LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PATUTARO DONATI M. Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4679/2016 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
***** s.p.a. in liquidazione, in persona del commissario liquidatore e del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Salvatore Taverna e Francesco d’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, piazza Mincio, 2;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 1962, depositata il 2 ottobre 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018 dal Consigliere Dr. Catallozzi Paolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr.
Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli avv. Eugenio De Bonis, per la ricorrente, e Salvatore Taverna e Francesco D’Ayala Valva, per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 2 ottobre 2015, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto e di accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla ***** s.p.a. (poi, ***** s.p.a. in liquidazione) avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2004, era stata contestata l’omessa autofatturazione di operazioni imponibili ai fini i.v.a. e l’omessa regolarizzazione di operazioni di cessione all’esportazione.
2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che, quanto alla omessa autofatturazione, il rilievo muoveva dalla riqualificazione di operazioni considerate di cessione di campioni gratuiti di modico valore – aventi ad oggetto piastrelle non montate su espositori e piastrelle montate su espositori – in cessioni gratuite imponibili, in relazione all’insussistenza del requisito dell’apposito contrassegno sui beni ceduti prescritto dalla normativa vigente per poter considerare tali beni campioni gratuiti e le relative operazioni non imponibili.
2.1. In essa si dà atto che la Commissione provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso, limitatamente al rilievo relativo alla omessa autofatturazione.
2.2. Il giudice di appello ha confermato, sul punto, la decisione di primo grado e ha respinto l’appello incidentale della contribuente in ordine al rilievo attinente l’omessa regolarizzazione delle operazioni di cessione all’esportazione e alle sanzioni applicate.
3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.
4. Resiste con controricorso la ***** s.p.a. in liquidazione, la quale deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 2, comma 2, n. 4, e comma 3, lett. d), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e art. 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata escluso che la non imponibilità delle operazioni di cessione di campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnate richiedesse che il contrassegno dovesse presentare carattere indelebile.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha escluso l’imponibilità delle cessioni in esame in considerazione della inesistenza di un obbligo di contrassegno dei beni con dicitura “campioni gratuiti” apposta in modo indelebile, ritenendo sufficiente una “marcatura chiara” e riconoscendo l’imponibilità, ai fini dell’i.v.a., delle cessioni dei campioni solo in presenza della prova, cui sarebbe onerata l’Amministrazione finanziaria e da offrire con “apposite indagini di natura operativa”, della destinazione dei beni per finalità diverse da quelle della promozione dei prodotti.
1.2. L’Amministrazione finanziaria sostiene che il contrassegno deve, invece, avere i caratteri della riconoscibilità e dell’impossibilità di rimozione, per evitare che i campioni stessi siano commercializzati ed immessi sul mercato.
Evidenzia che, sin dal 1973, con diverse risoluzioni ministeriali, è stato precisato che i campioni omaggio non sono soggetti all’imposta a condizione che tale qualità e destinazione risulti da apposito contrassegno stampigliato in modo indelebile sull’involucro dei prodotti, non risultando sufficiente una semplice etichetta autoadesiva.
Sotto altro aspetto, contesta la sussistenza di un onere della prova, che il giudice di appello avrebbe posto a suo carico, in ordine alla destinazione dei campioni a finalità diverse dalla promozione dei prodotti 1.3. In proposito, deve rammentarsi che, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 2, n. 4, nella formulazione applicabile al caso in esame, stabilisce che costituiscono cessioni di beni (anche) le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36 bis.
Il comma successivo, alla lett. d) esclude, invece, dall’imponibilità ai fini dell’i.v.a. le cessioni gratuite di campioni quando questi sono di modico valore, in coerenza con quanto previsto dall’art. 5, n. 6, seconda frase, della sesta direttiva Iva, prevedendo, tuttavia, la condizione, non espressa dalla normativa eurounitaria, che tali campioni siano “appositamente contrassegnati”.
1.4. Si osserva che, con sentenza del 30 settembre 2010, nella causa EMI Group Ltd, la Corte di Giustizia, dopo aver premesso che la non imposizione delle operazioni di cessione dei campioni si giustifica – e in tal senso va circoscritta – solo in funzione della promozione dei prodotti, sottolinea che per qualificare i beni forniti come campioni “è necessario che questi ultimi abbiano tutte le caratteristiche essenziali del prodotto che essi rappresentano nella sua forma definitiva”, per cui se, in alcuni casi, gli esemplari possono presentare tutte le caratteristiche essenziali del prodotto rappresentato senza assumere la forma definitiva di quest’ultimo, in altri, può risultare necessario, “in funzione della natura di tale prodotto, che gli esemplari corrispondano esattamente al prodotto definitivo, affinchè queste caratteristiche possano essere rese note all’acquirente potenziale od effettivo”.
Ha aggiunto che, al fine di garantire pienamente il rispetto dei limiti dell’eccezione di cui all’art. 5, n. 6, seconda frase, della sesta direttiva, gli Stati membri possono imporre ai soggetti passivi che distribuiscono campioni per le esigenze della loro impresa di adottare precauzioni per evitare i rischi che questi campioni siano usati in modo abusivo, quali, ad esempio, obblighi di etichettatura che indichino la qualità di campione del bene o clausole contrattuali relative alla responsabilità civile degli intermediari che ricevano campioni per trasmetterli ad altre persone.
Ha, infine, precisato che qualora la distribuzione di campioni comporti un consumo finale che non è inerente alla valutazione del prodotto da essi rappresentato un siffatto consumo costituisce un abuso.
1.5. La previsione di un apposito contrassegno sui beni destinati alla distribuzione quali campioni, non imposta dal legislatore eurounitario, risulta essere funzionale all’interesse di evitare facili elusioni della disciplina fiscale, oltre che pratiche distorsive della concorrenza, ma non può condurre alla frustrazione dell’esigenza propria delle operazioni in esame di promozione del prodotto e, in particolare, di consentire al pubblico – distributori o acquirenti potenziali – di esaminare tutte le caratteristiche essenziali del prodotto finale, al fine di poter pervenire ad una informata valutazione dello stesso.
Conseguentemente, l’obbligo del legislatore nazionale di contraddistinguere i campioni con un apposito contrassegno deve essere interpretato – anche in considerazione della genericità dell’espressione utilizzata – nel senso che il cedente è tenuto a caratterizzare tali beni con un’etichettatura o altro segno grafico, idoneo ad evidenziare la loro specifica ed esclusiva destinazione alla presentazione del prodotto al pubblico, con divieto di una loro successiva commercializzazione.
Non può, dunque, ritenersi che un siffatto contrassegno debba presentare, come, invece, sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, anche il carattere dell’indelebilità ed essere apposto mediante lacerazione, perforazione o marcatura indelebile, in quanto tale forma di contrassegno – peraltro, non prevista dalla normativa primaria o secondaria – risulta idonea a pregiudicare la finalità di promozione dei prodotti cui la cessione dei campioni è preordinata.
1.6. In senso contrario alla sussistenza dell’obbligo di un contrassegno indelebile milita anche la considerazione che la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia, nel consentire agli Stati membri la facoltà di imporre, ai fini della non imponibilità delle operazioni, l’etichettatura dei campioni, sembra affidare il soddisfacimento della finalità preventiva sottesa a tale obbligo al contenuto informativo che tale etichettatura è destinata a veicolare, piuttosto che ad un’alterazione delle caratteristiche esteriori del prodotto tali da rendere lo stesso inidoneo ad un successivo utilizzo, con possibili ripercussioni sul soddisfacimento della funzione propria affidata al campione omaggio.
Infatti, l’etichettatura dei campioni è consentita, per finalità preventiva di eventuali abusi, in alternativa alla previsione di clausole contrattuali finalizzate ad orientare il comportamento del cessionario, su cui, principalmente, sembra ricadere la responsabilità di un consumo finale del campione non coerente con la valutazione del prodotto da essi rappresentato.
1.7. In assenza di una puntuale previsione normativa che preveda l’indelebilità del contrassegno, deve, dunque, ritenersi che l’obbligo di contrassegnare i campioni sia correttamente assolto mediante l’apposizione di un’etichettatura, benchè rimuovibile, sui beni ovvero, qualora ciò possa alterare le caratteristiche dei beni che possono assumere rilevanza in sede di una attenta valutazione dei prodotti, anche in chiave comparativa con altri beni della stessa specie, da parte dei potenziali acquirenti, sull’involucro che li contiene.
1.8. Nel rispetto di tali limiti va interpretato il riferimento alla “prescritta apposizione intrinseca del contrassegno” contenuto nell’ordinanza di questa Corte n. 27568 del 10 dicembre 2013, richiamata dalla ricorrente, per cui l’apposizione di un’etichettatura sui campioni non può mai incidere sulla possibilità di un’adeguata valutazione delle caratteristiche essenziali e della qualità dei beni rappresentati.
1.9. Così ricostruito il quadro normativo, deve ritenersi che la Corte territoriale, nell’escludere la sussistenza di un obbligo di contrassegnare in modo indelebile i campioni ai fini della non imponibilità ai fini dell’i.v.a. delle relative cessioni, abbia fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto.
2. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.
3. In considerazione della novità della questione appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018