Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27788 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10961/2013 proposto da:

G. COSTRUZIONI DI G.A. SAS, elettivamente domiciliato in CARDITO VIA CESARE BATTISTI 94, presso lo studio dell’avvocato A.G., rappresentato e difeso dall’avvocato BENITO ANTONIO ESPOSITO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 222/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 04/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VITIELLO MAURO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La società G.C. s.a.s. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della CTR della Campania n. 22/08/12, emessa il 26.9.2012 e depositata il 4.10.2012, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dalla stessa contribuente avverso la sentenza di prime cure, che aveva disposto la compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi, non meglio specificati, nonostante avesse accolto il ricorso della contribuente avverso il provvedimento di fermo amministrativo di autovetture notificatogli da Equitalia Sud s.p.a..

La sentenza della CTR, in particolare, ha rigettato l’appello in punto di compensazione delle spese rilevando che la stessa corrisponde ad un potere discrezionale del giudice il cui esercizio, particolarmente nell’ipotesi di sussistenza di giusti motivi, non richiede una specifica motivazione.

La ricorrente ha depositato memoria. Equitalia Sud s.p.a. è rimasta intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce violazione degli artt. 91,92 e 132 c.p.c., n. 4; art. 118 disp. att. c.p.c.; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 15,36,52 e 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando, in particolare, che la CTR ha errato nel non tenere conto del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 e art. 92 c.p.c., vigente ratione temporis, quale risultante dalla riforme operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, trattandosi di procedimento introdotto con ricorso depositato in data 10.5.2010.

Il motivo è fondato.

Il D.Lgs. n. 546 del 92, art. 15, nel testo applicabile all’epoca della decisione, recita: “La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2”.

A sua volta, l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, prevede che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”.

Nell’interpretare il dettato normativo, questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, 25/09/2017, n. 22310, Rv. 645998 – 01), ha affermato che “In tema di spese giudiziali, ai sensi dell’art 92 c.p.c., nella formulazione vigente “ratione temporis”, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, “la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale”) inidonea a consentire il necessario controllo”.

Nella specie, premesso che la società ricorrente era risultata totalmente vittoriosa nel primo grado di giudizio e che la formula adottata dalla CTP in ordine alla compensazione delle spese (“sussistono giusti motivi”, senza ulteriori specificazioni) non era conforme al dettato normativo vigente, la CTR ha rigettato l’appello della contribuente sul punto, rilevando erroneamente – sulla scorta di precedenti giurisprudenziali di legittimità riferiti alla disciplina anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, – che la compensazione delle spese corrisponde ad un potere discrezionale del giudice il cui esercizio, particolarmente nell’ipotesi di sussistenza di giusti motivi, non richiede una specifica motivazione; conseguentemente, la decisione impugnata è incorsa nella violazione di legge dedotta dalla società contribuente.

2. Con il secondo motivo, si deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 15,36 e 53; art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 cod. cit., comma 1, n. 4, non essendosi la CTR pronunciata sulla domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata (lite temeraria) ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2 e di risarcimento ex art. 96 c.p.c., comma 3, (c.d. danno punitivo) formulata con l’atto di appello (punto n. 4 dell’atto).

Il motivo è infondato.

Va osservato, in primo luogo, che nelle conclusioni formulate nell’atto di appello – il cui esame non è precluso al Collegio in caso di contestazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 – non risulta compresa la domanda di risarcimento danni ai sensi dell’art. 96, commi 1 e 2, ma unicamente quella di condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., che costituisce fattispecie autonoma e distinta, per al quale valgono le considerazioni formulate infra.

In ogni caso, la pronuncia di condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria presuppone, in base al tenore dell’art. 96 c.p.c., comma 1 b(“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”), la condanna alle spese della parte soccombente, alla quale si aggiunge.

Nella specie, la CTR, affermando (sia pure erroneamente) la correttezza della pronuncia della CTP in ordine alla compensazione delle spese giudiziali e, conseguentemente, rigettando la domanda dell’appellante volta ad ottenere, in riforma della decisione di prime cure, la condanna della controparte al pagamento delle predette spese, ha implicitamente, ma in modo inequivocabile sul piano logico, escluso la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per lite temeraria.

Analogamente, quanto all’ipotesi “sanzionatoria” di cui all’art. 96 cit., comma 3, va osservato che la stessa presuppone la condanna del soccombente al rimborso delle spese processuali in favore dell’altra parte, nella specie mancante (“In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”).

Va, inoltre, aggiunto che, secondo l’orientamento di questa Corte cui il Collegio intende aderire, l’applicazione di tale sanzione processuale, indipendente da ogni istanza ed allegazione di parte, è rimessa alla piena discrezionalità del giudice e non corrisponde ad un diritto della parte azionabile in giudizio, in quanto l’applicazione della sanzione è collegata ad una iniziativa officiosa del giudice indipendente dalla richiesta della parte, la quale, pertanto, non dispone di un diritto di azione in relazione a tale profilo. (Cass. Sez. 6 – 2, 11/02/2014, n. 3003, Rv. 629613 – 01, secondo cui “La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa, sicchè essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa”).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; si tratterebbe, in particolare, del fatto relativo all’insussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni che, sole, avrebbero potuto giustificare la compensazione delle spese.

Il motivo è da considerarsi assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

4. In base alle svolte argomentazioni va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il terzo, con rigetto del secondo motivo; la sentenza deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice del merito, in diversa composizione, che si atterrà ai principi enunciati, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo; rigetta il secondo motivo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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