LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20450/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Fondazione Cassa di Risparmio della provincia dell’Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’Avv. Adriano Rossi e dall’Avv. Francesco Camerini, con domicilio eletto preso il loro studio, in Roma, Via delle Milizie n. 1, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo n. 93/2010 depositata il 12 luglio 2010.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30 maggio 2018 dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate evidenziava che, in attuazione della L. n. 218 del 1990, la Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila aveva conferito la propria azienda bancaria alla società per azioni di nuova costituzione Cassa di Risparmio (Carispaq) s.p.a., che l’ente conferente aveva la maggioranza delle azioni della conferitaria, che poi la conferente aveva adottato la denominazione Fondazione Cassa di Risparmio della provincia dell’Aquila, che nella prima dichiarazione successiva al conferimento, con riferimento all’esercizio 2003, la Fondazione aveva dichiarato un reddito imponibile di Lire 5 miliardi, costituito per Lire 3.200.000.000 da dividendi percepiti dalla società conferitaria e Lire 1.800.000.000 da crediti di imposta, che sull’imponibile aveva applicato l’aliquota ridotta alla metà (18%), ritenendo che le spettava l’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ed esponendo quindi un credito a rimborso per Lire 900.000.000, che l’Agenzia delle entrate aveva accertato, invece, un debito di imposta di Lire 900.000.000, con sanzione per Lire 1.800.000.00.
2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso solo per l’eliminazione delle sanzioni, mentre confermava la ripresa a tassazione.
3. La Commissione regionale accoglieva l’appello della Fondazione ed annullava in toto l’accertamento.
4. La Cassazione, con sentenza 28-9-2007, n. 20396, cassava la decisione della Commissione regionale con rinvio.
5. La Commissione tributaria regionale, dopo aver disposto ai sensi dell’art. 213 c.p.c., l’acquisizione di informazioni dalla Banca d’Italia, accoglieva nuovamente l’appello della Fondazione poichè il contribuente “con le allegazioni che hanno connotato il suo libello introduttivo (ndr. statuto, protocollo di autonomia, bilancio 92/93), ha dimostrato, così come riconosciuto…anche dalla interpellata Banca d’Italia, che la sua attività è risultata essere solo e solamente una attività non lucrativa, volta appunto al soddisfacimento di scopi di interesse generale, prevalentemente di beneficenza e, dunque, una attività estranea all’impresa bancaria…”.
6. Proponeva nuovamente ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate.
7. Resisteva con controricorso la Fondazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, in quanto la sentenza della Commissione regionale si è basata su nuove prove e nuovi documenti acquisti per la prima volta nel giudizio di rinvio, a struttura “chiusa”, in particolare sulla relazione della Sezione locale della Banca d’Italia, acquista ai sensi dell’art. 213 c.p.c., a seguito di apposita ordinanza istruttoria.
1.1. Tale motivo è fondato.
Invero, pur potendo in via generale il giudice tributarie, anche in sede di appello, avvalersi degli strumenti di acquisizione probatoria di cui agli artt. 110 e 113 c.p.c. (Cass. Civ., sez. 5, 22 giugno 2010, n. 14966; Corte Cost., 29 marzo 2007, n. 109), tuttavia nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, impediva la possibilità di procedere alla richiesta di informazioni alla sezione locale della Banca d’Italia.
Si è ritenuto, infatti, in sede di legittimità, che, in tema di contenzioso tributario, il principio secondo cui, nel giudizio di merito a seguito di cassazione con rinvio, il divieto di produrre nuove prove o depositare nuovi documenti non opera qualora si tratti di documenti che sia stato impossibile produrre in precedenza per causa di forza maggiore, incontra un limite nel caso in cui le parti vengano rimesse dinanzi al giudice di appello: nel giudizio di secondo grado, infatti, la facoltà di produrre nuovi documenti, prevista in via generale dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, non può essere esercitata in contrasto con l’art. 57, il quale, escludendo l’introduzione di eccezioni o tematiche nuove, non consente l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di documenti, con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammessa soltanto a supporto di pretese e considerazioni già svolte, e non anche qualora determini la necessità di ulteriori contestazioni e deduzioni (Cass. Civ., 18 aprile 2007, n. 9224).
La possibilità di produzione di nuove prove si verifica solo per i documenti che non sono stati prodotti per cause di forza maggiore (Cass. Civ., 29 settembre 2014, n. 20535) oppure se la sentenza di appello è stata riformata con una diversa qualificazione giuridica delle ragioni della domanda. Nel giudizio di rinvio, infatti, configurato dall’art. 394 c.p.c., comma 3, quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, non sono ammesse nuove conclusioni e richieste di nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio, salvo il caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perchè ritenuti erroneamente privi di rilievo (Cass. Civ., 18 aprile 2017, n. 9768).
Tale circostanza, però, non ricorre nel caso di specie.
Le informazioni chieste alla sede locale della Banca d’Italia in ordine alla circostanza “se tra la suddetta Fondazione e la Cassa di Risparmi della Provincia dell’Aquila s.p.a., società conferitaria, sia ricorsa autonomia nella gestione delle rispettive attività”, non potevano essere legittimamente acquisiste, proprio per la natura “chiusa” del giudizio di rinvio.
2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, non essendosi attenuta la Commissione regionale al principio di diritto sancito dalla Cassazione con la sentenza di annullamento.
2.1. Tale motivo è fondato.
Invero, la Cassazione, nel principio di diritto, ha affermato che “…la gestione di partecipazioni di controllo sull’impresa bancaria…è idonea a far ritenere tali soggetti come imprese ai fini dell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza, salva la dimostrazione, il cui onere incombe al soggetto che invoca l’agevolazione, che tale attività, considerati i fini statutari…e anche il complesso delle attività effettivamente espletate nel periodo di imposta, abbia un ruolo non prevalente o strumentale rispetto alla provvista di risorse destinate all’esercizio di attività sociali, di beneficenza o culturali…”. La Cassazione ha aggiunto che “il giudice del rinvio dovrà verificare la documentazione acquisita alla luce del principio di diritto innanzi analiticamente richiamato (sia sull’onere probatorio, sia sul contenuto di questo) e dovrà compiutamente motivare, senza salti logici, in ordine a tutti i profili in precedenza sottolineati”.
La Commissione regionale, invece, oltre ad avere acquisito irritualmente le informazioni presso la Banca d’Italia, si è limitata ad evidenziare ed a valorizzare ai fini della decisione soprattutto il “protocollo di autonomia ” stipulato tra le parti, senza accertare l’attività in concreto svolta dalla Fondazione, in rapporto a quella relativa alla gestione del pacchetto azionario di maggioranza della Banca.
Inoltre, benchè la Cassazione avesse chiarito, al di là di ogni dubbio, che l’onere della prova della dimostrazione della attività bancaria non prevalente o, comunque, strumentale all’esercizio di attività sociali, era a carico della Fondazione, la Commissione ha affermato che “nè in proposito si può andare di contrario avviso alle ragioni del contribuente, sul rilievo che questi non avrebbe fornito la prova negativa di aver esercitato altro tipo di attività, così come sembra abbia voluto da ultimo argomentare, in special modo in sede di discussione orale, l’A.F.”. La Commissione conclude rilevando che “invero, nell’impossibilità logica di una tale evidenza, semmai essa A.F., nell’ambito della ripartizione del relativo onere, avrebbe a suo vantaggio dovuto provare che l’attività della contribuente, lungi dal presentare (solo) scopi non lucrativi a mezzo della provvista ricavata dalla titolarità della sua partecipazione, si fosse (altresì) concretizzata nel perseguimento di scopi imprenditoriali, circostanza questa che l’appellata non ha mai neppure dedotto”.
Pertanto, la Commissione ha completamente disapplicato il principio di diritto che proveniva dal giudice di legittimità.
3.Con il terzo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce “motivazione insufficiente ed illogica su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, in quanto la Commissione, avvalendosi, peraltro, di informazioni irritualmente acquisite ai sensi dell’art. 213 c.p.c., si è limitata a frasi apodittiche che non consentono di verificare la correttezza dell’iter della decisione.
3.1. Tale motivo è fondato.
Invero, la motivazione della Commissione regionale, oltre ad utilizzare le informazioni della Banca d’Italia, illegittimamente acquisite, è del tutto generica, fondandosi su documenti solo formali, quali lo statuto ed il protocollo di autonomia, senza compiere accertamenti in ordine alla concreta attività svolta dalla Fondazione. Il bilancio relativo all’anno 1992/1993 non è stato neppure descritto nei suoi termini essenziali, con l’indicazione delle poste più rilevanti ai fini della indagine affidate al giudice in sede di rinvio.
4. Con il quarto motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62,comma 1”, in quanto sussiste la presunzione di legale di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 sexies c.c., in caso di controllo societario, sicchè l’onere della prova di un concreto esercizio di attività svolta esclusivamente o principalmente nella erogazione di servizi sociali era a carico della Fondazione.
4.1. Tale motivo è assorbito, dovendo il giudizio del rinvio conformarsi al principio di diritto già enunciato dalla precedente pronuncia di legittimità.
5. La sentenza va, quindi, cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento dei motivi primo, secondo e terzo, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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