LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10590/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
Virgilio s.p.a. in liquidazione, in persona del commissario liquidatore e del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Salvatore Taverna e Francesco d’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, piazza Mincio, 2;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 2, depositata il 11 gennaio 2011;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore S.R., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli avv. Eugenio De Bonis, per la ricorrente, e Salvatore Taverna e Francesco D’Ayala Valva, per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata l’11 gennaio 2011, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Impronta Ceramiche s.p.a. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2003, erano stati rideterminati l’imponibile a fini i.r.pe.g. e i.r.a.p. e la maggiore i.v.a. dovuta e recuperate a tassazione le imposte non versate.
2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che la ripresa fiscale muoveva dalla riqualificazione di operazioni considerate di cessione di campioni gratuiti di modico valore – aventi ad oggetto piastrelle non montate su espositori e piastrelle montate su espositori – in cessioni gratuite imponibili, in relazione alla ritenuta insussistenza del requisito dell’apposito contrassegno sui beni ceduti prescritto dalla normativa vigente per poter considerare tali beni campioni gratuiti e le relative operazioni non imponibili.
2.1. Il giudice di appello, concordando con la valutazione della Commissione provinciale, ha confermato la decisione di annullamento dell’atto impositivo.
3. Il ricorso è affidato a cinque motivi.
4. Resiste con controricorso la Impronta Ceramiche s.p.a., nelle more ammessa al concordato preventivo, oggi Virgilio s.p.a. in liquidazione, la quale deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso proposto l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi sui motivi di appello dalla medesima proposti concernenti, in particolare, l’indebita applicazione del regime di non applicabilità dell’imposta di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. d), e l’omessa dichiarazione del valore normale delle cessioni gratuite effettuate ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, comma 2, nella formulazione pro tempore vigente.
1.1. Il motivo è infondato.
Il giudice di appello ha motivato la sua decisione, concordando con i giudici di primo grado e con le difese di parte appellata, secondo cui il contrassegno apposto sui beni ceduti era idoneo a indicare la natura dell’operazione e coerente con le prescrizioni normativamente imposte, con la considerazione “che la prassi commerciale, adottata è descritta dal ricorrente, è quella normalmente applicata nel settore ceramico e, difatti, i beni ceduti… risultano assolvere la fondamentale funzione di consentire, con l’esposizione al consumatore, di prendere visione e scegliere il prodotto che corrisponda alle sue esigenze”.
Ha, inoltre, aggiunto che le cessioni dei campioni in oggetto non vanno valutate come fini a sè stesse, ma inserite “nel contesto produttivo organizzato della azienda allo scopo di migliorare le condizioni commerciali della stessa”.
La Corte territoriale ha, dunque, argomentato il rigetto della pretesa erariale in ragione della correttezza del comportamento della contribuente, giudicato coerente con la prassi del settore e con le esigenze di una più efficiente commercializzazione dei prodotti messi in vendita, e del rispetto delle prescrizioni imposte per poter qualificare le operazioni in esame quali cessioni di campioni gratuiti di modico valore non imponibili.
Si è, dunque, in presenza di una motivazione che indica gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo, in tal modo, possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
2. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il giudice di appello respinto i gravami rinviando, sic et simpliciter, al contenuto della sentenza di primo grado, e limitandosi ad affermare di condividere la pronuncia di prime cure.
2.1. Il motivo è infondato, in quanto, come evidenziato in precedenza, la sentenza di appello non si è limitata a ritenere infondati i motivi di gravame operando un acritico e generico rinvio al contenuto della sentenza di primo grado, ma, premettendo di concordare con le valutazioni operate in quest’ultima, ha espressamente indicato le ragioni in base alle quali le tesi dell’Agenzia delle Entrate non erano meritevoli di accoglimento.
3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, in ulteriore subordine, della medesima violazione di legge, sotto altro profilo, in quanto la sentenza impugnata difetterebbe della specificazione delle circostanze di fatto e/o delle prove poste a fondamento delle conclusioni, nonchè del riferimento alla fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio.
3.1. Il motivo è infondato.
La sentenza, seppur succintamente motivata, consente di individuare l’oggetto della pretesa erariale, consistente nel recupero dell’i.r.pe.g., i.r.a.p. e i.v.a. non versate, per l’anno di imposta 2003, in conseguenza al disconoscimento della non imponibilità dell’operazione di cessione gratuita di campioni di modico valore per difetto del requisito dell’apposito contrassegno prescritto dalla normativa.
Reca l’illustrazione dell’oggetto dei motivi di appello articolati dall’Amministrazione finanziaria, incentrati sulla mancanza di tale requisito e, conseguentemente, sulla impossibilità di ritenere tali operazioni quali cessioni di beni rilevanti ai fini dell’applicazione dell’i.v.a.
Argomenta, infine, sulle ragioni che ostano all’accoglimento di tali motivi di appello.
4. Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione alla ritenuta osservanza da parte della contribuente delle formalità prescritte per l’applicazione del regime di non applicabilità dell’i.v.a. alle operazioni in esame, nonchè all’insussistenza dell’obbligo della medesima contribuente di dichiarare, ai fini i.v.a. e i.r.pe.g., il valore normale dei beni ceduti nel corso dell’anno.
4.1. Il motivo è inammissibile, poichè il vizio motivazionale denunciato non inerisce ad un fatto, ma ad un giudizio di diritto, censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (cfr., sull’oggetto del vizio di motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., Cass. 4 agosto 2017, n. 19567);
5. Con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, comma 2(ora, art. 85, comma 2), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 24, comma 4, e L.R. dell’Emilia Romagna 2001, n. 48, art. 8 per aver la sentenza impugnata escluso che i beni oggetto delle cessioni fossero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa e che, dunque, il loro valore normale assumesse rilevanza ai fini della quantificazione dei ricavi.
5.1. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha rilevato che la contribuente ha effettuato le operazioni di cessione gratuita dei beni in esame al fine di promuovere le vendite e migliorare, in tal modo, i risultati dell’attività di impresa.
Una siffatta finalità non può considerarsi estranea all’esercizio dell’impresa, per cui non sussiste il presupposto per l’operatività dell’invocato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, comma 2, (già, ART. 53, comma 2), secondo cui tra i ricavi va considerato anche il valore normale dei beni di cui al comma 1 – tra cui quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (lett. a) e le materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (lett. b) – a condizione che siano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
6. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.
7. In considerazione della novità della questione appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018