LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13946-2017 proposto da:
CARNI STAR SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI VALERI 1, presso lo studio dell’avvocato MAURO GERMANI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7329/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/04/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.
RILEVATO
che:
Carni Star srl propone ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Roma il 2 febbraio 2016 con la quale veniva rigettata la domanda della odierna ricorrente, confermando la sentenza impugnata e condannando l’appellante alla rifusione delle spese;
il ricorso si affida a due motivi. Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 115e 116 c.p.c., relativamente alla valutazione delle prove e dell’art. 2697 c.c., per quanto riguarda l’onere probatorio, con riferimento alla parte della decisione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda della attrice non fosse supportata dai documenti assunti in primo grado nel fascicolo di parte;
con il secondo motivo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per non avere la Corte territoriale correttamente valutato l’analisi fatta dalla parte circa il danno subito dal comportamento di controparte;
il ricorso è inammissibile per l’assoluta inidoneità dell’esposizione del fatto. Il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006 – Cass. sez. un. n. 2602 del 2003 e Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926, Cass. 2 agosto 2016, n. 16103; Cass. 28 settembre 2016, n. 1906);
nel caso di specie, dall’esame del ricorso principale non è possibile evincere nessuno di tali elementi ed in particolare alcun dato riguardo all’oggetto della controversia, alle domande proposte dalla società odierna ricorrente con l’atto di citazione, alla posizione adottata dalla parte convenuta (neppure menzionata in tale esposizione del fatto), alla concreta attività istruttoria espletata in primo grado, alla posizione assunta dalle parti, alle domande concretamente proposte e a quelle sulle quali potrebbe essersi formato giudicato. Ciò rende incomprensibile, oltre alla causa petendi, la valenza delle doglianze riferite alla mancata valutazione di elementi di prova preventivamente non individuati e alla rilevanza degli stessi rispetto a una ricostruzione dei fatti che non è mai stata esplicitata. Nello stesso modo non vi è alcun riferimento ai motivi di appello, alle argomentazioni concrete adottate dalla Corte territoriale e alla posizione della società appellata. Conseguentemente è preclusa alla Corte di legittimità la possibilità di ricostruire l’oggetto della controversia e il suo evolversi procedimentale e la conseguente rilevanza dei motivi di ricorso;
ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018