Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.27802 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28838/2011 proposto da:

GIDIROMA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI GRACCHI 91, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO BRASCA, rappresentato e difeso dall’avvocato BENEDETTO DE SETA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 06/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARINACI per delega dell’Avvocato DE SETA che si riporta e chiede l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FARACI che si riporta agli atti.

FATTI DELLA CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE 1. La commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 158/35/10, depositata il 6 ottobre 2010, confermando la sentenza di primo grado, dichiarava legittimo l’avviso notificato dalla Agenzia delle Entrate alla srl Gidiroma in rettifica del valore di un’unità immobiliare, indicato dalla contribuente ai fini dell’Invim decennale (D.P.R. n. 643 del 1972, art. 3)in Lire 1.455.780.000 alla data del 31 dicembre 1992 ed elevato dalla Agenzia a Lire 2.763.000.000, in quanto, ad avviso di essa commissione, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente, trattavasi di avviso emesso nel rispetto dei termini di accertamento prorogati ex art. 11, comma 1, u.p., della L. n. 289 del 2002 e congruamente motivato anche, segnatamente, in riferimento alla stima del maggior valore, operata dall’Agenzia sulla base di una perizia dell’Ufficio Tecnico Erariale e coerente con il valore – Lire 850.000 il mq e così in totale Lire 2.348.550.000 – dichiarato dalla ricorrente nel 1989 agli effetti di una procedura di aggiornamento del catasto fabbricati (DOCFA).

2. La srl Gidiroma ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza suddetta, sulla base di tre motivi.

3. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.

4. Con il primo motivo di ricorso, la srl Gidiroma lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 20, della L. n. 289 del 2002, art. 11, della L. n. 212 del 2000, art. 3,artt. 3,10,11 e 24 Cost., deducendo che la commissione tributaria regionale del Lazio non avrebbe dovuto ritenere tempestivo l’avviso in forza della proroga dei termini di accertamento disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 11, essendo quest’ultimo articolo incompatibile con la L. n. 212 del 2000, art. 3, contrario a principi e norme di diritto comunitario e quindi da disapplicare, contrario agli artt. 3,10,11 e 24 Cost. e quindi da sottoporre all’esame della Consulta per la dichiarazione di illegittimità costituzionale.

5. Con il secondo motivo di ricorso, la srl Gidiroma lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51,D.P.R. n. 643 del 1972, artt. 19 e 20, art. 2697 c.c., deducendo che la commissione tributaria regionale del Lazio ha errato nel ritenere provato il fondamento della rettifica sulla base soltanto della perizia dell’ufficio tecnico erariale allegata all’avviso impugnato, malgrado tale perizia non consentisse di verificare la fondatezza della stima condotta con metodo sintetico-comparativo.

6. Con il terzo motivo di ricorso la srl Gidiroma lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione della sentenza per aver la commissione tributaria regionale, per un verso, mancato di dar conto di aver preso in esame il rilievo espresso da essa ricorrente secondo cui non era comprensibile come da un valore di base, indicato nello stesso avviso, alla data del 31.10.1991, di Lire 1.455.780.000, era stato possibile passare in un anno ad un valore finale di Lire 2.763.000.000, per altro verso, per avere affermato, senza darne ragione, che la perizia dell’Ute smentiva la perizia depositata da essa ricorrente.

7. Il primo motivo di ricorso è infondato:

7.1. per quanto riguarda il contrasto tra la L. n. 289 del 2002, art. 11 e la L. n. 212 del 2000, art. 3, che secondo la ricorrente avrebbe dovuto indurre la commissione a non applicare l’art. 11, si osserva, per un verso, che l’art. 11 dispone (per quanto interessa) una proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta Invim (per la quale non sia stata presentata utilmente un’istanza di definizione agevolata ai sensi della stessa L. n. 289), espressamente prevedendo che la proroga è “in deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3”, per altro verso, che la L. n. 212, art. 3, comma 3, secondo cui “i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”, è, sì, al pari delle altre disposizioni della L. n. 212, emanata in attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost. e qualificata, dalla L. n. 212, art. 1, come espressiva di principi generali dell’ordinamento tributario (talchè rappresenta un criterio guida nell’interpretazione delle norme tributarie), ma è pur sempre una disposizione di legge ordinaria per cui può essere derogata da parte di altre norme ordinarie e non è suscettiva di determinare la disapplicazione delle disposizioni con le quali (asseritamente) confligga (sul punto vedasi, tra molte, Cass. n. 16227/2018e Cass. n. 20812/2017);

7.2. per quanto concerne l’ipotetico contrasto tra la L. n. 289 del 2002, art. 11 e la “normativa comunitaria” o “il diritto comunitario e i principi che lo regolano” (così a pagina 15 e a pagina 16 del ricorso), che secondo la ricorrente avrebbe dovuto indurre la commissione, e dovrebbe ora indurre questa Corte, a disapplicare l’art. 11, si osserva che la verifica dell’ipotetico contrasto – alla quale (come già precisato, tra altre, da Cass. 24952/2015 e Cass. 11642/10) il giudice, sempre tenuto all’applicazione delle disposizioni comunitarie immediatamente vincolanti, deve procedere a prescindere dalla proposizione di un’apposita eccezione o da un apposito motivo di impugnazione (salvo, per quanto concerne il giudizio di cassazione, che siano necessari nuovi accertamenti in fatto) ed alla quale quindi si procede in questa sede nonostante che la ricorrente non abbia indicato la normativa comunitaria evocata, dà esito negativo non essendo rintracciabile alcun profilo di attrito, rispetto alla normativa comunitaria, della L. n. 289 del 2002, art. 11, recante norme sulla “definizione agevolata ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull’incremento di valore degli immobili” e, nella parte che interessa (l’ultima del comma 1), recante una proroga dei termini di accertamento intesa a consentire all’amministrazione finanziaria di poter svolgere in modo effettivo e senza ritardo i propri compiti anche in occasione del particolare carico di lavoro conseguente alla necessità dell’esame delle istanze di definizione;

7.3. per quanto concerne l’ipotetico contrasto tra la L. n. 289 del 2002, art. 11 e gli artt. 3,10,11 e 24 Cost., che secondo la ricorrente avrebbe dovuto indurre la commissione e dovrebbe ora indurre questa Corte alla rimessione degli atti alla Consulta, si osserva che, contrariamente a quanto si legge in ricorso, con riguardo al richiamo all’art. 3 Cost., non è ravvisabile alcuna irrazionalità della norma di proroga dei termini di accertamento (per essere la stessa) estesa anche a situazioni di non avvalimento della procedura di definizione delle pendenze tributarie, solo che si consideri che gli uffici incaricati dell’accertamento di tali situazioni sono gli stessi uffici tenuti all’esame delle istanze di definizione; si osserva ancora che, con il richiamo agli artt. 10 e 11 Cost., viene dalla ricorrente riproposta la tesi del conflitto della L. n. 289, art. 11, con la normativa comunitaria e che, per le ragioni già esposte, tale richiamo risulta essere inconferente; si osserva infine che il richiamo all’art. 24 Cost., è parimenti inconferente non essendovi alcuna interferenza tra la proroga dei termini di accertamento dell’imposta sancita dalla disposizione di legge e il diritto del contribuente di agire a tutela dei propri diritti in giudizio, sancito dalla disposizione della Carta.

8. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, suscettivi di esame congiunto in quanto strettamente connessi, sono infondati:

8.1. la commissione ha basato la propria decisione non sulla sola perizia dell’ufficio tecnico erariale ma anche sulla dichiarazione di valore, di Lire 850.000 al mq, fatta dalla stessa ricorrente nell’ambito della procedura DOCFA e riferita al 31 dicembre 1989 ed ha motivato in modo logico (tenuto conto della tendenza espansiva del mercato immobiliare del tempo) affermando, con comprensibile assorbimento dell’eccezione della Gidiroma riguardante la incomprensibilità del divario tra valore al 31 ottobre 1991 e valore finale rettificato – eccezione trascurabile posto che il primo dei suddetti valori, in quanto relativo a data compresa nel decennio, non era oggetto di rettifica -, che tale dichiarazione di valore “rende(va) attendibile il maggior valore come determinato” al 1992 dall’Agenzia, in Lire 1.000.000 al mq;

8.2. la commissione ha inoltre affermato che la descrizione dell’immobile di cui si tratta, contenuta nella perizia dell’ufficio tecnico erariale, è circostanziata e fondata su elementi concreti afferenti le caratteristiche dell’immobile ed è idonea a smentire la perizia della società; la ricorrente non ha riprodotto nel ricorso per cassazione nè la perizia dell’ufficio nè la propria, così precludendo alla Corte di valutare la consistenza della dedotta censura di ingiustificatezza della affermazione in parola, talchè la censura va ritenuta priva di base.

9. In ragione di quanto precede, il ricorso va rigettato.

10. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna la società Gidiroma a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio, liquidate in Euro5600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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