LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16730/2013 proposto da:
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
B.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1632/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2018 dal cons. TERRUSI FRANCESCO, lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO
che:
il tribunale di Milano condannava l’Agenzia del demanio a risarcire i danni subiti dall’attore B.A. per effetto di un provvedimento di confisca di un’azienda, L. n. 575 del 1965, ex art. 2 poi revocato; riteneva in particolare che non fosse consentito negare efficacia retroattiva alla revoca del provvedimento, e che l’azienda del predetto B. era stata medio tempore gestita dall’Agenzia medesima;
con sentenza depositata il 10-5-2012 la corte d’appello di Milano ha accolto solo in parte il gravame dell’amministrazione, contenendone la condanna nell’importo di Euro 145.952,50 già versato in esecuzione di un’ordinanza cautelare; tale importo corrispondeva all’utile netto per i canoni di affitto percepiti nel periodo 1998-2001, risultante dal rendiconto di gestione presentato nella stessa sede cautelare;
per quanto ancora rileva la corte d’appello, richiamata la sentenza n. 57 del 2006 delle sezioni unite penali di questa Corte in ordine alla retroattività della revoca, osservava che la confisca era stata revocata in contemplazione di un’invalidità genetica del provvedimento, con conseguente necessità di restituzione, da parte dell’Agenzia del demanio, dei canoni d’affitto versati dall’affittuario;
per la cassazione della sentenza l’Agenzia del demanio ha proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo;
l’intimato non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denunzia l’insufficiente motivazione della sentenza in violazione di norme di diritto (art. 113 c.p.c. e art. 118 att. c.p.c.); lamenta che la gestione del bene confiscato era avvenuta non nell’interesse del B. ma dello Stato, essendosi trattato di azienda per l’appunto confiscata della quale era stata assunta la gestione nell’assolvimento delle finalità indicate dal D.Lgs. n. 300 del 1999; pertanto B. non aveva titolo per acquisire al proprio patrimonio i risultati della gestione che era stata diretta a soddisfare interessi pubblici; infatti la confisca era divenuta definitiva nell’anno 2001, mentre il provvedimento di revoca era stato assunto nell’anno 2004 (con ordinanza del tribunale costituito in sezione autonoma per le misure di prevenzione) sulla base del fatto che l’istante non era stato chiamato a intervenire nell’ambito del procedimento; si era cioè trattato – a dire della ricorrente – di un provvedimento adottato in sede di incidente di esecuzione, tale da non coinvolgere gli effetti nel frattempo legittimamente prodotti dal provvedimento originario;
il ricorso non è fondato;
secondo la giurisprudenza delle sezioni unite penali di questa Corte, la legittimazione a proporre l’istanza di revoca del provvedimento di confisca disposto ai sensi della L. 31 maggio 1975, n. 575, art. 2-ter, comma 3, (disposizioni contro la mafia) spetta solo a chi abbia partecipato al procedimento di prevenzione o sia stato messo in grado di parteciparvi, mentre chi non sia stato chiamato a prendervi parte, e non vi abbia preso parte, può far valere l’inefficacia nei suoi confronti della confisca giustappunto mediante incidente di esecuzione (v. Cass. Sez. U pen. n. 5706, Auddino e altro);
nella concreta fattispecie risulta dalla sentenza, ed è confermato dalla ricorrente, che B. non era stato chiamato a prender parte al procedimento applicativo della misura di prevenzione, sicchè egli aveva ottenuto la revoca della confisca in sede di incidente di esecuzione con ordinanza del 31-12-2004; l’azienda gli era stata poi riconsegnata il 27-1-2005;
come esattamente ritenuto dalla corte d’appello, il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell’art. 2-ter, comma 3, cit. è suscettibile di revoca ex tunc, a norma dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) allorchè sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario;
in questo senso non osta al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (così ancora Cass. Sez. U pen. n. 57 del 2006, Auddino e altro); è stato anzi ulteriormente chiarito che il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali non contrasta con l’art. 4 prot. n. 7 della Cedu, che riconosce il diritto all’imputato di ottenere la riapertura del processo nel caso di sopravvenienza di fatti nuovi, proprio perchè è garantita – dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, – la possibilità di ottenere la revoca ex tunc della misura, nel caso in cui si accerti, sulla base di elementi nuovi, l’invalidità genetica del provvedimento irrogativo (v. Cass. pen. n. 11548-12);
può allora osservarsi che la natura retroattiva della revoca non è suscettibile di esser confinata nell’alveo della sola problematica del riacquisto della proprietà del bene confiscato; essa necessariamente comporta un’incidenza sui proventi della gestione nel frattempo percepiti, quali i canoni di affitto, non essendo rilevante obiettare che la gestione sia avvenuta – come ovvio – da parte dell’Agenzia del demanio in qualità di gestore dei beni patrimoniali dello Stato; invero la revoca del provvedimento di confisca che sia affetto da invalidità genetica ha come specifica conseguenza che la rimozione avvenga col fine di rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario (v. Cass. pen. n. 21369-08; e v. pure, in rapporto alla nozione di “prova nuova” rilevante al riguardo, Cass. pen. n. 11818-12, Cass. pen n. 44609-15, Cass. pen. n. 28628-17);
da questo punto di vista è esatta l’inferenza dalla corte d’appello secondo cui i canoni, materialmente incamerati durante il periodo di vigenza della confisca, rappresentano un utile certo di gestione; e tanto consente di presumere che essi sarebbero maturati in capo al proprietario ove l’azienda fosse stata tempestivamente a lui restituita;
il ricorso è dunque rigettato;
non deve farsi luogo alla declaratoria di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, giacchè l’obbligo afferente, di pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento di imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. n. 5955-14, Cass. n. 1778-16);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018