LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11509-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta difende;
– ricorrente –
contro
SOGEPA SOCIETA’ GENERALE PARTECIPAZIONI SPA IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA OTTAVIANO 42, presso lo studio dell’avvocato BRUNO LO GIUDICE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE SERA;
– controricorrente –
e contro
FATA GROUP SPA IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 55/2010 della COMM.TRIB.REG. di TORINO, depositata il 02/08/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/05/2018 d Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
CONSIDERATO
che:
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 55/26/10, depositata il 2.08.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.
Ha riferito che: a) in data 16.06.2003 la Fata Group aveva presentato la dichiarazione modello 2003 di definizione dei ritardati od omessi versamenti L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis con rateizzazione dei pagamenti; di questi versava l’importo iniziale di Euro 6.000,00, ometteva il versamento della seconda rata, che però provvedeva ad indicare tra i versamenti ritardati od omessi nella dichiarazione modello 2004 – presentata l’anno successivo sempre ai sensi dell’art. 9 bis cit., versava regolarmente le altre due rate; b) in data 27.05.2004 presentava la dichiarazione ex art. 9 bis modello 2004, rateizzando anche gli importi ivi indicati; anche in questo caso, dopo l’iniziale versamento di Euro 18.000,00, versava in ritardo la seconda rata ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso, versava tempestivamente la terza, versava in misura inferiore al dovuto la quarta, con codice tributo errato; c) in data 5.12.2006 l’Agenzia notificava alla contribuente il diniego della definizione ex art. 9 bis presentata il 27.05.2004; d) nella stessa data notificava anche il diniego relativo alla definizione dei ritardati ed omessi versamenti presentata il 16.06.2003; e) negli anni 2006 e 2007 oltre ai dinieghi era notificata, per quello che qui interessa, la cartella esattoriale n. *****, emessa per il conseguente recupero delle imposte dovute a seguito del controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, relativamente alla liquidazione delle dichiarazioni Unico 2003 per i redditi del 2002, Unico 2004 per i redditi 2003, Iva 2004 per il periodo 2000, e 770 2004 per il periodo 2003.
Nel contenzioso che seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Torino accoglieva il ricorso della società contribuente. La Commissione Tributaria Regionale adita dalla Agenzia, con la sentenza ora oggetto di impugnazione, confermava le statuizioni del giudice di primo grado, affermando l’efficacia del secondo condono, in particolare sostenendo che il pagamento della prima rata, quand’anche una delle rate successive non fosse stata tempestivamente versata, determinava comunque la validità ed efficacia del condono previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis.
Avverso la sentenza l’Amministrazione propone ricorso con sei motivi:
con il primo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia su un motivo di gravame, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè, nonostante l’Amministrazione avesse lamentato l’ultrapetizione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che si era pronunciata sulla validità della domanda di condono ex art. 9 bis cit., anzicchè sulla validità della cartella, il giudice regionale si era parimenti pronunciato sulla validità delle istanze di condono 2003 e 2004 e sui relativi dinieghi;
con il secondo -definito genericamente come subordinato- per nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.per ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 perchè, sempre tenendo conto che oggetto della controversia era la cartella, anzicchè pronunciarsi sugli errori denunciati relativamente alle statuizioni del giudice di primo grado, il giudice regionale si era occupato della validità della seconda istanza di condono, riconoscendola;
con il terzo – subordinato al primo motivo – per nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza, per non aver tenuto conto che la cartella era stata impugnata non per vizi propri, ma solo per il difetto di presupposto, ossia per il diniego di condono;
con il quarto – definito genericamente come subordinato – per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè erroneamente la sentenza impugnata dichiarava inammissibili i motivi di appello relativi alla “problematica connessa alla eventuale incompletezza delle omissioni e dei ritardi esposti nella seconda delle domande di condono presentate dalla contribuente”;
con il quinto per motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè la questione denunciata nel quarto motivo era stata comunque affrontata con carenza di motivazione;
con il sesto – definito genericamente come subordinato – per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che il condono previsto e disciplinato dall’art. 9 bis cit. fosse valido anche nella ipotesi di omesso o ritardato versamento di una delle rate.
Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza.
Si costituiva inoltre la SO.GE.PA., Società Generale di Partecipazioni s.p.a. quale incorporante la Fata Group, che contestava le avverse motivazioni, rilevando in ogni caso l’integrale pagamento delle imposte dovute e chiedendo il rigetto del ricorso.
RILEVATO
che:
Deve premettersi che la controversia verte su un complesso rapporto insorto tra l’Ufficio e la società contribuente, che negli anni 2003 e 2004 ha inteso accedere al condono per ritardati od omessi versamenti di imposte degli anni pregressi, secondo la disciplina prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis optando per la rateizzazione dei debiti fiscali ma senza rispettare le cadenze dei versamenti delle rate, così che l’Amministrazione ha inteso negare il condono e procedere al recupero delle imposte accertate D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, con sanzioni e interessi, mediante emissione e notifica della cartella di pagamento.
Perimetrata la vicenda fattuale, sono infondati il primo ed il secondo motivo del ricorso, che possono essere trattati unitariamente, dolendosi l’Ufficio del vizio di ultrapetizione della sentenza, che avrebbe aderito alle prospettazioni difensive della contribuente, confermando la sentenza del giudice di primo grado, sulla base della convinzione della illegittimità del diniego del condono senza considerare che il giudizio doveva avere ad oggetto gli eventuali vizi propri della cartella di pagamento e non l’attività prodromica di diniego del condono.
I motivi non colgono nel segno perchè, a prescindere dal merito della vicenda e dalle ragioni dell’Ufficio, sin dall’introduzione della controversia la società ha lamentato che il pagamento integrale delle rate, seppur senza il rispetto delle cadenze temporali per alcune di esse, così come previsto dalla disciplina dell’art. 9 bis cit., impediva il diniego di accesso alla definizione agevolata delle pendenze fiscali (prevedente l’esclusione delle sanzioni). A fronte dell’oggetto del contendere non è sufficiente neppure affermare che sul diniego del condono vi fosse stato un distinto giudizio, con esiti favorevoli per l’Amministrazione, perchè la stessa odierna ricorrente ha riferito tale decisione al diniego relativo al 2003, laddove il giudice regionale ha fatto riferimento alla istanza del 27.5.2004, ossia alla dichiarazione modello 2004, al cui diniego ha ricondotto la cartella contestata nel giudizio. Pertanto la sentenza non è affetta nè da vizio di omessa pronuncia, nè tanto meno da ultrapetizione.
Esaminando invece i restanti motivi, per il principio della ragione più liquida si rende utile l’esame del sesto motivo, relativo al denunciato errore di diritto in cui la Commissione regionale sarebbe incorsa ritenendo valido il condono previsto e disciplinato dall’art. 9 bis cit. anche nella ipotesi di omesso o ritardato versamento di una delle rate.
Intanto, rilevandosi che nel caso di specie la definizione agevolata è stata chiesta anche per l’Iva, deve preliminarmente disapplicarsi la disciplina agevolativa relativamente a tale imposta. Infatti come ribadito più volte dalla Corte, in tema di condono fiscale, le misure clemenziali che comportano una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già accertato contrastano con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06: pertanto, va disapplicato, sia pure con riferimento alla sola IVA, la L. n. 289 del 2002, art. 9 bis che, consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una rinuncia alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale (cfr. Cass., sent. 19546/2011; sent. 8110/2012; sent. 20435/2014; vedi anche, in merito ad altri interventi di condono, sent. 28018/2009; 25701/2009; 20068/2009).
Si è infatti rilevato che la sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06 – secondo la quale la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi dettati dagli artt. 2 e 22 della 6^ Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’ Iva, per avere previsto con la L. n. 289 cit., artt. 7 ed 8 una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune Iva – ha portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato al pagamento di quanto dovuto per Iva (cfr. sent. 20068 cit.). Tale incompatibilità riguarda anche la disciplina prevista dall’art. 9 bis cit., che consentendo la definizione dei rapporti fiscali escludendo le sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’imposta, va disapplicata per contrasto con la predetta VI direttiva, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice imposta dalla citata sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06. In particolare la disapplicazione si fonda sul principio secondo cui quanto concerne l’imposta va riferito anche alle sanzioni, delle quali non può essere esclusa l’integrale esazione, come previsto al punto 42 della sentenza di infrazione (cfr. le sent. nn. 25701 e 20068 cit.), posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’Iva devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche in relazione alle sanzioni di natura tributaria, pur esulando esse dalla materia regolata dalla 6^ Direttiva. Si tratta comunque di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario.
E’ infine appena il caso di evidenziare che i principi sopra esposti devono essere applicati da questa Corte a prescindere da specifiche deduzioni di parte, perchè il principio di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato CE comporta l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o, nella specie, il carattere chiuso del giudizio di cassazione (cfr. Cass. Sent. n. 24952/2015).
Quanto alle imposte non armonizzate oggetto della definizione agevolata, e relative alla cartella n. *****, notificata alla Fata Group, poi incorporata nella SO.GE.PA., il sesto motivo è fondato.
La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto valido il condono previsto e disciplinato dall’art. 9 bis cit. anche in ipotesi di omesso o ritardato versamento di una delle rate di pagamento in applicazione analogica della disciplina prevista dalla L. n. 289 del 2002 per le altre forme di definizione delle pendenze fiscali (art. 7 comma 5, art. 8, comma 3, art. 9, comma 12, art. 16, comma 2). Al contrario l’Agenzia sostiene che quando il versamento delle rate successive alla prima avvenga in ritardo, o sia del tutto omesso, la parte decada dal beneficio della definizione ex art. 9 bis cit.
Ricostruendo la disciplina del condono, più correttamente delle forme di condono previste dalla legge menzionata, questa Corte, anche di recente, ha affermato che la definizione agevolata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 biscomportante la non applicazione delle sanzioni relative al mancato versamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 dicembre 2002, e per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data, si perfeziona solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni quali quelle contenute negli artt. 8, 9, 15 e 16 medesima legge, che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in quanto di carattere eccezionale, al pari di tutte le disposizioni di condono (cfr. da ultimo cfr. ord. n. 31133/2017; ma vedi, tra le tante, sent. n. 19546/2011; sent. n. 21364/2012; ord. n. 10650/2013; ord. 25238/2013).
Si è in particolare sostenuto che le norme che disciplinano i condoni tributari, derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale (cfr. Cass., sent. n. 514/2002), precisandosi che ciascuna delle ipotesi di definizione agevolata contemplate nella L. n. 289 del 2009 costituisce disposizione di carattere eccezionale assistita da una propria specifica disciplina, che è di stretta interpretazione e non può essere integrata in via ermeneutica dalle norme generali dell’ordinamento tributario e neppure da quelle dettate per altre forme di definizione comprese nella medesima legge. Il menzionato art. 9 bis, al comma 1 dispone, per quanto interessa, che “Le sanzioni previste dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che alla data del 16 aprile 2003 – poi prorogata al 16 aprile 2004 – provvedono ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data. Se gli importi da versare per ciascun periodo di imposta eccedono… la somma di 6.000 Euro, gli importi eccedenti, maggiorati degli interessi legali… possono essere versati in tre rate di pari importo”. La norma prevede dunque semplicemente che le sanzioni non si applicano se entro un certo termine si provvede al pagamento delle imposte, pagamento che può, in alcuni casi, essere rateale. Pertanto, in assenza di disposizioni quali quelle di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8,9 e 15 (prevedenti che “l’omesso versamento delle eccedenze entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione”) ovvero quella di cui alla L. n. 289 del 2002, al art. 16, comma 2 (prevedente che “l’omesso versamento delle rate successive alla prima entro le date indicate non determina l’inefficacia della definizione”) deve ritenersi che l’inapplicabilità delle sanzioni è condizionata al pagamento (in unica soluzione o rateale che sia) delle imposte nei termini e nei modi prescritti dalla medesima disposizione. Conseguentemente tale effetto non si verifica neppure parzialmente se il pagamento non interviene nei suddetti termini e modi.
Inoltre, poichè l’istanza del contribuente costituisce elemento indefettibile del condono e motore dell’intera procedura, il perfezionamento di quest’ultima deve essere valutato in rapporto all’istanza suddetta, con la conseguenza che il mancato pagamento della somma integrale dovuta sulla base di detta istanza comporta l’inefficacia della medesima siccome formulata, con conseguente perdita – in mancanza di espresse contrarie previsioni – della possibilità di avvalersi della definizione agevolata.
Ribadito peraltro che le previsioni di cui ai citati L. n. 289 del 2002, artt. 8,9,15 e 16 non possono applicarsi in via analogica ad altre diverse forme di definizione, proprio la assenza di una espressa previsione di tale tenore nell’art. 9 bis costituisce un argomento a contrario di notevole spessore per affermare che, in ipotesi di condono diverse da quello contemplato nelle suddette, l’omesso versamento delle rate successive alla prima entro le date indicate determina l’inefficacia integrale della definizione (sent. n. 19546/2011 cit.).
Il sesto motivo trova dunque accoglimento, essendo errato il ragionamento del giudice regionale.
Gli altri motivi restano assorbiti.
Rilevato che:
La sentenza va pertanto cassata e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, che deciderà la controversia, tenendo conto dei principi enunciati, relativa ai debiti tributari della contribuente per gli anni d’imposta per i quali è decaduta dai benefici fiscali ex art. 9 bis cit., al netto degli importi già versati, oltre che sulle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte rigetta il primo e secondo motivo di ricorso; accoglie il sesto, assorbiti gli altri; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione, che deciderà, oltre che sulle spese del presente giudizio, su quanto esposto in parte motiva.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018