisoria della Corte EDU, emessa ex art. 39 del regolamento ed avente efficacia vincolante, ha sospeso tale efficacia, determinando la caducazione derivata di tutte le misure di esecuzione del provvedimento espulsivo, non soltanto di quelle caratterizzate dalla privazione integrale della libertà personale ma anche di quelle a contenuto restrittivo inferiore, in quanto anch’esse sono finalizzate esclusivamente all’allontanamento (e rimpatrio) coattivo del cittadino straniero e trovano giustificazione in un provvedimento presupposto (ordine di allontanamento, nel nostro ordinamento realizzato con il decreto di espulsione) efficace. Esse, pertanto, non possono essere sostenute soltanto da una finalità di prevenzione e di pubblica sicurezza. Qualsiasi restrizione della libertà personale deve fondarsi sugli specifici requisiti legali che la giustificano, così come stabilito nell’art. 13 Cost. Non può essere convalidato in sede giurisdizionale un provvedimento limitativo della libertà personale fuori del paradigma legale dei requisiti specifici che ne giustificano l’adozione, in funzione di un’esigenza immanente di prevenzione e di sicurezza. Questa specifica finalità può essere realizzata mediante le misure di prevenzione, le quali, tuttavia, pur avendo un contenuto in parte analogo a quelle indicate nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, possono essere disposte esclusivamente dal giudice penale all’esito di un procedimento in contraddittorio delle parti che accerti la sussistenza degli specifici requisiti contenuti nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1. L’astratta compatibilità di tali ultime misure con l’espulsione amministrativa non elimina l’esigenza che sia integralmente rispettato, sia sotto il profilo dell’autorità giurisdizionale competente, sia sotto il profilo delle garanzie processuali, sia in particolare sotto il profilo del rispetto dei requisiti specifici previsti dalla legge, il principio di legalità che ne giustifica la legittima imposizione.
In conclusione la convalida di misure alternative al trattenimento in funzione preventiva e di tutela della pubblica sicurezza, costituisce un provvedimento radicalmente illegittimo, sia in ordine alle condizioni specificamente previste dalla legge, in assenza di un provvedimento espulsivo efficace, sia in relazione al più generale parametro dell’art. 13 Cost..
La giurisprudenza di questa Corte, ha, peraltro, con orientamento del tutto costante, ritenuto l’illegittimità di misure esecutive dell’espulsione quando l’efficacia del provvedimento presupposto fosse sospesa (Cass. 11441 del 2014; 21429 del 2016).
L’accoglimento del secondo motivo di entrambi i ricorsi rende del tutto superfluo l’esame della prima censura peraltro identica nei due ricorsi.
I provvedimenti del Tribunale impugnati devono essere cassati e non essendo necessario alcun altro accertamento di fatto, deve essere dichiarata la nullità del provvedimento del Questore della Provincia di Torino n. 1082 del 14/6/2016.
In relazione alla complessità delle questioni giuridiche trattate e alla non univocità delle decisioni giurisdizionali relative alla domanda di protezione internazionale del cittadino straniero devono essere compensate le spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Riunisce a questo procedimento quello recante il numero 3702 del 2017. Accoglie i ricorsi riuniti, cassa i provvedimenti impugnati e, decidendo nel merito dichiara la nullità del provvedimento del Questore di Torino n. 1082 del 14/6/2016. Compensa le spese processuali di tutti i giudizi.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018