Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27796 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3000/2011 R.G. proposto da:

Alessandria 2000 s.r.l., in proprio e quale incorporante la Nidar s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Franco Paneri e Guido Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pacuvio, n. 34;

– ricorrente –

contro

Comune di Alessandria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Claudio Sacchetto e Francesco D’Ayala Valva, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli, n. 43;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Torino depositata il 27 settembre 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 settembre 2018 dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;

uditi l’Avv. Lorenzo Romanelli per delega scritta dell’Avv. Guido Romanelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giacalone Giovanni, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del terzo motivo e il rigetto del resto.

FATTI DI CAUSA

Alla Alessandria 2000 s.r.l. vennero notificati:

in data 26 luglio 2007, l’avviso di accertamento n. 73198/2005, per l’importo di Euro 154.921,00, pari alla differenza fra l’imposta versata a titolo di ICI e quella che il Comune di Alessandria riteneva dovuta per taluni terreni, oltre interessi di mora;

– in data 6 settembre 2007, la cartella di pagamento n. ***** emessa dall’agente di riscossione Equitalia Esatri s.p.a. per l’importo di Euro 861.870,53 iscritto a ruolo dal Comune di Alessandria per ICI, sanzioni pecuniarie e interessi di mora, sulla base degli avvisi di accertamento *****;

in data 8 ottobre 2007, la cartella di pagamento n. ***** emessa dall’agente di riscossione Equitalia Esatri s.p.a. per l’importo di Euro 236.154,99 iscritto a ruolo dal Comune di Alessandria per ICI, sanzioni pecuniarie e interessi di mora, sulla base degli avvisi di accertamento ***** (per l’esattezza, la cartella di pagamento fu notificata alla Nidar s.r.l., incorporata dalla Alessandria 2000 s.r.l.).

La Alessandria 2000 s.r.l. impugnò, con separati ricorsi, tutti gli atti sopra menzionati e quelli presupposti innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria che, in tutte le occasioni, in parziale accoglimento, determinò l’applicazione, al valore tabellare già ridotto, di un ulteriore coefficiente di abbattimento dello 0,46, mandando al Comune di Alessandria di provvedere alla rideterminazione delle imposte dovute.

Le decisioni sono state in via principale dal Comune di Alessandria e in via incidentale dalla Alessandria 2000 s.r.l..

La Commissione tributaria regionale di Torino, riuniti i ricorsi, ha dichiarato la nullità di una delle tre sentenze impugnate e ha rigettato nel merito tutti i ricorsi, con condanna della Alessandria 2000 s.r.l. alle spese di lite.

Tale decisione è stata fatta oggetto, da parte della Alessandria 2000 s.r.l., di ricorso per cassazione articolato in otto motivi. Il Comune di Alessandria ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6.

La censura è rivolta contro i capi della sentenza impugnata che hanno ritenuto tardivamente proposto il ricorso avverso la cartella di pagamento n. ***** e, in parte, anche quello proposto avverso la cartella di pagamento n. ***** notificata alla Nidar s.r.l. (successivamente incorporata dalla Alessandria 2000 s.r.l.).

In particolare, poichè la società ricorrente propose istanze per la definizione dell’accertamento ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 ma il Comune di Alessandria non diede alcun riscontro alle stesse, la Alessandria 2000 s.r.l. sostiene che il termine per impugnare gli avvisi era rimasto sospeso. Ciò in quanto, essendo pacifica la natura ordinatoria del termine fissato all’amministrazione per formulare al contribuente l’invito a comparire previsto dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6,comma 4, quest’ultimo sarebbe giustificato ad attendere sine die tale convocazione; con la conseguenza che al contribuente che, confidando in buona fede sull’osservanza della disposizione testè citata da parte dell’amministrazione, resta in attesa dell’invito a comparire, non potrebbe poi addebitarsi la tardività dell’impugnazione. Del resto, ai sensi del citato art. 6, comma 3 l’impugnazione dell’avviso di accertamento comporta rinuncia all’istanza; sicchè, essendo ben possibile che l’ufficio definisca l’istanza anche in data successiva alla scadenza del termine ordinatorio, al contribuente che non intenda rinunziare all’istanza sarebbe addirittura precluso impugnare la cartella o gli avvisi di pagamento.

In sostanza, conclude la ricorrente, solo nel momento il contribuente in cui viene reso edotto, esplicitamente o implicitamente, delle determinazioni dell’ufficio, ricomincia a decorrere il termine per impugnare la cartella esattoriale e gli atti presupposti.

Pertanto, sarebbe illegittima la declaratoria di tardività dei ricorsi sopra indicati.

1.2 Il motivo è infondato.

Com’è noto, il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3, prevede, in caso di presentazione delle istanze di definizione di cui ai precedenti commi 1 e 2, la sospensione del termine per impugnare per novanta giorni.

In pendenza di tale sospensione, il successivo comma 4 assegna all’ufficio un termine di 15 giorni per formulare al contribuente, anche telefonicamente o telematicamente, un invito a comparire. Le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di accertamento con adesione, hanno chiarito che la mancata convocazione del contribuente non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge (Sez. U, Sentenza n. 3676 del 17/02/2010, Rv. 611633).

Sul punto la Alessandria 2000 s.r.l. osserva che, proprio perchè la violazione di tale termine non determina la nullità del procedimento di accertamento, in mancanza dell’invito a comparire la procedura di accertamento con adesione non potrebbe dirsi definita; con la conseguenza che il contribuente non avrebbe alcun onere di impugnare l’atto; impugnazione che, anzi, determinerebbe – essa si – la chiusura della procedura di adesione per l’implicita rinuncia all’istanza. Dunque, così come sarebbe ordinatorio il termine di quindici giorni previsto per l’invito al contribuente a comparire, sarebbe parimenti ordinatoria la sospensione dei termini per impugnare prevista dal comma 3 della disposizione in commento.

In ciò si coglie con pienezza l’erroneità delle tesi prospettate dalla ricorrente.

Anzitutto, si deve rilevare che i termini per impugnare sono sempre perentori, in quanto agli stessi è connessa l’espressa sanzione della decadenza dall’impugnazione. Altrettanto perentoria, pertanto, deve considerarsi la sospensione di tali termini prevista, in talune occasioni, dalla legge.

E’, dunque, del tutto inappropriato il parallelismo effettuato fra il termine per l’invito a comparire previsto dal comma 4 e la durata della sospensione del termine per impugnare prevista dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3. Si tratta, al contrario, di due previsioni radicalmente eterogenee: il primo termine è assegnato all’ufficio per il compimento di un’attività amministrativa; l’altro determina una sostanziale “proroga” del termine perentorio per impugnare la cartella o l’avviso di pagamento.

Del resto, è inesatto pure affermare che il termine che il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 4, assegna all’ufficio per la convocazione del contribuente sia ordinatorio. Le Sezioni Unite, infatti, sono andate ben oltre il problema della semplice perentorietà del termine, giungendo ad affermare che la totale omissione dell’attività non determina una nullità del procedimento di accertamento. Pertanto, non si tratta di un termine perentorio, bensì di una attività facoltativa, la cui omissione non produce effetti invalidanti del procedimento.

Deve quindi concludersi che, in tema di accertamento con adesione ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6 se non interviene la definizione dell’avviso di accertamento, il contribuente deve impugnare l’atto impositivo entro il termine di legge, a decorrere dalla data di cessazione del periodo di sospensione di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3.

Quest’ultimo termine, infatti, è volto a garantire uno spatium deliberandi in vista dell’accertamento con adesione (Sez. 5, Sentenza n. 16347 del 28/06/2013, Rv. 627126), sicchè, decorso lo stesso, riprende a decorrere il termine per l’impugnazione sospeso dalla presentazione dell’istanza, senza che mancata definizione della stessa ne comporti un’ulteriore sospensione sine die.

2.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

In particolare, osserva la Alessandria 2000 s.r.l. che il Comune di Alessandria non aveva richiesto la modifica delle sentenze impugnate nelle parti in cui determinavano l’applicazione di un ulteriore coefficiente di riduzione. Al contrario, lo stesso Comune ammetteva l’esattezza del valore determinato dall’Agenzia del Territorio nella misura di Euro 73,70/mq per le aree in relazione alle quali era già stata stipulata la convenzione e di Euro 48,28/mq per le aree fuori convenzione, con conseguente necessità di procedere alla rettifica degli accertamenti.

2.2 I motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

La ricorrente, infatti, non pone questa Corte nelle condizioni di verificare se i valori indicati come esatti dal Comune di Alessandria (Euro 73,70/mq per le aree in convenzione e di Euro 48,28/mq per le aree fuori convenzione) corrispondano a quelli risultanti dall’applicazione del coefficiente di riduzione dello 0,46 previsto nelle tre sentenze della Commissione tributaria provinciale.

Non risulta, dunque, debitamente documentata la circostanza, sostenuta dalla ricorrente, del sostanziale riconoscimento del Comune di Alessandria all’esattezza della riduzione dei valori imponibili affermata nelle sentenze di primo grado.

2.3 Nonostante il carattere assorbente di questa ratio decidendi, non è superfluo osservare che la doglianza sarebbe anche infondata nel merito, dal momento che il Comune di Alessandria ha insistito per la riforma integrale delle sentenze di primo grado. In particolare, in relazione ai procedimenti nn. 193/2010 e 195/2010 (successivamente riuniti), ha formulato le conclusioni enfatizzate dalla controparte solo in via subordinata; mentre per il procedimento n. 194/2010 (anch’esso riunito agli altri due) ha chiesto che fosse riconosciuta la piena legittimità dell’avviso di accertamento n. 73198/2005.

3.1 Con il terzo motivo si deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione applicabile ratione temporis – l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla sentenza pronunciata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in data 14 gennaio 2005. La censura riguarda, ancora una volta, la determinazione del valore delle aree ai fini della determinazione della base imponibile per il computo dell’ICI effettivamente dovuta.

3.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La Commissione tributaria regionale ha affermato il principio “secondo cui è il contribuente ad essere onerato della prova positiva del minor valore imponibile dell’area rilevante”. Ha quindi rilevato che la contribuente non avrebbe dato alcuna prova nel senso anzidetto; prova che “ben avrebbe potuto esser data con la produzione di contratti di compravendita di terreni analoghi; con la produzione di sentenze tributarie relative a rendite di fondi finitimi; di decisioni del Comune relative a valori di terreni confinanti, etc.” (pag. 67).

Poi, passando all’esame della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche del 14 gennaio 2005, n. 4, osserva: “codesta sentenza è del tutto irrilevante nel caso di specie, sia perchè inopponibile a parte appellante incidentale, che non fu parte in quel giudizio; sia perchè l’annullamento disposto lo fu “nei limiti dell’interesse dedotto in giudizio” dal Rossi e quindi non interessava minimamente le aree della Alessandria 2000. In una parola: quella sentenza è semplicemente irrilevante nei riguardi dell’area qui considerata”.

E’ evidente la contraddittorietà che affligge la motivazione della sentenza impugnata, la quale, da un lato, indica espressamente eventuali “sentenze tributarie relative a rendite di fondi finitimi” quali possibili fonti di prova del minor valore imponibile delle aree in questione; dall’altro, in presenza di una sentenza definitiva che, proprio in relazione ad aree asseritamente omogenee a quelle in discussione, fissa un determinato valore, ne esclude la rilevanza per il fatto di essere stata pronunciata fra soggetti diversi da quelli oggi in giudizio.

In particolare, si deve osservare – anzitutto – che la circostanza che la sentenza indicata dalla Alessandria 2000 s.r.l. sia stata pronunciata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, anzichè da una commissione tributaria, non esclude che la stessa possa essere fatta valere nel presente giudizio. Del resto, la stessa Commissione tributaria regionale, escludendone la rilevanza sotto altri profili, dà implicitamente atto della potenziale importanza della decisione ai fini di questo giudizio.

In secondo luogo, non ha alcun rilievo decisivo la circostanza che la Alessandria 2000 s.r.l. fosse estranea a quel rapporto processuale, instauratosi fra tale Carlo Rossi ed il Comune di Alessandria. Quella sentenza, come giustamente rilevato dalla Commissione Tributaria Regionale, non è “opponibile” alla Alessandria 2000 s.r.l., ossia non può essere fatta valere “contro” di lei. Ma ciò non esclude che la società ricorrente potesse invece avvalersene, quale elemento di prova volto a dimostrare che il valore effettivo delle aree di cui è proprietaria fosse inferiore rispetto a quanto ritenuto dal Comune.

In sostanza, la considerazione svolta dalla Commissione Tributaria Regionale opera sul piano del giudicato formale, mentre la sentenza del TSAP era stata invocata come elemento di prova dell’accertamento in fatto ivi contenuto.

Del resto, anche le sentenze “relative a (…) fondi finitimi”, che nel provvedimento impugnato sono espressamente indicate quali possibili fonti di prova di cui avrebbe potuto avvalersi la ricorrente, sarebbero state certamente rese fra parti diverse da quelle oggi in lite.

Infine, l’asserzione secondo cui “quella sentenza è semplicemente irrilevante nei riguardi dell’area qui considerata” costituisce una motivazione meramente apparente, poichè non viene indicata la ragione per la quale la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sarebbe “irrilevante”. Non viene chiarito, infatti, se il problema è costituito dalla eterogeneità delle aree, oppure dalla diversità dei criteri di determinazione del valore ai diversi fini di cui si occupava il TSAP, ovvero da ragioni ulteriori che comunque non è dato individuare.

In conclusione, in presenza di una sentenza che, definitivamente pronunciando sul valore di aree asseritamente omogenee a quelle di proprietà della Alessandria 2000 s.r.l., avrebbe potuto costituire elemento di prova atto a dimostrare il minore valore imponibile delle stesse ai fini ICI, sarebbe dovuto essere onere della Commissione tributaria regionale verificare l’effettiva omogeneità delle aree e il contenuto dell’accertamento contenuto in quella sentenza, senza che a ciò potesse ostare la circostanza che la società ricorrente non fosse stata parte di quel giudizio.

4. L’accoglimento del terzo motivo determina l’assorbimento delle ulteriori censure.

5. In conclusione, respinti primi due motivi, in accoglimento del terzo la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.

Tuttavia, poichè il primo motivo, ritenuto infondato, riguarda la declaratoria di tardività dell’impugnazione proposta in relazione alla cartella di pagamento n. ***** e, in parte, anche quello proposto avverso la cartella di pagamento n. ***** (notificata alla Nidar s.r.l), sul punto si è oramai formato il giudicato interno. Pertanto, il giudizio di rinvio deve proseguire nei soli limiti in cui l’impugnazione degli atti impositivi non sia stata ritenuta inammissibile.

Alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità provvederà il giudice del rinvio.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, accoglie il terzo motivo nei limiti di cui in motivazione, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia alla Commissione tributaria regionale di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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