LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17838-2017 proposto da:
P.G., nella qualità di titolare della omonima impresa individuale, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GIUSTOZZI;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL, in persona dei Curatori pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIAN GIACOMO PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA GIAMPIERI;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 07/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTO E DIRITTO
1.- P.G. ha presentato domanda di insinuazione in privilegio ex art. 2751 bis cod. civ. al passivo fallimentare della s.r.l. *****. A fondamento della propria richiesta ha dichiarato di avere eseguito in favore della società fallita “lavori di demolizione di “manufatto esistente” e la successiva realizzazione” di un immobile sito in *****.
Su conforme richiesta del curatore (che rilevava, in specie, come non fosse provato nè l’an, nè il quantum del preteso credito), il giudice delegato ha negato accesso alla domanda, così motivando: “non essendo provato il quantum richiesto, atteso che l’accordo quadro è privo di data certa e pertanto inopponibile alla procedura, nè è stata comunque fornita prova del quantum stesso”.
2.- Contro tale esclusione è stata promossa opposizione. Che è stata rigettata con decreto reso in data 7 giugno 2017 dal Tribunale di Ancona.
“I documenti prodotti sono inidonei” – ha ritenuto il Tribunale – a fornire la prova della data dell’accordo quadro, avente ad oggetto i lavori di demolizione di un immobile e la realizzazione di un nuovo fabbricato, in quanto l’atto notarile di compravendita e permuta dell’1 agosto 2012 non contiene espresso riferimento all’accordo quadro e menziona esclusivamente un credito – derivante dalla fattura n. 37 – diverso da quello di cui è stata chiesta l’insinuazione al passivo; le fatture emesse dalla Fratelli S. non sono riferibili al predetto accordo quadro; l’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis è firmato dal solo P.; la verifica dei crediti effettuate nella procedura di concordato preventivo rilevano ai soli fini del calcolo delle maggioranze, ma non hanno valore di accertamento”.
Inoltre, il Tribunale – “rilevato che l’opponente ha articolato tre capitoli di prova (5, 6 e 7) diretti a provare la data della sottoscrizione dell’accordo quadro” – ha affermato che “detta prova appare ammissibile, ma al tempo stesso irrilevante, non essendovi prova agli atti dei lavori effettivamente eseguiti e del compenso maturato”, posto altresì che, in ordine a quest’ultimo aspetto, erano state “prodotte unicamente le fatture emesse e… articolato un capitolo di prova del tutto generico”.
3.- Contro tale decreto è insorto P.G., proponendo ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Si difende il Fallimento, con controricorso.
Entrambe le parti hanno pure depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..
4.- Il primo motivo di ricorso risulta testualmente intestato “violazione di legge – errata applicazione inerente la prova della data certa apposta all’accordo quadro con contestuale errata valutazione delle risultanze istruttorie ex art. 116 cod. proc. civ. comma 1 con conseguente errore processuale ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 4 e 5”.
Nel suo contenuto sostantivo, il motivo viene ad assumere che – “ove il documento contrattuale (accordo quadro) non sia munito di data certa” – la “prova del negozio e della sua stipulazione anteriore al fallimento può essere fornita, prescindendo dal documento contrattuale, con tutti gli altri mezzi consentiti anche nei confronti del curatore”.
Fermato questo punto, il motivo assume che il ricorrente “in via istruttoria ha prodotto documentazione idonea a dimostrare l’anteriorità dell’accordo quadro al fallimento e quindi la fondatezza della pretesa formulata”. E viene in prosieguo ad elencare – in opposizione alla motivazione svolta al riguardo dal Tribunale – di avere in particolare prodotto “quattro fatture emesse e pagate dalla fallita”; delle “fatture fratelli S.”; un'”email inoltrata dal consulente del sig. P.”; l'”accordo ex art. 182 bis e concordato preventivo”; un “atto notarile di permuta”.
5.- Il motivo di ricorso è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'”accertamento della data di una scrittura privata non autenticata e della sussistenza ed idoneità di fatti diversi da quelli specificamente indicati nell’art. 2704 cod. civ., ma equipollenti a questi ultimi, in quanto idonei a stabilire in modo egualmente certo l’anteriorità – o, eventualmente, la posteriorità – della formazione del documento è compito esclusivo del giudice di merito, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivata” (cfr. Cass., 16 febbraio 2017, n. 4104; tra le numerose altre pronunce si vedano altresì, di recente, Cass., 7 febbraio 2018, n. 2987; Cass., 15 marzo 2018, n. 6462).
D’altro canto, l’inammissibilità del motivo segue pure alla constatazione che il motivo difetta del necessario requisito dell’autosufficienza ex art. 366 cod. proc. civ.. Lo stesso non riporta i termini specifici dei più documenti dal cui concorso vorrebbe trarre la sussistenza della certezza di data del contratto quadro, che assume essere base fondante del proprio credito.
6.- Il secondo motivo di ricorso è intestato “vizio di motivazione – omessa ammissione di prova testimoniale omessa valutazione di documenti prodotti – errata valutazione delle risultanze istruttorie ex art. 116 cod. proc. civ., comma 2 – vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5”.
Nel merito, il motivo – che per la verità sembra possedere uno svolgimento non del tutto lineare – lamenta che il giudice del merito non abbia dato ingresso alla prova testimoniale, che era stata richiesta dall’attuale ricorrente, erroneamente ritenendo la stessa “irrilevante”.
“L’articolazione dei capitoli di cui alla prova testimoniale era evidentemente volta” – annota il ricorrente – “a dare conferma (data anteriore al fallimento) all’accordo quadro e di riflesso certezza al credito”: con questa prova “si vuole provare la data certa dell’accordo quadro, rendendolo di fatto opponibile alla curatela essendo pertanto irrilevante la mancanza di prova del credito in quanto la prova del credito è l’accordo quadro”. In definitiva, conclude il motivo, il giudice “ha omesso di spiegare per quali motivi le circostanze sulle quali i testi erano chiamati a rispondere non avrebbero potuto dimostrare l’apposizione di una data certa all’accordo quadro su cui il credito si fonda”.
7.- Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, non viene a confrontarsi con la motivazione addotta dal Tribunale marchigiano; ovvero equivoca in proposito.
In realtà, la motivazione svolta dal decreto circa la mancata ammissione della richiesta prova testimoniale non attiene alla prova del tempo del contratto quadro. Per contro, la stessa risulta in modo univoco focalizzata sulla mancata prova “dei lavori effettivamente eseguiti e del compenso maturato”: mancanza che l’eventuale ammissione della prova testimoniale non potrebbe sanare, posta la genericità dei capitoli dedotti (in effetti, il capitolo numero 1 non va oltre l’indicazione di “lavori eseguiti nel 2012”, senza indagare specificamente su qualità e quantità dei medesimi). E da ciò, a mò di conseguenza ulteriore, la rilevazione della “non utilità” di un’indagine testimoniale circa il tempo di confezione sul contratto quadro. 8.- In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 6.800.00 (di cui Euro 100,00 per esborsi).
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a mente del comma 1 bis del medesimo art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 14 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018