LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. PAZZI ALBERTO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25460/2017 proposto da:
A.S.E., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Rizzo Maria Pia, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, – Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Padova;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1639/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 24/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/07/2018 dal cons DI MARZIO MAURO.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza del 24 agosto 2017 la Corte d’appello di Venezia, provvedendo in riforma dell’ordinanza pronunciata dal locale Tribunale, ha respinto la domanda di A.S.E. volta al riconoscimento dello status di rifugiato politico ovvero della protezione sussidiaria o di quella umanitaria, dando atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato. Ha ritenuto la Corte territoriale, accogliendo l’appello principale dell’amministrazione e respingendo quello incidentale dell’appellato: -) che il racconto del A.S.E. in ordine alla sua condizione di omosessuale fosse inattendibile; -) che il medesimo avesse altresì posto a sostegno della domanda la situazione di disordine, sopraffazione e violenza indiscriminata presente nel nord-est del paese, ossia in un’area diversa da quella di sua origine e provenienza. 2. – Per la cassazione della sentenza A.S.E. ha proposto ricorso per quattro motivi. Il Ministero dell’interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso contiene quattro motivi. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione alla possibilità di formulare contestualmente più richieste di protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 censurando la sentenza impugnata per aver considerato antitetiche le domande fondate per un verso sulla condizione di omosessualità del ricorrente e per altro verso sulle condizioni di violenza indiscriminata presenti in parte della Nigeria. Il secondo motivo denuncia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e omessa valutazione di tutta la documentazione prodotta attestante l’orientamento sessuale del ricorrente, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata per non aver tenuto conto dell’iscrizione di A.S.E. all’Arcigay di ***** nonchè di comunicazioni via Facebook con il suo attuale compagno. Il terzo motivo denuncia violazione di legge relativa al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e mancata valutazione dell’inapplicabilità del criterio di cui all’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, stante il suo non recepimento in seno all’ordinamento italiano, censurando la sentenza impugnata sull’assunto che la protezione internazionale potrebbe essere riconosciuta indipendentemente dalla zona di provenienza del richiedente e del grado di pericolosità di essa. Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione al patrocinio a spese dello Stato, censurando la sentenza impugnata per aver condannato il ricorrente in appello al raddoppio del contributo unificato nonchè per l’omessa liquidazione dell’onorario al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 2. – Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. 2.1. – Il primo motivo è inammissibile. Il ricorrente ha difatti palesemente frainteso la ratio decidendi posta dalla Corte d’appello a sostegno della decisione adottata: ed infatti, nell’affermare che egli aveva svolto tesi antitetiche, il giudice di merito non ha affatto inteso sostenere che esse si elidessero a vicenda e dunque non potessero essere simultaneamente proposte, ma ha semplicemente ritenuto che le due prospettazioni difensive – l’una concernente la condizione di omosessualità del A.S.E., l’altra la situazione del suo Paese – fossero entrambe infondate. E’ pertanto insussistente la violazione del principio invocato dal ricorrente secondo cui la persona può cumulare la richiesta di protezione internazionale fondandola su diversi presupposti. 2.2. – Il secondo motivo è inammissibile. Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662). Ed inoltre, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (ex plurimis: Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368). Dunque, nessun rilievo può ascriversi alla circostanza che la Corte d’appello, scrutinati gli elementi istruttori ritenuti decisivi, non abbia specificamente valutato l’iscrizione del ricorrente all’Arcigay, nè i messaggi scambiati con quello che a dire dello stesso ricorrente sarebbe il suo compagno. 2.3. – Il terzo motivo è inammissibile. E’ difatti richiamato a sproposito il principio secondo cui il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico (o della misura più gradata della protezione sussidiaria) non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del paese d’origine ove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato (o non corra rischi effettivi di subire danni gravi), atteso che tale esclusione, prevista nell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE ed il cui inserimento nell’atto normativo interno di attuazione della direttiva stessa costituisce una mera facoltà degli Stati membri, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007 (Cass. 9 aprile 2014, n. 8399, in motivazione). Nel caso in esame, difatti, la Corte d’appello non ha per nulla ritenuto che il ricorrente potesse spostarsi da una zona connotata dalla presenza di una situazione di violenza indiscriminata in un’altra zona del paese.: ha invece affermato che la zona da cui proveniva A.S.E. era diversa da quella in cui detta situazione era riscontrabile. Sicchè il ricorrente ha nuovamente frainteso la ratio decidendi. 2.4. – Il quarto motivo – concernente per un verso il raddoppio del contributo unificato e, per altro verso, la liquidazione del compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato – è fondato nei limiti che seguono. 2.4.1. – Va accolta la censura concernente il raddoppio del contributo unificato. E’ da ritenere che il ricorrente – pur dolendosi di una inesistente condanna al pagamento del contributo unificato raddoppiato – abbia inteso in realtà lamentare che il giudice di merito abbia dato atto, come ha fatto, della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. Interpretata in tal senso, la censura è in parte qua fondata, essendo stata adottata la statuizione dalla Corte territoriale in violazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui nell’ipotesi – ricorrente nel caso di specie – di ammissione dell’appellante al patrocinio a spese dello Stato, il rigetto dell’impugnazione preclude l’applicazione del disposto di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 12 aprile 2017, n. 9538), e la statuizione contraria del giudice del gravame è denunciabile in Cassazione, non potendo privarsi la parte non abbiente della relativa tutela in sede di legittimità (Cass. 5 giugno 2017, n. 13935). Nè può affermarsi che l’erroneità della statuizione debba essere fatta valere in sede di riscossione, risultando altrimenti violati l’art. 6 della CEDU e l’art. 47 della Carta fondamentale dell’Unione Europea (Cass. 5 ottobre 2017, n. 23281; Cass. 5 giugno 2017, n. 13935). Ed anzi, è stato precisato che la statuizione con cui si dà atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, attesa la sua natura amministrativa e non giurisdizionale, può essere controllata dalla Corte di cassazione, nella sua conformità al parametro normativo, anche d’ufficio (Cass. 11 giugno 2018, n. 15111), sicchè la Corte può direttamente provvedere all’attestazione ex lege della non debenza del detto ulteriore contributo (Cass. 3 aprile 2018, n. 8170). Non può dunque darsi continuità all’opposto orientamento (Cass. 9 novembre 2016, n. 22867; Cass. 11 giugno 2018, n. 15166) che, movendo dall’esatta osservazione secondo cui l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, essendo un atto dovuto collegato al fatto oggettivo delle definizione del giudizio in senso sfavorevole all’impugnante, esula dal perimetro della decisione sul diritto in contesa, perviene erroneamente a negare che detta attestazione possa essere poi oggetto di controllo da parte della Corte di cassazione. Poichè nella specie A.S.E. era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, va pertanto dato atto – emendando sul punto la sentenza impugnata – della insussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato in relazione al giudizio di appello. 2.4.2. – Il motivo è invece è infondato laddove lamenta l’omessa liquidazione, con la sentenza impugnata, dell’onorario al difensore ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Stabilisce difatti il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 9 che le spese spettanti al difensore sono liquidate dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, decreto che è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta: dal che si desume per un verso che la liquidazione presuppone apposita richiesta (della quale nella specie nulla si sa) e, per altro verso, che detta liquidazione è contenuta in un decreto distinto dal provvedimento conclusivo della fase. 3. – La dichiarazione di inammissibilità dei primi tre motivi e l’accoglimento del quarto motivo giustifica compensazione integrale delle spese di questo giudizio di legittimità, mentre, non incidendo sull’esito del giudizio di appello, non importa modifica della statuizione sulle spese adottata dalla Corte territoriale. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato neppure con riguardo al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso ed accoglie il quarto, con compensazione integrale di spese di questo giudizio di legittimità, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che non sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso in appello e per il ricorso per cassazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 18 luglio 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018