Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27783 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 811/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

THE SPACE CINEMA 2 SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA 6, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO FANTOZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO GIULIANI giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 295/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 07/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIANDACA che si riporta al ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato LA VIOLA per delega dell’Avvocato GIULIANI che si riporta al controricorso.

FATTI DI CAUSA

La società Space Cinema 2 spa (già Medusa Cinema spa) impugnava l’avviso di accertamento n. *****, notificatole il 17.12.2007, con cui l’ufficio recuperava il credito di imposta di Euro 1.827.895,24, che la società aveva utilizzato in compensazione nell’anno 2004 per investimenti ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 8, relativi alla realizzazione di tre impianti di cinema multisala nei comuni di *****, ***** e *****, ritenendo indebito l’utilizzo dello stesso, ed applicando le relative sanzioni.

La CTP di Roma accoglieva il ricorso della società, ritenendo in particolare infondato il motivo di recupero basato sul fatto che i beni non fossero in proprietà, ma detenuti in locazione.

La CTR del Lazio rigettava l’appello dell’ufficio.

Contro tale sentenza ricorre in cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di cinque motivi di ricorso.

Resiste la società con controricorso, nel quale eccepisce la inammissibilità ed infondatezza dei cinque motivi di ricorso.

La società deposita memoria dell’8.5.2018.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’ufficio deduce insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La CTR avrebbe errato nell’affermare che l’ufficio aveva ritenuto non applicabile il credito di imposta alle immobilizzazioni immateriali in genere, in caso di investimenti su beni di terzi; l’atto impositivo, invece, si fondava su una serie di argomentazioni, consistenti essenzialmente nel fatto che, quando sono effettuati su beni di terzi, gli interventi possono godere dell’agevolazione se sono separabili dai beni ed hanno una propria autonomia, ed anche fondate sul fatto che la stessa società aveva contabilizzato le spese per gli interventi tra le “altre immobilizzazioni immateriali” come meri costi.

Il motivo è infondato.

Infatti, la CTR ha smentito l’accertamento essenzialmente sulla base di una analisi sulla natura degli interventi effettuati, più che per considerazioni sulla proprietà del bene.

E’ vero che la stessa afferma, come dato oggettivo, che l’atto di recupero è fondato sul fatto che il bene è di proprietà di terzi, come se l’Agenzia ritenesse che tale requisito non dia diritto a fruire del beneficio, ma, esaurita questa premessa fattuale, la decisione si fonda sulla tipologia di investimenti.

La CTR infatti prosegue specificando che il requisito essenziale perchè gli interventi possano fruire dell’agevolazione in questione è che gli stessi abbiano una loro autonomia tecnica, che ha riconosciuto nel caso concreto.

Non si ravvisa, quindi, il travisamento del motivo, atteso che la CTR, a ben vedere, si è attenuta al criterio considerato rilevante da tutta la giurisprudenza in materia, che verte sulla natura degli interventi effettuati, più che sulla proprietà del bene.

Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 2424 c.c., L. n. 388 del 2000, art. 8 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la CTR avrebbe errato nell’affermare che gli investimenti che danno diritto all’agevolazione comprendono anche quelle opere che, contabilmente, vanno qualificate come immobilizzazioni immateriali, ravvisandole nel caso di specie. Al contrario, le spese effettuate nel caso concreto (apparati elettronici ed elettromeccanici, computers, impianti telefonici, impianti specifici, arredi ed attrezzatura) non costituivano immobilizzazioni immateriali, ma “mobili e macchine ordinarie da ufficio” non agevolabili.

Il motivo è infondato.

Lo stesso, infatti, non è limitato ad una affermazione di errata interpretazione della normativa, ma sconfina nella richiesta di una analisi di fatto, reclamando che i beni in questione rientrino nel concetto di “mobili e macchine ordinarie di ufficio”, escluse dalla agevolazione, e non in quello di “immobilizzazioni immateriali”, ma si tratta, evidentemente, di una richiesta di riesame della valutazione di fatto compiuta dalla CTR, non sindacabile in questa sede.

Con il terzo motivo deduce omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove la CTR ha ritenuto non rilevante l’omissione sulle fatture di acquisto della dicitura “bene acquistato con il credito di imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8”, affermando che la previsione di tale dicitura è contenuta in un documento di prassi e non in una norma di legge. Tale specifica modalità di compilazione delle fatture, infatti, per quanto prevista in una circolare, ha la finalità di preservare un requisito per la fruizione del beneficio previsto dalla legge, e cioè la dimostrazione che la società non abbia goduto di altri benefici in relazione agli stessi investimenti.

Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 388 del 2000, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR accertato l’avvenuta dimostrazione da parte della società della sussistenza di tutti i presupposti necessari per il godimento del credito di imposta, ed in particolare di quello di non avere già goduto di altri benefici in relazione agli stessi investimenti.

Gli stessi, che possono essere trattati congiuntamente attesa la comune materia, sono infondati.

Affrontando la stessa specifica questione, questa Corte ha avuto, infatti, modo di affermare che la revoca della agevolazione non si può basare sull’elemento formale della mancata dizione in fattura della specifica dicitura indicata dal ricorrente, perchè la stessa è prevista unicamente da circolari e non da una norma di legge:

La Commissione tributaria regionale, facendo propria la tesi dell’Ufficio appellante, ha affermato che l’apposizione, sulle fatture relative all’acquisto di beni o servizi per i quali è applicabile l’agevolazione fiscale, della dicitura “bene acquistato con il credito di imposta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8”, non è un adempimento meramente formale, ma ha natura sostanziale e comporta la revoca della agevolazione in caso di mancanza della annotazione. Tale conclusione, per quanto contenuta in circolari ministeriali (n. 41/E del 18.4.2991, par. 4 e n. 38/E del 9.5.2002, par. 2.1) che prevedono tale obbligo formale e ne sanzionano l’inosservanza con la revoca della agevolazione, non trova conforto in alcuna previsione normativa. Questa Corte ha ripetutamente affermato che le circolari ministeriali in materia tributaria non sono fonte del diritto, e pertanto non possono imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge e men che meno istituire cause di revoca della agevolazione fiscale non contenute in una norma di legge (in senso conforme Cass. Sez. 5 n. 22486 del 2013, con specifico riguardo al caso di omessa annotazione sulle fatture della dicitura in oggetto). La disposizione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 8, citata da parte resistente, che prevede l’emanazione di decreti ministeriali per disciplinare lo svolgimento delle verifiche necessarie a garantire la corretta applicazione della agevolazione fiscale, non fornisce alcun fondamento di legittimità alla prassi di introdurre, a mezzo circolare, una causa di revoca della agevolazione non contemplata dalla legge. (Sez. V, n. 25905 del 2017).

Nè può affermarsi che il requisito formale, seppure previsto solo da circolari, integri una previsione, questa volta, normativa per godere dell’agevolazione, e cioè il fatto che la stessa non sia goduta due volte in relazione agli stessi investimenti, come previsto dall’art. 8, comma 1.

Questa è, infatti, eventualmente una funzione solo indiretta dell’adempimento del requisito formale, ma non può far ergere a disposizione di legge la previsione di un atto secondario.

Oltretutto dal comma 8 emerge la possibilità di rideterminare il credito di imposta se sopravvengono fatti che con esso interferiscono, quindi l’esigenza del comma 1 può essere salvaguardata anche in altri modi.

Nè si ravvisa il vizio di omessa motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), per non avere la CTR considerato che il motivo di ricorso non voleva attribuire valore di legge alla normativa secondaria, ma fare rilevare che la società non aveva dimostrato di avere fruito di altri crediti di imposta. Dalla motivazione della CTR si ricava, infatti, la implicita considerazione secondo la quale, nel momento in cui un simile onere della prova a carico del contribuente non è espressamente previsto dalla normativa, almeno nella maniera in cui è declinato dal ricorrente, esso non può essere istituito da una normativa non avente rango di legge.

Con il quinto motivo deduce omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Qualora, infatti, si dovesse ritenere che la CTR abbia implicitamente riconosciuto come dimostrata la mancata fruizione da parte della società di altri aiuti in relazione agli stessi investimenti, la motivazione sarebbe sul punto del tutto carente.

A proposito di questo motivo, in controricorso la società ne deduce l’inammissibilità eccependo che mai prima l’agenzia aveva contestato alla società di avere fruito di altro beneficio per gli stessi beni.

In realtà, dagli atti emerge che la tematica della prevenzione della duplicazione dell’aiuto per gli stessi investimenti era stata dedotta, sebbene non sia stata sollevata una specifica contestazione di fatto alla società di avere goduto due volte del beneficio.

Peraltro, lo stesso è infondato.

E’ del tutto evidente che la CTR ha considerato, almeno implicitamente, che non sia verificata la situazione di doppia fruizione del beneficio, la quale, peraltro, come detto, non è mai stata in concreto neppure ipotizzata dall’ufficio.

Ugualmente, dedurre dalla previsione, meramente oggettiva, secondo cui non si può godere due volte del beneficio in relazione agli stessi investimenti, l’esistenza di un onere della prova normativamente previsto a carico del contribuente non appare corretto. La legge non prevede un onere della prova specificamente a carico del contribuente che chiede l’agevolazione, non prevede tale requisito come condizione per ottenere l’agevolazione, cosicchè debba essere provato da chi invoca il beneficio; semmai, può essere un requisito che, se emerge, può condurre a rimodulare o rivedere l’agevolazione.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente e si liquidano, tenuto conto del valore della causa, in Euro 5.000.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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