Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.27755 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13680-2017 proposto da:

ITALIANA SERVIZI – COOPERATIVA SOCIALE A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 79, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBRANO – STUDIO LEGALE LUBRANO & ASSOCIATI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO LUBRANO;

– ricorrente –

contro

ITALY EMERGENZA COOPERATIVA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GATTAMELATA, rappresentata e difesa dall’avvocato CRESCENZIO SANTUORI;

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MATTEO BOIARDO 12, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MORABITO, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1212/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 17/03/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2018 dal Consigliere Dr. ENZO VINCENTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dr.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi gli avvocati Enrico Lubrano, Crescenzio Santuori e Paolo Migliaccio per delega dell’avvocato Giuseppe Morabito.

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso notificato in data 27 maggio 2016, la Italy Emergenza Cooperativa Sociale impugnò, dinanzi al TAR per la Calabria, il provvedimento di aggiudicazione definitiva, adottato dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, di un appalto di servizi in favore Italiana Servizi-Cooperativa Sociale a r.l..

L’adito TAR, con sentenza del settembre 2016, rigettò l’eccezione di irricevibilità del ricorso proposta dalla resistente aggiudicataria – eccezione sollevata in ragione della ritenuta tardività dell’impugnazione per aver avuto la ricorrente “piena conoscenza” del provvedimento lesivo in momento di gran lunga antecedente alla notificazione del ricorso, che, quindi, era stata effettuata ben oltre il termine decadenziale di 30 giorni previsto dall’art. 120 c.p.a. – e accolse il ricorso stesso, annullando l’aggiudicazione.

2. – Il gravame interposto dalla Italiana Servizi-Cooperativa Sociale a r.l. avverso detta decisione veniva rigettato con sentenza n. 1212 del 17 marzo 2017 della Sezione Terza del Consiglio di Stato.

Il giudice di appello – per quanto rileva in questa sede riteneva infondato il motivo di impugnazione che censurava il rigetto dell’eccezione di tardività del ricorso originariamente proposto da Italy Emergenza, a tal riguardo osservando: 1) la “conoscenza dell’atto” prevista dal comma 5 dell’art. 120 c.p.a. quale momento di iniziale decorrenza del termine decadenziale per l’impugnazione, ulteriore a quello della ricezione della comunicazione di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 79 (nella specie rispettato dalla originaria ricorrente), era da intendersi, “per essere idonea” a far scattare detta decorrenza, come “necessariamente piena”, non essendo “sufficiente che l’interessato sappia soltanto dell’esistenza dell’atto, ma è altresì indispensabile che quest’ultimo sia accessibile e conoscibile nella sua interezza, ovvero anche con riguardo alle motivazioni che hanno portato all’adozione dell’atto”; 2) l’appellante non aveva provato, “come sarebbe stato suo onere”, che Italy Emergenza avesse avuto “piena conoscenza dell’atto già prima della sua formale comunicazione”, giacchè tale prova: a) non poteva trarsi da documenti antecedenti alla determina di aggiudicazione del 16 luglio 2015; b) non emergeva a seguito della pubblicazione della determina “sul sito aziendale”, quale circostanza comunicata in data 11 febbraio 2016 dalla Azienda Sanitaria in risposta alla lettera del precedente 5 febbraio di Italy Emergenza (con cui si dava atto della conoscenza della aggiudicazione provvisoria e si chiedeva di conoscere “lo stato attuale della procedura”, con ulteriore istanza di accesso agli atti), in quanto (oltre a non essere detta pubblicazione equipollente alla comunicazione ex art. 79, comma 5, citato) non era dato “sapere quali fossero le concrete modalità ed i tempi di detta pubblicazione (se per estratto o per intero o se l’atto, qualora pubblicato integralmente, fosse ancora accessibile nel febbraio 2016)”; c) non era desumibile dal secondo preavviso di ricorso del 22 febbraio 2016, poichè l’indicazione degli estremi dell’atto “non prova(va) nulla”, essendo questi stati comunicati in precedenza ad Italy Emergenza dall’Azienda sanitaria con la citata missiva dell’11 febbraio 2016.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Italiana Servizi-Cooperativa Sociale a r.l..

Resistono con separati controricorsi Italy Emergenza Cooperativa Sociale e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria.

La ricorrente e la controricorrente Italy Emergenza Cooperativa Sociale hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con un unico motivo è denunciato “eccesso di potere giurisdizionale”, per aver la sentenza del Consiglio di Stato, “nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di tardività” sollevata da Italiana Servizi, “stravolto le regole del processo amministrativo, secondo l’interpretazione granitica” dello stesso giudice “della nozione di “piena conoscenza” del provvedimento amministrativo ai fini della determinazione del dies a quo per la decorrenza del termine di impugnazione”.

La giurisprudenza amministrativa (ampiamente citata in ricorso) sarebbe ferma, sin da tempi remoti, nel ritenere che la “piena conoscenza” dell’atto da cui far decorrere il termine per impugnarlo andrebbe intesa “come cognizione, da parte dell’interessato, degli elementi essenziali del provvedimento, individuati nella mera esistenza dell’atto e nella sua capacità di ledere la posizione giuridica dell’interessato stesso” e non già come “conoscenza piena ed integrale del provvedimento che si intende impugnare e delle sue motivazioni”. E ciò varrebbe sia in via generale (ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a.), sia, in particolare, nel settore degli appalti, ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a..

La sentenza impugnata avrebbe, dunque, “stravolto” la portata della regola processuale sul termine dell’impugnazione, di cui (anche) al citato art. 120, comma 5, c.p.a., richiedendo che la “piena conoscenza” dell’atto da impugnare fosse integrata anche con la conoscenza delle motivazioni del provvedimento, oltre che della sua esistenza e lesività.

Inoltre, il Consiglio di Stato avrebbe anche errato “nella parte in cui ha ritenuto non dimostrato che Italy Emergenza fosse ampiamente a conoscenza anche delle motivazioni del provvedimento poi impugnato già a partire dal 22 febbraio 2016” e ciò in palese contrasto con le risultanze processuali (in ordine alla lettera dell’Il febbraio 2016 e al preavviso di ricorso del 22 febbraio 2016), con conseguente eccesso di potere giurisdizionale ovvero di esercizio di un potere che detto giudice “non avrebbe dovuto nè potuto porre in essere, dovendo limitarsi a dichiarare la mera tardività del ricorso di primo grado”.

2. – Il motivo è inammissibile in tutta la sua articolazione.

2.1. – Il sindacato delle Sezioni Unite della Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali è circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale, cui attengono invece gli errori in iudicando e in procedendo, i quali esorbitano dai confini dell’astratta valutazione di sussistenza degli indici definitori della materia ed investono l’accertamento della fondatezza o meno della domanda (tra le molte, Cass., S.U., 18 gennaio 2005, n. 847, Cass., S.U., 16 febbraio 2009, n. 3688; Cass., S.U., 23 luglio 2015, n. 15476; Cass., S.U., 29 dicembre 2017, n. 31226; Cass., S.U., 27 aprile 2018, n. 10264). E ciò quale che sia la gravità della violazione delle norme di riferimento, sostanziali o processuali, applicate (Corte cost., sent. n. 6 del 2018).

2.2. – Sicchè, come già messo in risalto da questa Corte (Cass., S.U., 27 giugno 2018, n. 16957), è chiaramente implausibile il tentativo di configurare un eccesso di potere giurisdizionale (ai danni del legislatore) rinvenendolo in una attività di individuazione interpretativa. Evenienza, questa, che è affatto da escludere le volte in cui il giudice speciale od ordinario individui una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione anche analogica del quadro delle norme (tra le tante, Cass., S.U., 10 settembre 2013, n. 20698; Cass., S.U., 23 dicembre 2014, n. 27341).

In linea di principio, infatti, l’interpretazione della legge (e perfino la sua disapplicazione) non trasmoda di per sè in eccesso di potere giurisdizionale, perchè essa rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, tranne i soli casi di un radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale (Cass., S.U., 31 maggio 2016, n. 11380; Cass., S.U., 21 febbraio 2017, n. 4395; Cass., S.U., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., S.U., 30 luglio 2018, n. 20169).

Il che non ricorre allorquando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che esprime il loro coordinamento sistematico, potendo dare luogo, tale operazione, tutt’al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (Cass., S.U., 12 dicembre 2012, n. 22784; Cass., S.U., 5 settembre 2013, n. 20360).

2.3. – Del resto, giova rammentare (Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass., S.U., 22 giugno 2018, n. 16957) che l’attività di interpretazione rimessa al giudice, sia essa a vocazione “evolutiva”, che di natura “correttiva” (di una precedente interpretazione della medesima norma), è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, dai cui plurimi significati possibili muove la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza, senza che – anche in contesti, come quello attuale, in cui il legislatore, sebbene con portata e valore differenti rispetto ad ogni plesso giurisdizionale, ha inteso valorizzare la funzione nomofilattica degli organi giudiziari di vertice e con ciò la stabilità stessa della regula iuris enunciata – possa ritenersi possibile una cristallizzazione dell’interpretazione giudiziale, poichè “la vivenza della norma (anche fuori dalla metafora morfologica) è una vicenda, per definizione, aperta” (così Cass., S.U., n. 15144/20111, cit.).

2.4. – Nei termini indicati, l’interpretazione del giudice rimane, dunque, nell’alveo dei limiti interni alla giurisdizione anche se si manifesti in contrasto con l’orientamento sino ad allora prevalente o, persino, da tempo consolidato e l’overruling neppure trovi conferma nella giurisprudenza, rimanendo isolato pronunciamento.

Difatti, non solo il “diritto vivente” è sempre suscettibile di mutamenti, anche repentini, ma, seppure di ciò non si tratti (e, come detto, quella singola interpretazione rimanga un unicum, smentita dalla giurisprudenza precedente e da quella successiva), il valore e la forza del “precedente”, quand’anche proveniente dal giudice di vertice del plesso giurisdizionale, non si colloca sullo stesso piano della cogenza che esprime la fonte legale (cfr. anche Corte cost., sent. n. 230 del 2012), alla quale il giudice è soltanto soggetto (art. 101 Cost.), sebbene, non solo in ragione della sua provenienza, ma anche della sua persuasività, esso aspiri, comunque, ad assumere il connotato della tendenziale stabilità e ad avere un seguito generale, in armonica coerenza con la funzione nomofilattica esercitata da quel giudice e, come detto, esaltata dalla riforme processuali più recenti.

2.5. – Ne consegue che, a fronte di una disposizione come quella di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a., la quale, nella materia degli appalti, consente, secondo la sua formulazione letterale, la proposizione del ricorso anche in un termine decorrente “dalla conoscenza dell’atto” (locuzione che riprende quella, invero ancor più netta, dell’art. 41 c.p.a. – norma generale sui termini per l’azione di annullamento -, che fissa la decorrenza anche dalla “piena conoscenza” del provvedimento amministrativo), l’interpretazione del Consiglio di Stato, resa con la sentenza impugnata in questa sede secondo cui detta “conoscenza” si ha dell’atto “nella sua interezza, ovvero anche con riguardo alle motivazioni che hanno portato all’adozione” -, sebbene possa anche divergere dall’orientamento prevalente in materia (ma, in realtà, neppure esprimendo un indirizzo ermeneutico isolato nel panorama della giurisprudenza amministrativa, segnatamente, poi, se si guarda proprio al settore delle procedure di aggiudicazione degli appalti), non costituisce affatto un radicale stravolgimento della norma che si ricava dalla disposizione secondo il suo enunciato o una creazione di norma ad hoc, che possa, quindi, dare ingresso al sindacato sulla giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale.

2.6. – Quanto, infine, all’ulteriore censura che investe il giudizio di fatto sull’applicazione dell’anzidetto art. 120, comma 5, c.p.a., è del pari evidente che essa, anche se detto giudizio fosse, in ipotesi, erroneo rispetto alle effettive emergenze istruttorie, non prospetta un vizio esorbitante dai limiti interni della giurisdizione, rimanendo confinato, semmai, nell’alveo degli errores in procedendo.

3. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 9.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni Unite Civili della Corte suprema di Cassazione, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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