LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21762-2011 proposto da:
CONSORZIO PORTO DI ALGHERO SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PIAN SACCOCCIA 6, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DI MAIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIO SALVATORE SPANU giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI SASSARI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 142/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 28/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato FARACI che si riporta agli atti.
RITENUTO IN FATTO
Il Consorzio del Porto di Alghero soc. a r.l. (già Porto Alghero Consorzio per i Servizi Interni Portuali scarl) impugnava un avviso di accertamento, fondato su un precedente PVC, emesso per il recupero della Maggiore Iva, IRAP e IRPEF per l’anno 2000, avendo la società omesso la registrazione di ricavi per la locazione di posti barca e imbarcazioni in transito.
La CTP di Sassari accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo non provata la ricostruzione dei ricavi da imbarcazioni in transito e inapplicabile la tassazione Iva alle operazioni poste in essere dalla società.
Proposto gravame da parte della Agenzia delle Entrate, la CTR della Sardegna con sentenza n. 142/8/11 depositata il 28.6.2011 lo accoglieva sul presupposto che il porto di Alghero doveva essere classificato ad esclusiva destinazione turistica, senza esenzione Iva sui servizi prestati riteneva, altresì che i ricavi da imbarcazioni in transito erano stati correttamente ricostruiti.
Il contribuente Consorzio ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza.
L’agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39. In particolare lamenta l’insussistenza degli elementi basati su fatti gravi, precisi e concordanti per operare l’accertamento con metodo induttivo.
La censura non è fondata.
1.1. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti -, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente. Ed invero, l’atto di rettifica – emesso ai sensi della norma succitata qualora l’Ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste contabili, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’Amministrazione è tenuta a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte. Per converso, grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (cfr. Cass. 24532/2007; 951/2009; 7871/2012; 14068/2014).
Nel caso concreto la CTR ha esposto in sentenza gli elementi di carattere indiziario e presuntivo, consistenti in particolare nei versamenti effettuati presso la sede di ***** della Banca di Sassari, nelle ricevute riportanti i nomi locatari dei posti barca atti a giustificare il ricorso al metodo induttivo.
Con riferimento ai dati assunti dall’Ufficio per determinare i ricavi, in particolare, la sentenza evidenzia che l’ufficio si è basato su elementi quali: le tariffe giornaliere e mensili riportate sul listino prezzi, le notizie provenienti dal sito web del consorzio, le informazioni contenute nella nota inviata dall’Ufficio circondariale marittimo di ***** e la dichiarazione dell’amministratore della società gestore. Sulla base di tali elementi è stato quantificato il numero dei posti barca destinati al transito e il conseguente ricavo. Nessun elemento di prova di segno contrario risulta – per contro fornito dal Consorzio.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione di norme in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6.
La censura è fondata.
2.1. All’epoca dell’accertamento il porto di ***** era classificato di 2^ categoria, 3^ classe con caratteristiche di porto commerciale.
La stessa CTR ne ha dato atto.
Il sistema di classificazione introdotto dalla L. n. 84 del 1994 non era ancora operativo, non essendo stati adottati i provvedimenti attuativi previsti dall’art. 4, commi 4 e 5.
In particolare l’art. 4, comma 4 prevedeva che: Le caratteristiche dimensionali, tipologiche e funzionali dei porti di cui alla categoria 2^, classi 1^, 2^ e 3^, e l’appartenenza di ogni scalo alle classi medesime sono determinate, sentite le Autorità portuali o, laddove non istituite, le Autorità marittime, con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione, con particolare riferimento all’attuale e potenziale bacino di utenza internazionale o nazionale, tenendo conto dei seguenti criteri: a) entità del traffico globale e delle rispettive componenti; b) capacità operativa degli scali derivante dalle caratteristiche funzionali e dalle condizioni di sicurezza rispetto ai rischi ambientali degli impianti e delle attrezzature, sia per l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri sia per il carico, lo scarico, la manutenzione e il deposito delle merci nonchè delle attrezzature e dei servizi idonei al rifornimento, alla manutenzione, alla riparazione ed alla assistenza in genere delle navi e delle imbarcazioni; c) livello ed efficienza dei servizi di collegamento con l’entroterra.
In assenza di un formale atto amministrativo la CTR non poteva attribuire una diversa classificazione al porto di ***** rispetto a quella già assegnata.
2.2. il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6) esclude dall’IVA i “servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e scali di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento dei beni e dei mezzi di trasporto”.
Con riferimento alla locazione dei posti barca si osservi, peraltro, che questa Corte si è pronunciata in merito all’inclusione tra le operazioni esenti del rapporto di concessione di beni immobili del demanio marittimo da parte, nella specie, del Consorzio Autonomo del Porto di Genova e, in genere, di un ente pubblico economico, in conseguenza del vincolo derivante dalla giurisprudenza della Corte di giustizia affermando che “In tema di IVA, il rapporto di concessione di beni immobili del demanio marittimo, nell’ambito del quale un ente pubblico economico attribuisce ad un soggetto il diritto di occupare e usare, in modo anche esclusivo, il bene pubblico per una durata limitata e dietro corrispettivo, rientra nella nozione comunitaria di “locazione di beni immobili” (ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva 77/388/CEE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia CE con sentenza 25 ottobre 2007, in C-174/2006, pronunciata in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 del Trattato), senza che assuma alcun rilievo il regime giuridico di diritto amministrativo del procedimento e dell’atto conclusivo, previsto dall’ordinamento italiano. Conseguentemente, in forza dell’effetto vincolante per il giudice nazionale della pronuncia resa in sede di rinvio pregiudiziale, il suddetto rapporto di concessione di beni demaniali rientra nella esenzione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 8 per la locazione di “terreni” ovvero di “aree diverse da quelle di parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria”. (Cass. 6138/2009).
Ne consegue la non imponibilità Iva alle operazioni poste in essere dalla società nel porto.
3. Con il terzo motivo il contribuente Consorzio deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 violazione dell’art. 111 Cost., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. In particolare lamenta che la CTR non avrebbe esaminato le argomentazioni del Consorzio in relazione anche alle produzioni documentali effettuate.
La censura non è fondata.
3.1. l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n.8053).
Nella specie il ricorrente non ha nemmeno specificato quali sarebbero i documenti non esaminati.
3.2. Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).
Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).
Il ricorso deve essere, pertanto, parzialmente accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto il giudizio può essere definito nel merito dichiarando la inapplicabilità della tassazione Iva alle operazioni poste in essere dal Consorzio.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Le spese del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione dell’evoluzione nel tempo della giurisprudenza e della mancanza di operatività del sistema di classificazione introdotto dalla L. n. 84 del 1994.
P.Q.M.
La Corte rigetta il 1^ e il 3^ motivo di ricorso, accoglie il 2^, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso del contribuente limitatamente alla tassazione Iva.
Compensa le spese del giudizio di merito.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 7000,00 oltre accessori e spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018