LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12752-2017 proposto da:
L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE VIO;
– ricorrente –
contro
DUKIC DAY DREAM SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato REMO DE NARD;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1014/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/04/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
La Dukic Day Dream S.r.l. presenta opposizione, davanti al Tribunale di Venezia, avvero il decreto ingiuntivo emesso in favore dell’avvocato L.M. per il pagamento di prestazioni professionali. L’opponente sosteneva che la somma ingiunta non era dovuta poichè il legale non aveva agito con la necessaria diligenza, cagionandole danni di cui chiedeva il risarcimento in via riconvenzionale. Si costituiva il professionista chiedendo il rigetto dell’opposizione e rilevando che la somma richiesta gli era dovuta ad altro titolo;
il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2056 del 2013 accoglieva la domanda riconvenzionale della Dukic Day Dream S.r.l., revocava il decreto opposto e condannava L.M. al pagamento, in favore della società, della somma di Euro 97.239 a titolo di danni subiti dalla stessa a causa della condotta professionale, con l’aggravio delle spese di lite;
avverso tale decisione proponeva appello L.M. chiedendo, in via istruttoria, l’ammissione della prova testimoniale e, nel merito, il rigetto della domanda di controparte. Si costituiva la Dukic Day Dream S.r.l. chiedendo l’ammissione della prova per testi e, nel merito, il rigetto dell’appello principale. Spiegava, altresì, appello incidentale per la condanna del professionista alla restituzione della ulteriore somma di Euro 1495 percepita per onorari, oltre al risarcimento dei danni per la mancata proposizione dell’opposizione all’archiviazione di un procedimento penale. Quantificava tale pregiudizio in Euro 5000;
la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 12 maggio 2017 dichiarava inammissibile, in quanto superflue o valutative, le prove richieste dalle parti. Riteneva fondato il primo motivo proposto dal professionista riguardo al mancato pagamento di somme riferite ad attività professionali diverse da quelle oggetto della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta da Dukic Day Dream S.r.l. Riteneva infondata la censura con la quale L.M. lamentava la violazione dell’art. 112 c.p.c. non avendo la società opponente proposto una domanda di danni da perdita di chance, rilevando che tale voce di danno rientrava nel generale concetto di risarcimento. La pretesa, comunque, risultava priva di supporto probatorio. Pertanto riduceva l’importo dovuto da L.M. alla Dukic Day Dream S.r.l. a titolo di risarcimento del danno, alla somma di Euro 37.453, rilevando che non ricorreva il presupposto della valutazione prognostica positiva circa l’esito favorevole del risultato dell’attività del professionista poichè, per le cause erroneamente coltivate o trascurate, non ricorreva la probabilità di esito favorevole. Sulla base di tali elementi condannava L.M. al pagamento della predetta somma, oltre alla restituzione dell’importo di Euro 1495 in favore della Dukic Day Dream S.r.l. che, però, era tenuta al pagamento delle competenze pari ad Euro 9906, ponendo le spese a carico di L.M. nella misura di due terzi e compensando la restante parte;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione L.M. affidandosi a quattro motivi. Resiste in giudizio la società Dukic Day Dream S.r.l. con controricorso.
Considerato che:
con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 rilevando di avere chiesto la condanna della Dukic Day Dream S.r.l. al pagamento anche degli interessi sull’importo capitale al tasso di mora, mentre la Corte d’Appello non aveva provveduto su tale istanza. In secondo luogo, la decisione era errata perchè la società Dukic aveva sostanzialmente chiesto al professionista di pagare il medesimo bene che auspicava di ottenere attraverso le cause che aveva affidato allo stesso. Al contrario, il danno da perdita di chance consiste, non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella mera possibilità di conseguire attraverso una valutazione da operare ex ante. Ma tale danno non era stato richiesto dalla Società, la quale aveva fatto riferimento al medesimo vantaggio che auspicava di ottenere dalle controparti, all’esito dei giudizi per i quali aveva dato mandato al professionista;
con il secondo motivo deduce, ai sensi della medesima disposizione, la nullità della sentenza per omessa motivazione e la violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli art. 132 c.p.c., n. 4, art. 111 Cost. e art. 2697 c.c.. In particolare, difetterebbe del tutto la motivazione riguardo alla condanna per l’importo di Euro 37.453. Con riferimento alla fattura avente ad oggetto tubazione speciale l’acconto pagato dalla Dukic S.r.l. si riferiva all’intera fornitura, ma non vi era la prova che il vizio riguardasse effettivamente tutto il materiale. Anche con riferimento alla domanda di rifusione dei costi per la sostituzione dei pezzi ritenuti difettosi il giudice aveva motivato, con argomentazioni solo apparenti, secondo grado. Nello stesso modo la Corte territoriale non aveva indicato sulla base di quali elementi aveva dedotto che l’attività del professionista se puntualmente espletata avrebbe evitato il danno. Sotto tale profilo i documenti della controparte (listino prezzi e dichiarazioni di terzi su carta intestata) sarebbero insufficienti per fornire la prova dell’effettivo esborso patrimoniale. Inoltre la società Dukic Day Dream S.r.l. non documentava la segnalazione di guasto da parte dei clienti ai quali sarebbero stati forniti i dispositivi difettosi, con la conseguenza che non era verosimile che tale società fosse poi stata costretta a sostituire ben 60 dispositivi. Sotto altro profilo non era stata raggiunta la prova che l’intera fornitura fosse viziata per cui la società non avrebbe potuto ottenere in restituzione l’acconto pagato. Sotto tale profilo non ricorreva un elevato grado di probabilità in ordine all’accoglimento della domanda di rifusione di tali spese. Peraltro, non tutte le spese potevano essere accollate al professionista. Infine, la Corte non aveva adottato un criterio probabilistico per verificare se, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito;
con il quarto motivo lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n., degli artt. 1218 e 1223 c.c.. In particolare la Corte territoriale aveva condannato L.M. a corrispondere alla Dukic S.r.l. gli stessi beni che quest’ultima auspicava di ottenere dalle sue controparti, mentre la responsabilità del professionista è legata alla perdita di chance e cioè al profilo della probabilità e non può essere pari all’importo del risultato dell’azione. La parte danneggiata aveva l’onere di dimostrare la ragionevole probabilità di successo, ma il danno non avrebbe dovuto essere commisurato al bene che la parte auspicava di conseguire;
con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione dell’art. 91 c.p.c. con riferimento alla parte della decisione relativa alla condanna di L.M. al pagamento delle spese di lite che, con la riforma della sentenza impugnata dovranno essere diversamente liquidate;
il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza riguardo al corrispondente specifico motivo di appello poichè il ricorrente non allega, documenta o localizza la domanda di interessi proposta in appello e quella precedente reiterata in primo grado in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, ai fini dell’autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione, quando esso concerna la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti, è necessario specificare la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essi siano rinvenibili, sicchè, in mancanza, il ricorso è inammissibile per l’omessa osservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22607 del 24/10/2014, Rv. 633219). La parte è tenuta, oltre a richiamare gli atti e i documenti del giudizio di merito, anche a riprodurli nel ricorso e ad indicare in quale sede processuale fossero stati prodotti. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16134 del 30/07/2015, Rv. 636483 – 01);
Il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere compiutamente i passaggi salienti dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo della Dukic, con riferimento alla spiegata riconvenzionale senza limitarsi alle conclusioni;
le ipotesi prospettate con il secondo motivo esulano dal contenuto del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Infatti la doglianza ha ad oggetto la contestazione dell’adeguatezza della motivazione e si chiede in maniera inammissibile alla Corte di legittimità di valutare il materiale probatorio e la corrispondenza tra quanto oggetto di contestazione e le prove in atti;
anche nel terzo motivo il riferimento non è all’omesso esame di un fatto storico decisivo, ma alla mancata valutazione di elementi istruttori e questioni di diritto o eccezioni. Le ipotesi prospettate non sono riconducibili al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, facendosi riferimento non all’omesso esame di un fatto storico decisivo, ma rispettivamente alla mancata valutazione di elementi istruttori, questioni di diritto o valutazioni in tema di danno (assenza di segnalazione di guasto, prova che il vizio riferito all’intera fornitura, inesistenza di una elevata probabilità o certezza di accoglimento delle domande, ove coltivate, congruità delle spese rimborsabili a titolo di danno);
riguardo al quarto motivo l’accertamento e la liquidazione di tale perdita di chance, necessariamente equitativa, è devoluta al giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità e si fonda sulla regola “del più probabile che non” e non sulla prova dell’esito favorevole del giudizio di rinvio, comunque espressa dalla Corte territoriale. Oltre a tale profilo di inammissibilità, va ricordato che in tema di responsabilità per colpa professionale da condotta omissiva la regola “del più probabile che non”, si applica sia all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, sia all’accertamento del nesso tra quest’ultimo e le conseguenze dannose risarcibili, posto che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa, per cui è destituita di fondamento l’affermazione secondo cui la responsabilità professionale dell’avvocato per una condotta omissiva avrebbe dovuto fondarsi sulla prova certa circa l’esito favorevole del giudizio di rinvio, anzichè sulla sola valutazione di un’elevata probabilità di vittoria, comunque espressa dalla Corte territoriale;
questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che, nell’accertamento del nesso causale in materia di responsabilità civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008, Rv. 600899; più di recente, fra le molte: Sez. 3, Sentenza n. 22225 del 20/10/2014, Rv. 632945; Sez. 3, Sentenza n. 23933 del 22/10/2013, Rv. 629110; Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013, Rv. 628702). Tale criterio va tenuto fermo anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva (qual è quello in esame): il giudice, accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonchè l’esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno;
in sostanza, nei casi come quello in esame, l’accertamento del nesso causale si estende con medesimi criteri probabilistici – anche alle conseguenze dannose risarcibili sul piano della causalità giuridica, ossia al mancato vantaggio che, ove l’attività professionale fosse stata svolta con la dovuta diligenza, il cliente avrebbe conseguito. Di tale danno, in queste circostanze, non può richiedersi una prova rigorosa e certa, incompatibile con la natura di un accertamento necessariamente ipotetico, in quanto riferito a un evento non verificatosi, per l’appunto, a causa dell’omissione;
il quinto motivo, infine, non consiste in una censura alla decisione impugnata;
ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018
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