LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22075/2011 proposto da:
CAFFETTERIA PASTICCERIA 900 SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato UGO DE NUNZIO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI FERRARA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 34/2011 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata l’08/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
che:
la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, con sentenza dell’8 febbraio 2011, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Caffetteria Pasticceria 900 s.r.l. unipersonale contro la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dalla predetta società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso l’avviso di accertamento con cui, per l’anno d’imposta 2003, erano state accertate violazioni ai fini irpeg, irap, iva e irpef per complessivi Euro 59.047,00, oltre sanzioni;
che la Commissione, rilevato che nel ricorso di primo grado la ricorrente aveva contestato l’accertamento sotto il profilo del vizio di motivazione e nel merito si era limitata a rilevare le incongruenze dell’ufficio in relazione al turn over, all’inesperienza della titolare e ai maggiori costi non riconosciuti in relazione ai maggiori ricavi accertati, dichiarava inammissibile l’appello sia per carenza di specificità dei motivi d’impugnazione, sia perchè l’appellante proponeva una sostanziale rielaborazione della causa petendi, ampliando il thema decidendum mediante proposizione di nuove domande ed eccezioni (violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57);
che Caffetteria 900 s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;
che l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo la società deduce violazione del D.L. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed in relazione all’art. 7 Statuto del contribuente. Rileva che la genericità della sentenza della CTP non aveva consentito al contribuente di conoscere il percorso logico-giuridico sottostante all’avviso di accertamento e che, a fronte di ciò, in sede di appello erano state ribadite dalla ricorrente le ragioni che riteneva potessero confermare la tesi difensiva;
che con il secondo motivo deduce violazione del D.L. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e dell’art. 111 Cost., per mancato esame di un fatto decisivo per il giudizio. Osserva che l’omesso esame dei documenti allegati aveva determinato mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia, poichè i documenti offrivano la prova di circostanze di tale portata da invalidare l’efficacia delle risultanze istruttorie;
che con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia o per extrapetizione in relazione al D.P.R. n. 663 del 1972, artt. 54 e 55 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e con riferimento all’art. 2697 c.c.. Rileva che viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice d’appello che confermi la valutazione del giudice di primo grado senza spiegare come intendere superate le obiezioni mosse con l’appello;
che i motivi sub 1 e 3 sono inammissibili. La CTR, infatti, argomenta il proprio convincimento con una duplice ratio (motivi generici e novità); ciò sui punti qualificanti della sufficiente motivazione dell’avviso, della natura induttiva dell’accertamento in assenza contabilità, della divergenza dei prospetti allegati dalla contribuente, della entità degli scarti. Sotto il primo profilo (genericità dei motivi), la sentenza rileva che “nell’atto d’appello la ricorrente non ripropone le contestazioni sollevate in primo grado… talchè le stesse si devono considerare rinunciate” e che la decisione di primo grado “sembra rimanere del tutto estranea al gravame proposto”, mentre “l’ambito del riesame prevede, invece, che al giudice vengano prospettate le censure alla sentenza di primo grado, in connessione con il provvedimento impugnato”; sotto il secondo profilo evidenzia che “le difese svolte nell’appello… riguardano questioni di merito non proposte in primo grado, risolvendosi in domande nuove”;
che, a fronte delle richiamate argomentazioni contenute in sentenza, i rilievi posti con il primo motivo si rivelano inammissibili, perchè omettono di indicare, in base agli oneri di specificità ed autosufficienza previsti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, mediante allegazione o riproduzione degli atti processuali necessari, i motivi d’impugnazione che non sarebbero stati esaminati e le questioni che, ritenute dalla CTR connotate dal carattere di novità, si assumono essere state introdotte sin dal primo grado di giudizio. Ed invero “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale” (Cass. n. 19410 del 30/09/2015);
che allo stesso modo inammissibile è il secondo motivo di ricorso, poichè la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio non consente di individuare i fatti dotati di decisività che si assumono trascurati, non potendo gli stessi essere ravvisati nel generico riferimento ai “documenti allegati” contenuto nell’articolazione del motivo;
che in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquida e in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018