LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6219/2018 proposto da:
R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ROMEO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2147/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI.
RILEVATO
che:
R.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 2147/2017, depositata il 3 ottobre 2017, con la quale è stata confermata la decisione del Tribunale di Trieste del 15 settembre 2016, che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, per il riconoscimento dello status di rifugiato, e le domande subordinate di protezione sussidiaria ed umanitaria, proposte dall’istante;
l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia ritenuto di riconoscere all’istante neppure la misura del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sebbene il medesimo avesse lasciato il suo Paese “a causa del contesto di gravissima povertà” ivi esistente, e si fosse, invece, perfettamente integrato in Italia, essendo “riuscito a trovare, con impegno e sacrificio, un equilibrio sociale e lavorativo che gli ha consentito di provvedere onestamente al suo sostentamento e ad integrarsi perfettamente nel contesto nazionale”.
Ritenuto che:
il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dall’art. 5, comma 6; T.U. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 e D.Lgs.n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non possa escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine;
a tal fine non sia sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass., 23/02/2018, n. 4455).
Considerato che:
nel caso di specie, entrambi i giudice di merito hanno accertato – alla stregua delle stesse dichiarazioni dell’istante – che la motivazione della migrazione era meramente economica – ma non certo nel senso di uno stato di indigenza totale come dedotto nel ricorso – avendo il medesimo contratto, per allontanarsi dal *****, un prestito di una consistente somma di denaro da uno zio paterno, al quale aveva dato in garanzia la propria casa, e che controindicazioni al rimpatrio diverse da quelle economiche, e tali da evidenziare una “fragilità” del richiedente – non sono state nemmeno “paventate”.
Rilevato che:
a fronte di tali accertamenti in fatto, adeguatamente motivati, la censura in esame, sub specie, del vizio di violazione di norme di legge mira, in realtà, ad una rivalutazione delle risultanze di causa operata dal giudice di merito – ancorata, peraltro, soltanto alla reiterata allegazione, come detto di per sè non sufficiente, di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza – così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., 04/04/2017, n. 8758);
pertanto, il mezzo è inammissibile.
Ritenuto che:
il ricorso per cassazione debba essere, per tali ragioni, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018