LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24533/2017 proposto da:
S.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI 39, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LEMBO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MABAD SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLVIA 12, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PALLOTTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA BOTTI;
– controricorrente –
D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA, 6, presso lo studio dell’avvocato VIVIANA DEL PRETE, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
avverso la sentenza n. 2576/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/4/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 4/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La sig.ra S.E. ha proposto ricorso per cassazione (riferito ad un unico motivo) avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2576/2017 (depositata il 19 aprile 2017), con la quale – per quanto ancora qui rileva – era stato respinto l’appello dalla stessa proposto (sia in proprio che quale erede di Sc.Et.) contro la sentenza del Tribunale di Roma n. 17345/2009, con cui era stata ritenuta la sussistenza di un titolo idoneo in capo alla convenuta Mabad s.r.l. a superare la presunzione di appartenenza alla proprietà comune (ovvero del condominio) del portone relativo all’immobile dello stabile di *****.
Con il motivo di ricorso la S.E. ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’asserita violazione dell’art. 1117 c.c., sul presupposto che il suddetto portone posto al civico 175, dell’anzidetta via si sarebbe dovuto considerare rientrante -diversamente da quanto ritenuto con l’impugnata sentenza – fra i beni comuni. La relativa statuizione avrebbe dovuto essere emessa alla stregua della prodotta documentazione e dell’insussistenza dell’allegazione di una prova univoca da parte della Mabad s.r.l. tale da superare la presunzione della proprietà condominiale, rappresentando anche che la Corte territoriale aveva erroneamente qualificato come legittimo l’esercizio della facoltà di sostituire il portone-androne sito al civico n. ***** con il portone-androne posizionato al civico n. ***** in difetto di qualsiasi atto rivestito della forma scritta in favore della predetta società e solo sulla scorta di un mero stato di fatto.
Si sono costituiti con controricorso la s.r.l. Mabad che ha chiesto il rigetto del ricorso e l’intimato D.L.A. che, aderendo alle ragioni del ricorso, ha invocato il suo accoglimento.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio. La difesa della controricorrente Mabad s.r.l. ha depositato memoria in virtù dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Rileva il collegio che il motivo di ricorso deve essere dichiarato propriamente inammissibile, avuto anche riguardo al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1), poichè la sentenza qui impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte senza che l’esame della censura proposta con il ricorso (alla quale ha aderito il controricorrente D.L.A.) abbia offerto elementi per mutare l’orientamento di detta giurisprudenza.
Infatti, occorre rilevare che con la formulata censura – sotto l’apparente deduzione della violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. – la ricorrente ha inteso sollecitare questa Corte a procedere ad una rivalutazione della vicenda fattuale e degli accertamenti probatori compiuti in sede di merito in ordine alla natura giuridica del bene dedotto in controversia, attività inammissibili nella presente sede di legittimità, considerandosi che la Corte territoriale ha compiutamente e logicamente motivato la soluzione raggiunta nell’escludere che il predetto bene rientrasse nella proprietà condominiale, dovendo, invece, essere attribuito alla proprietà esclusiva della s.r.l. Mabad.
Oltretutto, la Corte capitolina, nel motivare il percorso logico del suo convincimento, si è conformata alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 5633/2002; Cass. n. 11195/2010 e, da ultimo, Cass. n. 10073/2018), secondo la quale la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto, precisandosi, a tal fine, che è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio. E’ stato, più specificamente puntualizzato che, ai fini dell’esclusione della presunzione di proprietà comune prevista dall’art. 1117 c.c., non è propriamente indispensabile che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l’attitudine funzionale del bene al servizio o al godimento collettivo; da ciò consegue che viene meno il presupposto della suddetta presunzione quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, oggetto di un autonomo diritto di proprietà, o risulta comunque essere stato a suo tempo destinato dall’originario proprietario dell’intero immobile ad un uso esclusivo, così da rivelare sulla base di elementi oggettivi, secondo l’incensurabile apprezzamento del giudice di merito – che si tratta di un bene dotato di propria autonomia e perciò non destinato a servizio dell’edificio condominiale. E in base a tali criteri il giudice di appello – confermando, peraltro, la decisione del giudice di prime cure – ha in concreto accertato che, nel caso di specie, non solo sussisteva un titolo idoneo, in favore della Mabad s.r.l., a superare la presunzione di appartenenza alla proprietà comune del portone e dell’androne di cui al civico *****, ma esso era risultato corredato anche da prova scritta.
In particolare, la Corte di secondo grado ha motivatamente dato atto che, in un primo momento, effettivamente il portone ubicato al civico n. ***** era stato inserito – per previsione risultante dal regolamento condominiale di tipo contrattuale – tra i beni comuni; senonchè, all’atto della costituzione del condominio, il costruttore – verificata l’esistenza di due ingressi allo stabile condominiale, individuati con i civici nn. ***** – si era riservato espressamente la facoltà di trasferire, con oneri a suo carico, l’ingresso posto dal civico ***** ad uno degli altri due ingressi, assumendosi, contestualmente, l’obbligo di realizzare un nuovo portone ed andito di tipo signorile che sarebbe stato posto a servizio del condominio. Sulla base di questo accertamento la Corte di appello di Roma ha riscontrato che, effettivamente, questa facoltà (di cui era stata, peraltro, fatta poi menzione nei vari atti di compravendita intervenuti con riferimento all’acquisto dei singoli appartamenti dell’immobile) venne successivamente esercitata, nel 1967, dalla società a cui era stata trasferita in virtù di apposito rogito notarile del 1954, con la conseguenza che, da quel momento, il portone di ingresso e l’androne condominiale erano stati spostati dal civico n. ***** a quello recante il n. *****, al quale, perciò, venne definitivamente attribuita la destinazione di ingresso comune al condominio. Inoltre, il giudice di appello ha rilevato come, sul punto, non poteva aver alcun rilievo l’indicazione solo formalmente erronea – proprio perchè contrastante con l’univoco titolo petitorio formatosi antecedentemente – inserita nell’atto di compravendita stipulato tra la Magda s.r.l. e la Mabad s.r.l., nel quale era stato riportato come confinante l’androne condominiale al civico n. *****, indicazione, peraltro, non contenuta nell’atto di provenienza della stessa Magda s.r.l..
Alla stregua delle argomentazioni svolte il ricorso deve, quindi, essere ritenuto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente e del controricorrente D.L.A. (che ha assunto una posizione adesiva a quella della S.E., invocando l’accoglimento del ricorso di quest’ultima), in solido fra loro, in quanto entrambi soccombenti, al pagamento delle spese della presente fase giudiziale in favore della Mabad s.r.l., che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, formulata nell’interesse della Mabad s.r.l. è inammissibile perchè avanzata per la prima volta – e, quindi, tardivamente – solo nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2 e non già, antecedentemente, nel corpo e nelle conclusioni del controricorso (cfr., ancorchè con riferimento alla situazione simile della proposizione di detta istanza solo con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c., Cass. S.U. n. 8363/1990 e n. 17300/2003, nonchè Cass. n. 20914/2011).
Anche la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, è da ritenersi inammissibile poichè tale norma (inserita per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12) è inapplicabile nel caso di specie ratione temporis, poichè il giudizio risulta introdotto ab initio prima del 4 luglio 2009.
Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente S.E., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente S.E. e il controricorrente D.L.A., in solido fra loro, al pagamento, in favore della controricorrente Mabad s.r.l., delle spese della presente fase di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15% ed accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente S.E., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte di Cassazione, il 4 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018