LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2632-2012 proposto da:
C.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE 7032, presso lo studio dell’avvocato DIMITRI GOGGIAMANI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO ASSISI giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PIZZO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 601/2010 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO, depositata il 24/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udivo per il ricorrente l’Avvocato PASQUALI per delega dell’Avvocato ASSISI che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE C.C.F. propone otto motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 601/08/10 con la quale la commissione tributaria regionale di Catanzaro ha accolto l’appello proposto dal comune di Pizzo avverso la decisione della commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia che aveva annullato gli avvisi di accertamento per l’imposta Ici relativi agli anni dal 2001 al 2006.
Nel merito è stata contestata l’omessa presentazione della dichiarazione o denuncia con conseguente accertamento dell’imposta dovuta relativamente ai singoli periodi di imposta. Nel medesimo contesto sono stati quantificati gli interessi dovuti e irrogate le sanzioni per le omesse presentazioni delle dichiarazioni per ogni anno di competenza. Per quello che qui rileva, il contribuente ha contestato l’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni che non aveva tenuto conto del cumulo previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, nonchè l’illegittimità degli avvisi di accertamento, in quanto erano stati considerati edificabili terreni che, seppure inclusi nel piano urbanistico, non erano in concreto edificabili.
La commissione tributaria regionale ha fondato la decisione sulle seguenti osservazioni:
– il contribuente non ha contestato il valore delle aree determinato negli accertamenti; in sede di appello ha ritenuto di non costituirsi in giudizio e il principio di non contestazione è applicabile nel processo tributario;
– nel merito il terreno del contribuente risulta inserito nello strumento urbanistico generale che prevede l’area edificabile con piani particolareggiati;
– ai fini dell’applicazione dell’Ici, è da considerarsi area fabbricabile quella utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti gli strumenti attuativi;
– non si è verificata la prescrizione per quanto accertato relativamente all’anno 2001 il cui termine, viceversa, va a scadere al 31/12/2007;
– non si applica per le sanzioni il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, trovando, piuttosto applicazione il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4.
Il comune di Pizzo resta intimato.
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5); in particolare si censura l’errata applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, con riguardo al principio devolutivo in appello, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, in relazione al valore venale delle aree oggetto di accertamento.
1.1. Il motivo è fondato.
La commissione tributaria regionale ha effettivamente ritenuto non contestato da parte del contribuente il valore delle aree determinato negli accertamenti. Nel ricorso introduttivo, tuttavia, il contribuente ha eccepito l’insussistenza del presupposto della obbligazione tributaria circa l’edificabilità del terreno e ha, altresì, contestato il valore accertato, chiedendo in proposito l’espletamento di una c.t.u..
La commissione provinciale, pur ritenendo che il comune avesse correttamente considerato come edificabili le aree di pertinenza del contribuente, ha rilevato, tuttavia, che non avesse assolto all’onere di provare gli elementi di fatto giustificativi della pretesa e, dunque, la sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del valore di mercato indicato, elementi tempestivamente contestati dal contribuente.
Nell’atto di appello del comune di Pizzo risulta, inoltre, che la questione del valore venale delle aree sia stata oggetto di contestazione. Da tali elementi deriva che la contestazione del valore venale accertato era compresa nel thema decidendum del processo e quindi devoluta alla cognizione del giudice d’appello.
Fondata, pertanto, è la doglianza della errata applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè del n. 4 del medesimo articolo. Il principio di non contestazione previsto dall’art. 115 c.p.c. opera, infatti, solo tra le parti costituite e non trova applicazione, dunque, nei confronti della parte rimasta contumace. Va escluso nel caso di specie, dunque, nel giudizio tributario di secondo grado il ricorso al principio di non contestazione nei confronti della parte che non si è costituita.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); in particolare, ci si duole dell’omessa pronuncia circa un fatto controverso decisivo del giudizio relativo all’esistenza di un vincolo idrogeologico.
2.1. Il motivo è fondato. Nei motivi di impugnazione, così come riportati nel ricorso per cassazione, risulta la contestazione da parte del contribuente dell’esistenza del vincolo idrogeologico. La sentenza impugnata non riporta nella parte relativa ai presupposti dell’applicabilità del tributo alcun riferimento a detta contestazione la cui analisi risulta pregiudiziale per l’attribuzione del valore venale del bene e ancor prima per la verifica dell’assoggettabilità del bene all’imposta in presenza del citato vincolo.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’errata applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), come autenticamente interpretato dal D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito in legge dalla L. n. 248 del 2005, art. 1, comma 1; in particolare, ci si duole che la sentenza impugnata non abbia attribuito prevalenza giuridica alle previsioni urbanistiche di inedificabilità assoluta nelle aree classificate come R3, derivante dal Piano di assetto idrogeologico della regione Calabria, nonchè dalla L. n. 183 del 1989, art. 17, rispetto alle previsioni del PRG.
3.1. Il motivo è inammissibile. Con esso, infatti, il ricorrente pur lamentando formalmente una violazione dei principi di diritto, sostanzialmente chiede un accertamento degli elementi di fatto sotto il profilo del vizio di motivazione. A tale proposito il Collegio aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (Cass. n. 175 del 2016, n. 24155 del 2017).
Sotto un diverso profilo si condivide altresì il principio espresso dalla S.C. secondo cui: ” Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.” (Cass. n.24298 del 2016). Nel caso di specie le doglianze di cui al motivo in esame non rivestono i requisiti ora richiamati.
4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e l’errata applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5,; in particolare, ci si duole di un’errata attribuzione, in termini di abnormità, del valore venale attribuito al bene oggetto di accertamento da parte del Comune.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. Si osserva che con detta censura la parte ricorrente tende a sollecitare un nuovo esame del materiale istruttorio. Nella specie ci si lamenta, infatti, del criterio sostanziale di accertamento del valore utilizzato da parte di una delibera della giunta municipale. Va dato seguito, viceversa, all’orientamento consolidato della S.C. secondo cui: “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (da ultimo Cass. n. 8758 del 2017).
5. Con il quinto motivo si sviluppano due censure: il difetto e l’erroneità della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè il vizio per omessa pronuncia su un fatto costitutivo e decisivo della domanda in appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nello specifico si contesta il criterio di attribuzione del valore venale del bene sulla base della delibera della giunta comunale di cui sopra, sollecitando il ricorso ad altri criteri tra i quali anche gli “studi di settore”.
5.1. I motivi sono inammissibili per le medesime ragioni esposte ai punti 3 e 4 della motivazione cui espressamente si fa rinvio.
6. Con il sesto motivo si lamenta la nullità della sentenza per falsa applicazione di legge, nonchè l’omessa o errata motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in merito al rigetto dell’eccepita decadenza dal potere di accertamento d’ufficio per l’anno 2001. In particolare, si contesta la legittimità dell’avviso di accertamento relativo al pagamento dell’Ici per l’anno 2001, in quanto notificato oltre il termine previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. La doglianza parte dal presupposto che la sentenza impugnata abbia erroneamente qualificato la fattispecie come caso di “omessa dichiarazione”. Nel lungo e articolato motivo, tuttavia, non sono chiarite le ragioni per le quali è da escludere l’ipotesi di omessa dichiarazione. Il motivo, infatti, si limita a denunciare i presupposti giuridici per l’integrazione dell’ipotesi di omessa fattispecie, sollecitando, inoltre, il giudice di legittimità a ricostruire diversamente gli elementi probatori, nonchè ad una diversa qualificazione d’ufficio della fattispecie. Da ciò consegue l’inammissibilità della censura.
7. Con il settimo motivo di impugnazione si censura la nullità della sentenza per violazione di legge per non avere valutato circostanze decisive e per l’errata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 20, nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4.
In particolare, si lamenta che la sentenza impugnata abbia qualificato la fattispecie sanzionabile nei termini di “omessa dichiarazione”, senza tenere conto degli elementi forniti nelle difese del contribuente. Nella specie la data di acquisto del terreno risalente al 13/12/1979 implica ad avviso del contribuente l’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10,comma 4, secondo cui “la dichiarazione di possesso aveva limite temporale in coincidenza con lo scadere del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativi all’anno 1992”. Ulteriore motivo di doglianza viene individuato nell’omessa comunicazione da parte del comune della intervenuta modifica della destinazione d’uso del terreno, da agricolo ad edificabile, per effetto del suo inserimento nel PRG.
Tale circostanza aveva determinato che il contribuente aveva proseguito nel versamento dell’Ici secondo quanto dovuto sulla base della destinazione d’uso nota.
7.1. Il motivo è in parte inammissibile, in quanto ripropone una rivisitazione dei mezzi istruttori acquisiti al giudizio preclusa al vaglio della Corte. Per altro verso è infondato in quanto non risulta nell’ordinamento una norma in forza della quale un atto amministrativo generale debba essere portato a conoscenza dei singoli cittadini.
8. Con l’ottavo motivo si censura la sentenza per violazione di legge per l’errata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12.
In particolare, si contesta la giurisprudenza richiamata dalla pronuncia impugnata e per altro verso, in via subordinata, si invoca l’applicazione del predetto articolo 12, comma 2.
8.1. Il motivo è infondato.
8.2. Ritiene questa Corte condivisibile l’orientamento, ormai consolidato, secondo cui: “In tema di imposta comunale sugli immobili, l’obbligo, posto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4, di denunciare il possesso ovvero di dichiarare le variazioni degli immobili dichiarati incidenti sulla determinazione dell’imposta, non cessa allo scadere del termine fissato dal legislatore con riferimento all'”inizio” del possesso (e per gli immobili posseduti al primo gennaio 1993, con la scadenza del “termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’ anno 1992"), ma permane finchè la dichiarazione (o la denuncia di variazione) non sia presentata, e l’inosservanza determina, per ciascun anno di imposta, un’autonoma violazione punibile ai sensi del cit. art. 14, comma 1”. (Cass. n. 932 del 2009, n. 8849 del 2010). La S.C. ha, poi, in modo condivisibile, più di recente chiarito che: “poichè la presentazione della dichiarazione produce effetto (in mancanza di variazioni) anche per gli anni successivi e tale effetto può ovviamente verificarsi solo in presenza e non in assenza di una dichiarazione, la violazione del relativo obbligo non ha natura istantanea e non si esaurisce con la mera violazione del primo termine fissato dal legislatore, sicchè., ove la dichiarazione sia stata omessa in relazione ad un’annualità d’imposta, l’obbligo non viene meno in relazione all’annualità successiva ed ogni annualità deve essere sanzionata ex art. 14, comma 1” (Cass. n. 14399 del 2017). La motivazione impugnata ha, pertanto, correttamente applicato i principi sopra richiamati. Da ciò consegue il rigetto del motivo esaminato.
9. Dall’accoglimento del ricorso con riguardo ai motivi 1 e 2 nei limiti di cui in motivazione, consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla commissione tributaria regionale di Catanzaro, in diversa composizione, per il riesame e la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso e rigetta l’ottavo motivo; dichiara inammissibili gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale di Catanzaro, in diversa composizione anche ai fini della liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018