LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15789-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
THE SPACE CINEMA 2 SPA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7692/2014 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 17/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato FIANDACA che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI DI CAUSA
La società Space Cinema 2 spa, già Medusa Cinema spa, impugnava il provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva disposto la sospensione del richiesto rimborso IVA relativo ad un credito del terzo trimestre 2009, pari ad Euro 415.706,67, adducendo che due carichi pendenti erano ostativi al rimborso stesso. In particolare, la cartella n. ***** relativa ad un controllo formale della dichiarazione riguardante l’anno 2004, e la cartella n. ***** emessa in riferimento all’atto di recupero di un credito di imposta per l’anno 2005.
La CTP rigettava il ricorso. La società appellava la sentenza e la CTR accoglieva l’appello rilevando che, poichè i suddetti ruoli erano stati oggetto di sgravio da parte dell’ufficio, non esistevano pendenze ostative al rimborso IVA.
Contro tale sentenza ricorre in cassazione l’ufficio sulla base di due motivi. La società non si è costituita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c. nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e dell’art. 124 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè l’intervenuto sgravio non era rappresentativo della infondatezza della pretesa fiscale, ma era stato disposto come atto dovuto a seguito dell’annullamento in primo grado delle due cartelle, in relazione alle quali i giudizi erano comunque ancora pendenti. I carichi ostativi al rimborso, quindi, erano da considerarsi ancora attuali, dato che non era intervenuta alcuna sentenza definitiva di annullamento degli stessi.
2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di decisione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR considerato il fatto decisivo che lo sgravio del ruolo era avvenuto in via amministrativa per effetto delle sentenze di primo grado favorevoli alla società, quale atto dovuto ai sensi del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 68.
3. Ritiene, innanzi tutto, il collegio che, prima ancora di analizzare le due questioni oggetto degli specifici motivi di ricorso, la materia debba essere considerata nella sua globalità, senza che questo significhi travalicare i confini della domanda, atteso che l’applicazione del noto principio “iura novit curia” fa salva la possibilità-doverosità per il giudice di ricercare le norme applicabili alla vicenda descritta in giudizio, ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente anche diversi da quelli richiamati dalle parti, con il solo limite dell’immutazione della fattispecie (Sez. 5, n. 11629 del 2017).
4. Nella specie, si controverte della legittimità della sospensione di una domanda di rimborso iva in presenza di carichi pendenti, e la questione posta dall’ufficio attiene ad un aspetto particolare della vicenda, e cioè – posto che questi sono stati oggetto di sgravio provvisorio solo in virtù dell’esecuzione di una sentenza di primo grado e non spontaneamente – la natura del suddetto sgravio e la sua idoneità a lasciare il carico sempre “pendente” così da giustificare la sospensione del rimborso. Il tutto, come si ricava dalla stessa lettura della sentenza impugnata e del ricorso, sul presupposto che la normativa di riferimento consista nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis.
5. Così delineata la questione nei due motivi di ricorso, la stessa non appare fondata. Va infatti subito osservato che – al di là della questione specifica oggetto del ricorso – questo collegio non ravvisa nell’art. 38-bis citato l’esistenza di carichi pendenti come un motivo ostativo ai rimborsi iva.
6. Già ad una prima lettura della norma, e quindi sulla base di un argomento meramente letterale, non si trova affermato in essa che l’esistenza di carichi pendenti fiscali giustifichi la sospensione del rimborso iva. L’unica pendenza che, nella disposizione – nelle sue varie versioni che si sono succedute negli anni -, giustifica la sospensione del rimborso è quella di un procedimento penale per uno dei reati fiscali di cui alla previgente disciplina del D.L. n. 429 del 1982, convertito in L. n. 516 del 1982. In tal caso, il rimborso può essere sospeso fino alla definizione del procedimento suddetto. Si tratta, però, di ipotesi che non ricorre nella specie, atteso che mai è stata prospettata negli atti di causa la pendenza di un siffatto procedimento penale nei confronti dei legali rappresentanti della contribuente.
7. Per il resto, la tutela dell’interesse dello Stato nell’esecuzione del rimborso è affidata ad un sistema basato sulla prestazione di garanzie e non è prevista, quindi, alcuna sospensione dello stesso per carichi fiscali pendenti.
8. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, a proposito di questa norma, che la stessa rappresenta una sorta di sistema “chiuso” e specifico in tema di rimborsi iva, il quale, proprio attraverso un articolato sistema di garanzie, tende a tutelare l’interesse dell’Erario all’eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente, prevedendo, appunto, una specifica garanzia a favore dell’Amministrazione, e “preclude, pertanto, l’applicazione a detti rimborsi dell’istituto del fermo amministrativo, previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 (cfr. Cass n. 27265/06, 10199/03)”. (Sez. 5, n. 15424 del 2009).
9. Tale norma, in quanto speciale, è da ritenere prevalente su altre norme peraltro non invocate nel caso di specie – tendenti, in vari modi, ad assicurare garanzie all’Erario a fronte di pagamenti da esso effettuati, per quanto non si ignori un altro orientamento di questa Corte, anche più recente del primo, secondo il quale anche ai rimborsi iva sarebbe applicabile l’istituto previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 (c.d. fermo amministrativo), che prevede che una amministrazione dello Stato che vanti a qualsiasi titolo ragioni di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni può richiedere la sospensione del pagamento di dette somme, in quanto espressione del potere di autotutela della P.A. (Sez. 5, n. 25893 del 2017).
10. La specialità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis è, tuttavia, un argomento significativo per ritenerne la applicabilità e la conseguente irrilevanza, nella specie, dell’esistenza di un carico pendente, indipendentemente dal fatto che esso sia stato oggetto di sgravio in esecuzione della sentenza di primo grado.
11. Inoltre, essendo l’iva un’imposta armonizzata, anche qualora si volesse astrattamente ammettere che il rimborso possa essere sospeso per la pendenza di un carico fiscale, occorrerebbe verificare la compatibilità di tale misura con il diritto dell’Unione.
11.1. Orbene, è principio incontestato nella disciplina dell’iva, derivante dall’ordinamento dell’Unione, che per i soggetti passivi obbligati nei confronti dell’Erario (imprenditori o lavoratori autonomi), l’applicazione dell’imposta è, in via di principio, neutrale, atteso che l’iva sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti mediante la rivalsa, mentre l’imposta sulle operazioni passive (e cioè sugli acquisti effettuati) è recuperata mediante detrazione dall’imposta dovuta, sub specie di un credito, derivante da compensazione, vantato nei confronti dell’Erario.
11.2. Il meccanismo della detrazione, e la riscossione dell’eventuale credito del contribuente, è quindi essenziale per la tutela del principio di neutralità dell’imposta che, altrimenti, verrebbe messo in pericolo, snaturandone l’essenza.
11.3. Infatti, la Corte di Giustizia, che ha sempre ribadito l’importanza del principio di neutralità dell’imposta (CGUE, sentenza 11.04.2013 in causa C138/12), pur ammettendo che la restituzione dell’eccedenza da parte dello Stato possa avvenire anche tramite compensazione, semprechè il rimborso venga effettuato entro termini ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba incorrere in alcun rischio finanziario (CGUE sentenza 12.5.2011 in causa C-107/10), ha avuto occasione di affermare che misure nazionali di natura conservativa che incidano sulla restituzione dell’eccedenza dell’iva (quali trattenute, ma nelle stesse può certamente rientrare anche una misura come la sospensione del rimborso), se non sono a priori in contrasto con l’ordinamento dell’Unione perchè tendono ad assicurare un interesse ugualmente degno di tutela, e cioè quello dell’Erario in presenza di situazioni quali frodi fiscali o semplicemente crediti dello Stato, devono però rispondere al principio di proporzionalità, che si estrinseca nel fatto che, pur potendo gli Stati fare ricorso a tali misure, le stesse devono portare il minor pregiudizio possibile agli obiettivi ed ai principi stabiliti dalla normativa dell’Unione. In particolare, tali misure non devono porre in discussione sistematicamente il diritto alla deduzione dell’iva ed il suo esercizio, che è principio fondamentale del sistema comune di tale imposta istituito dalla normativa Euro-unitaria (CGUE, sentenza 18.12.1997 in cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95, C-47/96; CGUE, sentenza 12.5.2011 in causa C-107/10, che riguarda un aspetto specifico del problema, e che ha affermato che il principio di neutralità fiscale deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento).
11.4. Ora, in base a tali principi, ritenere che la sola esistenza di un carico pendente giustifichi di per sè la sospensione del rimborso iva significa, di fatto, accettare il rischio di vanificare in maniera generalizzata ed indefinita nei tempi l’esecuzione del rimborso stesso, e quindi un meccanismo di funzionamento dell’imposta.
12. In conclusione, sulla base di tutte le considerazioni che precedono, si deve ritenere che il ricorso dell’ufficio non possa essere accolto, perchè la questione in esso sollevata – se lo sgravio della cartella in applicazione della sentenza di primo grado renda il carico sempre “pendente” -, è superata dal fatto che, in ogni caso, il meccanismo per la tutela dello Stato non è quello della sospensione del rimborso, tanto meno sulla base del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis art. 38-bis.
13. La domanda deve, pertanto, essere respinta, a prescindere dal fatto che nella specie la garanzia sia stata richiesta o meno, essendo questa materia di fatto non sindacabile in questa sede, e peraltro neppure prospettata.
14. Non essendosi costituita la società contribuente nel presente giudizio, nulla vi è da statuire sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018