LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16743-2017 proposto da:
R.L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso lo studio dell’avvocato FRANCO CHIAPPARELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GOFFREDO POZZOLI;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIRSO 26, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SCETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato UMBERTO BALLABIO;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 1026/2017 del TRIBUNALE di MONZA, depositato il 10/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTO E DIRITTO
1.- R.L. ha presentato domanda di insinuazione in grado privilegiato ex art. 2751 bis c.c., n. 2 nel passivo fallimentare della s.p.a. ***** in liquidazione, per crediti derivanti dallo svolgimento di attività professionale. Più in particolare, ha titolato la sua pretesa come compenso per l’attività di liquidatore della società, posta in essere dal giugno del 2013 sino al tempo della sentenza dichiarativa, caduta nell’aprile del 2016.
Il giudice delegato ha radicalmente escluso dallo stato passivo la richiesta, rilevando che “l’istante ha aggravato il dissesto della società con la richiesta di un concordato preventivo privo dei presupposti di legge tanto da essere stata dichiarata inammissibile. In specie, il liquidatore non ha verificato la solvibilità della società affittuaria dell’azienda, non riuscendo pertanto a incassare i canoni di locazione dovuti; ha indicato esservi soggetti cinesi in grado di supportare la domanda, ma senza che in atti vi sia mai stato un effettivo e documentato intendimento di alcun soggetto specifico. Detta attività ha comportato, peraltro, costi di professionisti, esborsi e interessi che hanno fatto lievitare il passivo della società”.
2.- In prosieguo, il Tribunale di Monza ha confermato, con decreto del 10 maggio 2017, il provvedimento del giudice delegato, così respingendo l’opposizione proposta da R.L. (dapprima per l’ammissione in privilegio e poi degradata in chirografo, a seguito di apposita rinuncia a tale grado).
Nell’ambito della motivazione così svolta, il Tribunale ha prima di tutto riqualificato l’eccezione di compensazione sollevata – di fronte alla pretesa di pagamento formulata dall’opponente dal curatore fallimentare, inquadrandola come eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ.. Di poi, ha rilevato che il comportamento tenuto dal liquidatore risultava caratterizzato da una serie di gravi inadempimenti della prestazione a cui era tenuto e che avrebbe dovuto svolgere secondo la diligenza professionale di cui all’art. 1176 c.c., comma 2; inadempimenti che si manifestavano relativi alla “gestione della società prima della domanda di concordato” (come relativi al contratto di locazione di un immobile, in specie, e alla gestione del rapporto conseguente) e che pure avevano comportato un “aggravio del dissesto economico causato alla società oggi fallita”.
3.- Avverso il richiamato decreto ricorre R.L., articolando quattro motivi per la sua cassazione.
Si difende, con controricorso, il Fallimento della s.p.a. *****.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
4.- Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno trattati in modo congiunto. Entrambi, infatti, gravitano sulla circostanza che il Tribunale ha negato la concessione di un termine per memoria di replica che l’attuale ricorrente aveva domandato a fronte dei contenuti manifestati dal Fallimento in sede di memoria di costituzione nel giudizio di opposizione.
Il primo motivo, che lamenta violazione delle norme degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e anche di quella dell’art. 99 legge fall., assume che la negata concessione del termine non ha consentito al ricorrente di presentare “le difese, le repliche, le allegazioni, in definitiva le attività processuali necessarie per contraddire alle eccezioni, alle domande del fallimento, peraltro in gran parte nuove rispetto a quelle sollevate in sede di verifica dello stato passivo e in ogni caso – quel che più rileva nella specie – di poter contestare specificamente i fatti asseriti ed allegati dal Fallimento”.
Il secondo motivo di ricorso considera la negata concessione del termine sotto il profilo della lesione del principio del contraddittorio, in via correlata assumendo violazione della norma dell’art. 101 c.p.c., comma 2. Rileva dunque il ricorrente che il Tribunale di Monza ha d’ufficio riqualificato l’eccezione di compensazione, sollevata dal Fallimento, in termini di eccezione di inadempimento. Tale riqualificazione annota il motivo – “ha reso quanto mai evidente il diritto dell’opponente dr. R. di depositare una memoria difensiva volta a illustrare il proprio esatto adempimento, così da porlo nelle condizioni di offrire non solo la prova del proprio adempimento, ma soprattutto le osservazioni sulla medesima questione, l’eccezione di inadempimento rilevata ex officio dl giudice, sotto pena di nullità ex art. 101 c.p.c., comma 2”.
5.- Il primo e il secondo motivo di ricorso non meritano di essere accolti.
In proposito, va rilevato prima di ogni altra cosa che la norma dell’art. 99, comma 11, legge fall. stabilisce con chiarezza che il giudice dell’opposizione “può” (non deve) concedere alle parti un termine per memoria.
A fronte di una simile, inequivoca, prescrizione normativa una contestazione in materia non può evidentemente limitarsi ad affermare genericamente che la mancata concessione del termine gli ha precluso di svolgere in modo adeguatamente le proprie difese. La contestazione della mancata concessione del termine, cioè, non può che muovere (e da lì procedere) dalla specifica e puntuale indicazione di quanto di nuovo la memoria di costituzione del Fallimento abbia introdotto in giudizio.
Nel caso di specie, il ricorrente non indica la sussistenza di fatti nuovi che siano stati portati dalla detta memoria. Nè, per la verità, una simile sussistenza è risultata aliunde. In sostanza, i fatti tenuti presenti dal Tribunale in sede di opposizione non si discostano da quelli richiamati dal giudice delegato nel provvedimento emesso in sede di verifica del passivo.
6.- Ciò posto, va ora rilevato che, secondo l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, l'”obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio … si estende solo alle questioni di fatto, che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, e non anche a una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito” (cfr. Cass., 19 maggio 2016, n. 10353).
D’altro canto, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato “non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base a una ricostruzione dei fatti rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi” (Cass., 10 maggio 2018, n. 11289).
7.- Il terzo motivo di ricorso è intestato “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,2697 e 2423 ss. cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ.”.
Con questo motivo, il ricorrente assume che l'”omessa concessione di un termine di replica in violazione del diritto difesa e del rispetto del contraddittorio non ha consentito alla parte ricorrente di prospettare una diversa valutazione degli atti dai quali, ad avviso del giudice del merito, sarebbe emerso un aggravamento del dissesto economico causato alla società oggi fallita nel periodo tra il deposito della domanda del concordato in bianco e la data del fallimento”.
A questa enunciazione di carattere generale, il ricorrente fa seguire una analisi della situazione patrimoniale e contabile della s.p.a. ***** all’epoca del suo fallimento. Per rilevare che l'”asserito e non provato aggravamento del dissesto” non è comunque stato causato dall’azione del ricorrente.
8.- Il motivo è inammissibile.
In effetti, lo stesso richiede – e in termini espliciti, per la verità, come emerge netto dalla stessa enunciazione appena sopra riportata – una nuova valutazione dei fatti. Che è per contro attività riservata alla valutazione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
9.- Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione “dell’art. 1455 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.”.
Assume in proposito il ricorrente che “a proposito della disciplina della risoluzione per inadempimento del contratto a prestazioni corrispettive”, la norma dell’art. 1455 cod. civ. pone “una regola di proporzionalità, in virtù della quale la dichiarazione di risoluzione è ricondotta unicamente all’inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell’economia del rapporto”.
Questa “valutazione della rilevanza dell’inadempimento nell’economia del rapporto” – prosegue il ricorrente “costituisce un apprezzamento di fatto, demandato istituzionalmente al giudice del merito e incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione esauriente e immune da vizi logici”. Ciò che nella specie non è avvenuto, perchè su questo punto “non vi è stata alcuna motivazione” da parte del Tribunale di Monza.
10.- Il motivo non merita di essere accolto.
Lo stesso soffre, per la verità, di un vizio di impostazione, perchè inquadra la decisione del Tribunale monzese nell’ambito della risoluzione del contratto per inadempimento, in questo ambito richiamandosi poi alla norma dell’art. 1455 cod. civ., circa la valutazione di una “gravità” dell’inadempimento tale da giustificare per l’appunto la dichiarazione di risoluzione.
Nel caso di specie, tuttavia, il giudice del merito non ha affatto dichiarato la risoluzione del contratto (cosa che, tra l’altro, di certo non avrebbe potuto fare, non essendo la risoluzione accertabile senza domanda di parte). Si è limitato, per contro, a riqualificare l’eccezione di compensazione proposta dal fallimento in termini di eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ..
Con la conseguenza che – come opportunamente puntualizza la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 8 novembre 2016, n. 22626) – la significatività in concreto dell’inadempimento di cui si discute non si fissa, allora, sui termini fissata dalla norma dell’art. 1455 cod. civ., bensì sulla diversa regola dettata dall’art. 1460 c.c., comma 2, che fa perno sull’eventuale contrarietà al canone della buona fede oggettiva della sollevata eccezione di inadempimento.
Per completezza di discorso, è da aggiungere che, comunque, la motivazione del Tribunale monzese ha dato adeguato conto della significatività dell’inadempimento imputato a R.L. nella sua veste di liquidatore di una società in procinto di fallire. Essa ha infatti posto l’accento sulla “non prudenza” dell’agire in discorso (“il liquidatore avrebbe dovuto prudentemente cercare di far fronte all’aggravio del dissesto prendendo atto della situazione di decozione della società e quindi provvedendo direttamente al deposito di istanza di fallimento in proprio”); come pure sulla “non congruità” di certi suoi atti di oggettivo rilievo (le condizioni economiche pattuite dal liquidatore con l’affittuaria appaiono “del tutto incongrue”: il CTU ha “valutato che il canone “giusto” sarebbe dovuto essere pari a circa il triplo di quanto pattuito”).
11.- In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 5.600,00 (oltre a Euro 100,00 per esborsi).
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, di misura pari a quello dovuto per il ricorso, a mente del medesimo art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 14 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018