LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28323/2012 R.G. proposto da:
M.A., M.N., M.M., Me.Mo., M.S.;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 94/8/12, depositata il 19 luglio 2012;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 ottobre 2018 dal Consigliere Dott. Valeria Piccone;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Luca Ciasullo per la parte ricorrente;
udito l’avv. Bruno Dettori per la controricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. M.A., M.N., M.M., Me.Mo., M.S., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 19 luglio 2012, che ha respinto l’appello da loro proposto avverso la sentenza della Commissione Provinciale che aveva dichiarato inammissibili i ricorsi riuniti avverso gli avvisi di accertamento mediante i quali l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato, per l’anno 2005, una maggiore imposta Ires, una maggiore imposta Irap ed una maggiore imposta IVA, irrogando altresì sanzioni nei loro confronti.
1.1. Il ricorso è affidato a due motivi.
2. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità assoluta degli atti di accertamento, in quanto adottati nei confronti della società ” M. Fratelli s.r.l. in liquidazione”, dopo la sua cessazione e cancellazione dal registro delle imprese, nonchè la violazione dell’art. 2495 c.c. e della L. 7 agosto 1990, n. 24, art. 21 septies.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Premesso che, per costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13126 del 24 giugno 2016) nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio – come avvenuto nel caso di specie – aspetto centrale, in questa sede, assume la circostanza che, pur cessata e cancellata la società, sia stata ritualmente effettuata la notifica ai soci, regolare e non contestata.
Del tutto irrilevante, quindi, la censura concernente la modifica dell’art. 2495 c.c., comma 2, atteso che l’estinzione della società incide sugli obblighi dei soci soltanto nella misura legale.
2. Con il secondo motivo, la parte ricorrente censura la decisione impugnata per vizio di motivazione e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, deducendosi l’omissione o l’insufficienza della motivazione in relazione alla validità dei ricorsi introduttivi – già dichiarati inammissibili in primo grado – per non essere stati esaminati dalla CTR e, comunque, per manifesta erroneità della ritenuta assenza del petitum immediato deducendo, altresì, con riguardo alla contestazione delle irregolarità contabili elencate dall’Agenzia delle Entrate, il vizio di omessa pronunzia.
2.1. Il motivo, articolato in due censure, è inammissibile.
Giova evidenziare, al riguardo, che la CTR, nel decidere sulla impugnazione relativa alla ritenuta inammissibilità dei ricorsi introduttivi, ha precisato la ratio della propria condivisione dell’iter motivazionale dei giudici di primo grado, specificando il rilievo della mancata indicazione dell’oggetto della domanda.
Nulla di più le competeva ed in particolare sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione laddove avesse valutato nel merito i ricorsi a fronte della ritenuta inammissibilità degli stessi.
Evidente, al riguardo, lo stesso difetto di autosufficienza del ricorso introduttivo, non essendo riportati (nell’ampia mole di documenti prodotti) gli unici passi che sarebbe stato rilevante conoscere degli atti introduttivi del giudizio.
E’ anzi l’Agenzia, nel proprio controricorso, a far emergere l’assoluta genericità ed apoditticità dei ricorsi, limitatisi ad affermare che “i corrispettivi delle vendite sono fedeli al vero” e che sarà cura del ricorrente fornire in corso di causa i principi di prova che escludono l’infedeltà dei ricavi corrispettivi dichiarati”.
Del tutto infondata, altresì, la censura di omessa pronunzia che avrebbe attenuto alla mancata valutazione della generica contestazione delle irregolarità contabili elencate dalla Agenzia delle Entrate e “i fatti che rendono inattendibile la contabilità”. Premessa ancora una volta la genericità delle contestazioni – in assenza di documentazione comprovante il contrario – è evidente che la ritenuta assoluta inammissibilità dei ricorsi introduttivi ha inibito la valutazione del merito degli stessi escludendo in radice la configurabilità di una omissione di pronunzia.
3. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 8000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018