Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27794 del 31/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10593/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Virgilio s.p.a. in liquidazione, in persona del commissario liquidatore e del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Salvatore Taverna e Francesco d’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, piazza Mincio, 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 96/16/10, depositata il 13 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018 dal Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Rita Sanlorenzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

uditi gli avv. Eugenio De Bonis, per la ricorrente, e Salatore Taverna e Francesco D’Ayala Valva, per la controricorrente

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 13 dicembre 2010, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Impronta Ceramiche s.p.a. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2002, erano stati rideterminati l’imponibile a fini i.r.pe.g. e i.r.a.p. e la maggiore i.v.a. dovuta e recuperate a tassazione le imposte non versate.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che la ripresa fiscale muoveva dalla riqualificazione di operazioni considerate di cessione di campioni gratuiti di modico valore – aventi ad oggetto piastrelle non montate su espositori e piastrelle montate su espositori – in cessioni gratuite imponibili, in relazione all’insussistenza del requisito dell’apposito contrassegno sui beni ceduti prescritto dalla normativa vigente per poter considerare tali beni campioni gratuiti e le relative operazioni non imponibili.

2.1. Il giudice di appello, concordando con la valutazione della Commissione provinciale, ha confermato la decisione di annullamento dell’atto impositivo.

3. Il ricorso è affidato a cinque motivi.

4. Resiste con controricorso la Impronta Ceramiche s.p.a., nelle more ammessa al concordato preventivo, oggi Virgilio s.p.a. in liquidazione, la quale deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso proposto l’Agenzia denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art, 36, comma 2, n. 4 e art. 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il giudice di appello respinto i gravami rinviando, sic et simpliciter, al contenuto della sentenza di primo grado, limitandosi ad affermare di condividere sentenza prime cure.

2. Con il secondo motivo deduce la violazione dei medesimi articoli di legge, in relazione al medesimo parametro normativo, allegando il carattere meramente apparente della motivazione.

2.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.

Il giudice di appello ha motivato la sua decisione affermando che “la procedura usata dal contribuente per gli omaggi di piastrelle non montate su espositori, fondata sull’apposizione di un’etichetta autoadesiva sulle scatole di imballaggio, è ossequiante alla normativa vigente”, in quanto tale etichetta “è facilmente visibile e d’impossibile rimozione”, aggiungendo che le spese sostenute per l’approntamento e la diffusione dei campioni sono inerenti l’esercizio dell’impresa poichè dirette a acquisire nuova clientela o a incrementare le forniture ai clienti già esistenti e, per tale via, ad incrementare le vendite.

Del pari corretta e inerente all’attività di impresa è giudicata la procedura usata dalla contribuente per gli omaggi di piastrelle montate su espositori, evidenziando che “l’utilizzo degli espositori assume un carattere meramente funzionale rispetto all’obiettivo di presentare adeguatamente i campioni per favorire la vendita delle piastrelle”.

La Corte territoriale ha, dunque, argomentato il rigetto della pretesa erariale con una motivazione che indica gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo, in tal modo, possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, individuato, quanto alle cessioni gratuite di piastrelle non montate su espositori, nella facile visibilità ed impossibile rimuovibilità delle etichette autoadesive apposte sulle scatole di imballaggio e, quanto alle cessioni gratuite di espositori contenenti le piastrelle, nel carattere funzionale dell’utilizzo di tali espositori rispetto alla commercializzazione delle piastrelle.

3.1. Il motivo è inammissibile, risolvendosi nella contestazione dell’apprezzamento dei fatti operata dal giudice di appello.

Come noto, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità, l’affidabilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti (cfr. Cass., ord., 4 agosto 2017, n. 19547).

La differente lettura ipotizzata in ricorso scivola sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di fatto, incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema, cui spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie, nonchè la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi in ordine ai motivi di appello dalla medesima proposti vertenti sul recupero a tassazione, ai fini i.r.pe.g. e i.r.a.p., dell’importo nominale pari al valore normale di tutte le cessioni gratuite di beni effettuate dalla società contribuente.

4.1. Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha giudicato “inconsistente… l’accertamento dell’Ufficio” e “corretto… il comportamento del contribuente”, giungendo, conseguentemente, alla conferma della sentenza di primo grado.

Da tali affermazioni può evincersi che la Corte territoriale si è espressa, sia pure in via implicita, in ordine a tutti i motivi di gravame proposti dall’Agenzia, ritenendo integralmente prive di consistenza le doglianze da questa sollevate avverso la decisione che aveva annullato l’atto impositivo.

5. Con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, comma 2 (ora, art. 85, comma 2), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 24, comma 4 e L.R. Emilia Romagna 2001, n. 48, art. 8, per aver la sentenza impugnata escluso che i beni oggetto delle cessioni fossero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa e che, dunque, il loro valore normale assumesse rilevanza ai fini della quantificazione dei ricavi.

5.1. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha rilevato che la contribuente ha effettuato le operazioni di cessione gratuita dei beni in esame al fine di promuovere le vendite.

Una siffatta finalità non può considerarsi estranea all’esercizio dell’impresa, per cui non sussiste il presupposto per l’operatività del D.P.R. n. 917 del 1986, invocato art. 85, comma 2, (già, art. 53, comma 2), secondo cui tra i ricavi va considerato anche il valore normale dei beni di cui al comma 1 – tra cui quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (lett. a) e le materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (lett. b) – a condizione che siano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

6. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.

7. In considerazione della novità della questione appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472