Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27782 del 31/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. PASQUALINA Anna – Consigliere –

Dott. CONDELLO Piera – Consigliere –

Dott. RICCARDO Guida – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17769-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

THE SPACE CINEMA 2 SPA;

– intimato –

E contro

THE SPACE CINEMA 2 SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO GIULIANI giusta delega in calce;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 66/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 29/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2018 dal Consigliere Dr. VENEGONI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato LAVIOLA per delega dell’Avvocato GIULIANI che si riporta agli scritti.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate recuperava, a carico della società Medusa Cinema spa (poi The Space Cinema 2 spa), mediante atto n. *****, notificato nel dicembre 2006, in base ai rilievi contenuti in un processo verbale di constatazione dell’1.8.2006, il credito di imposta L. 388 del 2000, ex art. 8, che la società aveva utilizzato in compensazione in relazione all’anno 2003 a seguito di investimenti per la realizzazione di tre sale cinematografiche nei comuni di *****, e quest’ultima impugnava il suddetto provvedimento.

Successivamente, nel 2007, il concessionario della riscossione, con cartella n. ***** richiedeva alla società il pagamento della somma di euro 3.150.813,11 a seguito del controllo delle dichiarazioni relative agli anni 2002 e 2003 in cui veniva disconosciuta la compensazione con il suddetto credito di imposta.

La società impugnava la predetta cartella ed i due ricorsi erano riuniti davanti alla CTP di Roma che li accoglieva annullando gli atti impositivi.

Contro tale sentenza proponeva appello l’ufficio, e lo stesso era respinto dalla CTR del Lazio.

Contro tale sentenza ricorre in cassazione l’ufficio sulla base di sette motivi.

Si costituisce la società con controricorso e ricorso incidentale condizionato basato su due motivi.

La società contribuente ha depositato memoria datata 8.5.2018.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’ufficio deduce insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, affermando che la CTR ha travisato il motivo di appello, laddove l’ufficio non aveva dedotto la non fruibilità del beneficio perchè i beni su cui erano avvenuti gli interventi erano di proprietà di terzi, ma perchè solo gli interventi qualificabili come immobilizzazioni materiali possono goderne, e non i meri costi.

Il motivo è infondato.

Infatti, la CTR ha smentito l’accertamento essenzialmente sulla base di una analisi sulla natura degli interventi effettuati, più che per considerazioni sulla proprietà del bene.

E’ vero che la stessa afferma, come dato oggettivo, che l’atto di recupero è fondato sul fatto che il bene è di proprietà di terzi, come se l’Agenzia ritenesse che tale requisito non dia diritto a fruire del beneficio, ma, esaurita questa premessa fattuale, la decisione si fonda sulla tipologia di investimenti.

La CTR infatti prosegue specificando che il requisito essenziale perchè gli interventi possano fruire dell’agevolazione in questione è che gli stessi abbiano una loro autonomia tecnica, che ha riconosciuto nel caso concreto.

Non si ravvisa, quindi, il travisamento del motivo, atteso che la CTR, a ben vedere, si è attenuta al criterio considerato rilevante da tutta la giurisprudenza in materia, che verte sulla natura degli interventi effettuati, più che sulla proprietà del bene.

Con il secondo motivo deduce violazione degli art. 2424 c.c., L. 388 del 2000, art. 8, e D.P.R. 917 del 1986, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la CTR ha ritenuto che anche investimenti su macchine elettroniche, computer, sistemi telefonici, impianti e macchinari specifici, arredi e attrezzatura varia permettano di fruire del credito di imposta, mentre ciò non corrisponde alla normativa rilevante perchè solo le immobilizzazioni immateriali permettono di godere del beneficio, e tali non sono i suddetti.

Il motivo è infondato.

Lo stesso, infatti, non è limitato ad una affermazione di errata interpretazione della normativa, ma sconfina nella richiesta di una analisi di fatto, reclamando che i beni in questione rientrino nel concetto di “mobili e macchine ordinarie di ufficio”, escluse dalla agevolazione, e non in quello di “immobilizzazioni immateriali”, ma si tratta, evidentemente, di una richiesta di riesame della valutazione di fatto compiuta dalla CTR, non sindacabile in questa sede.

Con il terzo motivo deduce violazione degli art. 112 c.p.c., D.Lgs n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè l’avere annullato l’atto di recupero per il solo fatto che le fatture relative agli investimenti non riportavano la dicitura che i beni erano stati acquistati con il credito di imposta in questione, non ha tenuto conto del fatto che tale dizione, sebbene non prevista da fonte normativa, tendeva ad adempiere un requisito previsto dalla legge, e cioè il fatto che la società non avesse fruito di altro credito di imposta sulla base di diversa normativa.

Con il quarto motivo deduce omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la CTR ha interpretato il motivo di appello dell’ufficio sull’omessa indicazione della specifica dicitura sulle fatture come richiesta di dare valore di legge a previsioni di normazione secondaria, mentre il motivo di ricorso dell’ufficio tendeva a voler fare valere l’omessa dimostrazione, da parte della società, di non aver fruito di altri crediti di imposta.

Gli stessi, che possono essere trattati congiuntamente attesa la comune materia, sono infondati.

Affrontando la stessa specifica questione, questa Corte ha avuto, infatti, modo di affermare che la revoca della agevolazione non si può basare sull’elemento formale della mancata dizione in fattura della specifica dicitura indicata dal ricorrente, perchè la stessa è prevista unicamente da circolari e non da una norma di legge:

La Commissione tributaria regionale, facendo propria la tesi dell’Ufficio appellante, ha affermato che l’apposizione, sulle fatture relative all’acquisto di beni o servizi per i quali è applicabile l’agevolazione fiscale, della dicitura “bene acquistato con il credito di imposta di cui della L. del 23/12/2000 n. 388, art. 8,” non è un adempimento meramente formale, ma ha natura sostanziale e comporta la revoca della agevolazione in caso di mancanza della annotazione. Tale conclusione, per quanto contenuta in circolari ministeriali (n. 41/E del 18.4.2991 paragrafo 4 e n. 38/E del 9.5.2002 paragrafo 2.1) che prevedono tale obbligo formale e ne sanzionano l’inosservanza con la revoca della agevolazione, non trova conforto in alcuna previsione normativa. Questa Corte ha ripetutamente affermato che le circolari ministeriali in materia tributaria non sono fonte del diritto, e pertanto non possono imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge e meno che meno istituire cause di revoca della agevolazione fiscale non contenute in una norma di legge (in senso conforme Cass. Sez. 5 n. 22486 del 2013, con specifico riguardo al caso di omessa annotazione sulle fatture della dicitura in oggetto). La disposizione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 8, citata da parte resistente, che prevede l’emanazione di decreti ministeriali per disciplinare lo svolgimento delle verifiche necessarie a garantire la corretta applicazione della agevolazione fiscale, non fornisce alcun fondamento di legittimità alla prassi di introdurre, a mezzo circolare, una causa di revoca della agevolazione non contemplata dalla legge. (Sez. V, n. 25905 del 2017).

Nè può affermarsi che il requisito formale, seppure previsto solo da circolari, integri una previsione, questa volta, normativa per godere dell’agevolazione, e cioè il fatto che la stessa non sia goduta due volte in relazione agli stessi investimenti, come previsto dall’art. 8, comma 1.

Questa è, infatti, eventualmente una funzione solo indiretta dell’adempimento del requisito formale, ma non può far ergere a disposizione di legge la previsione di un atto secondario.

Oltretutto dal comma 8 emerge la possibilità di rideterminare il credito di imposta se sopravvengono fatti che con esso interferiscono, quindi si deve dedurre che l’esigenza del comma 1 può essere salvaguardata anche in altri modi.

Nè si ravvisa il vizio di omessa motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la CTR considerato che il motivo di ricorso non voleva attribuire valore di legge alla normativa secondaria, ma fare rilevare che la società non aveva dimostrato di avere fruito di altri crediti di imposta. Dalla motivazione della CTR si ricava, infatti, la implicita considerazione secondo la quale, nel momento in cui un simile onere della prova a carico del contribuente non è espressamente previsto dalla normativa, almeno nella maniera in cui è declinato dal ricorrente, esso non può essere istituito da una normativa non avente rango di legge.

Con il quinto motivo deduce violazione degli art. 2697 c.c., L. 388 del 2000, art 8, in relazione all’art 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR verificato l’avvenuta dimostrazione, da parte della società, di non aver fruito di altri crediti di imposta.

Con il sesto motivo deduce omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR motivato sullo specifico aspetto per cui per godere del beneficio il contribuente deve dimostrare di non avere goduto di altri crediti di imposta.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente attesa la comune questione, sono infondati.

E’ del tutto evidente che la CTR ha considerato, almeno implicitamente, che non si sia verificata la situazione di doppia fruizione del beneficio – la quale, peraltro, non è mai stata in concreto neppure ipotizzata dall’ufficio.

Ugualmente, dedurre dalla previsione, meramente oggettiva, secondo cui non si può godere due volte del beneficio in relazione agli stessi investimenti, l’esistenza di un onere della prova normativamente previsto a carico del contribuente non appare corretto. La legge non prevede un onere della prova specificamente a carico del contribuente che chiede l’agevolazione, non prevede tale requisito come condizione per ottenere l’agevolazione, cosicchè debba essere provato da chi invoca il beneficio; semmai, può essere un requisito che, se emerge, può condurre a rimodulare o rivedere l’agevolazione.

Con il settimo motivo deduce violazione del D.P.R. 600 del 1973, art. 36 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR, ritenendo che l’annullamento dell’avviso di recupero travolgesse la cartella emessa dall’ufficio, ha errato sull’interpretazione della suddetta norma, perchè nella specie si era in presenza, per il 2002, di un errore solo formale che giustificava l’emissione della cartella.

Così come dedotto, il motivo appare infondato.

Ad avviso di questo collegio, infatti, la CTR non ha errato sulla applicazione della normativa, ma piuttosto ha motivato in maniera non del tutto chiara sulle ragioni dell’annullamento della cartella anche per il 2002.

Tuttavia, come evidenziato, il motivo non è stato dedotto, ed articolato nella sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

A seguito dell’avviso di recupero l’ufficio aveva emesso una cartella per la riscossione degli importi, che, però, riguardava anche il 2002, annualità non riguardante l’avviso di recupero. La CTP aveva annullato atto di recupero relativo al 2003 – e cartella, ritenendo assorbito il motivo di impugnazione relativo alla cartella, per quanto questa riguardasse anche un anno, il 2002, che – come si ripete – non riguardava l’avviso di recupero. L’ufficio ha impugnato tale parte della sentenza in appello denunciando omessa pronuncia sul punto. La CTR afferma che, in realtà, per il 2002 l’asserita indebita compensazione del credito non sussiste perchè il credito di imposta utilizzato è riferibile in massima parte all’agevolazione mentre la parte residua è frutto di un errore contabile rettificato e dice che anche per questo periodo di imposta la mancata indicazione del credito in dichiarazione non determina la revoca dell’agevolazione.

L’ufficio deduce che per il 2002 il sistema ha rilevato una incongruenza tra credito dichiarato e riconosciuto di spettanza, l’importo indicato in dichiarazione quale credito utilizzato in compensazione (rigo 71 del quadro RU) e importo effettivamente utilizzato in compensazione (col mod, F24), e ciò giustifica ex art. 36 bis, l’emissione della cartella indipendentemente dal merito sulla spettanza o meno dell’agevolazione.

Per il 2003 il sistema ha rilevato che incongruenza tra credito riconosciuto di spettanza e la dichiarazione perchè non era stato dichiarato nel quadro RU.

Se è vero che la motivazione della CTR sembra contenere alcuni aspetti critici laddove sembra legare anche l’anno 2002 al problema della revoca dell’agevolazione ed afferma che anche in tale anno si sarebbe verificata la mancata indicazione del credito in dichiarazione (circostanze che l’ufficio contesta), tutto ciò appare però rientrare più nei vizi attinenti alla motivazione della sentenza che all’errata applicazione di norme.

Nessuna considerazione compie, infatti, la CTR sui presupposti per l’applicazione D.P.R. 600 del 1973, art 36 bis, la norma la cui interpretazione, secondo l’ufficio, appare essere stata travisata.

In via di ricorso incidentale condizionato il contribuente deduce violazione, da parte della sentenza impugnata, dell’art 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la CTR rilevato, ed averlo ritenuto legittimo, l’ampliamento della materia del contendere operato dall’ufficio in appello, in quanto originariamente l’ufficio aveva dedotto la non fruibilità del beneficio per essere i beni di proprietà di terzi.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce violazione degli D.P.R. 600 del 1973, artt. 42 e 43, in relazione all’art 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR permesso l’ampliamento della motivazione del recupero del beneficio in appello.

Il rigetto dei motivi di ricorso assorbe i motivi di ricorso incidentale condizionato, che erano subordinati all’eventuale accoglimento dei primi.

Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico di parte ricorrente e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in euro 15.000.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, assorbiti i motivi di ricorso incidentale.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 15.000.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 15 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472