LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13521-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA, rappresentato e difeso dagli avvocati CHRISTIAN CALIFANO, LORENZO DEL FEDERICO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 24/2011 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA, depositata il 14/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.
RITENUTO IN FATTO
1. La CTR della Emilia Romagna, con la sentenza in epigrafe, confermando la decisione della CTP di Bologna, sull’appello dell’amministrazione finanziaria, riteneva illegittimo il rifiuto al rimborso di quanto versato a titolo di Irpef per l’anno di imposta 2002, in relazione al reddito di partecipazione dichiarato per detto anno, sul rilievo che il padre dell’istante era deceduto il 31.12.2002, data di chiusura dell’esercizio, ragion per cui il reddito doveva essere dichiarato integralmente dal socio superstite, ritenendo che la dichiarazione fosse stata emendata, secondo quanto stabilito dalla S.C., attraverso la procedura di rimborso.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio affidandosi a tre motivi.
Il contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, art. 5, art. 2697 c.c. nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, sostenendo che la quota del 50% del reddito dell’associazione doveva essere attribuita, in virtù del principio di trasparenza, allo stesso dante causa, benchè deceduto il 31.12.2002, poichè l’associazione aveva indicato nella dichiarazione fiscale la quota del socio al 50%; censura, inoltre, la sentenza dei giudici regionali perchè hanno omesso di considerare il decesso avvenuto l’ultimo giorno di esercizio e, dunque, la partecipazione alla formazione del reddito dell’anno 2002 da parte del socio defunto, in quanto il reddito di partecipazione dovrebbe essere determinato sulla base dell’attività professionale in concreto prestata dal socio.
Secondo l’amministrazione finanziaria il principio della non ripartibilità dell’utile secondo la durata del periodo di partecipazione alla società non troverebbe applicazione al caso di specie; in ogni caso mancherebbe la prova della non corresponsione al socio deceduto degli utili, i quali vanno distribuiti agli associati sulla base del rendiconto finale al 31.12.2002.
3. In subordine, l’amministrazione finanziaria lamenta la violazione del D.P.R. 22 novembre 1986, artt. 1 e 6 nonchè degli artt. 2289 e 2697 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non ha esaminato l’infondatezza dell’istanza di rimborso alla luce della possibile percezione del reddito da partecipazione da parte dell’erede del socio.
4 Con l’ultimo mezzo, si censura la pronuncia dei giudici territoriali per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, individuando il fatto controverso nell’omessa dimostrazione da parte del contribuente di non aver percepito il reddito dell’associazione spettante al suo dante causa.
5. Il primo motivo è infondato, assorbite le altre censure formulate in via subordinata.
L’art. 5 TUIR dispone che “i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a per intero e proporzionalmente ai soci che rivestono tale titolo al 31 dicembre, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
Nel nostro sistema tributario, la tassazione dei redditi prodotti da soggetti societari (sia dotati di personalità giuridica che non), è improntata ad un duplice principio: il principio della “trasparenza” per la tassazione dei redditi delle società di persone, ed il principio denominato della “distribuzione” per quanto riguarda la tassazione dei redditi da partecipazione in società di capitali.
6. Il regime di responsabilità illimitata (per tutti i soci di Snc e per gli accomandatari di Sas), le dimensioni ridotte dell’attività ed il ristretto numero dei soci che caratterizzano le società di persone, hanno indotto ad adottare il metodo di tassazione dei redditi conseguiti dalla società (ai fini delle imposte dirette) direttamente in capo ai soci, appunto per trasparenza, e ciò indipendentemente dalla percezione di tali utili, ossia a prescindere dalla effettiva distribuzione ai soci di somme a titolo di dividendo.
6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 8423/94, che il Collegio condivide), nell’ipotesi che nel corso di un esercizio sociale di una società in nome collettivo ovvero di un’associazione, quale quella di cui era socio il dante causa del contribuente, si sia verificato un mutamento della compagine sociale con il subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, i redditi di tale società devono essere imputati, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 esclusivamente al contribuente che sia socio al momento della approvazione del rendiconto, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, e non già al socio uscente e a quello subentrante attraverso una ripartizione in funzione della durata del periodo di partecipazione alla società nel corso dell’esercizio. Ciò in quanto la semplicistica ripartizione secondo la durata del periodo di partecipazione non corrisponde necessariamente alla produzione del reddito da parte della società relativamente ai vari periodi, poichè tale produzione non è continua e uniforme nel tempo, sicchè non è possibile frazionarla in parti uguali, secondo i periodi presi in considerazione; mentre secondo i principi civilistici, in tema di ripartizione di utili in una società di persone, principi cui coerentemente si uniforma la disciplina tributaria così interpretata, il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto. Consegue che, ove nel corso dell’esercizio sociale un socio sia deceduto, come accaduto nella fattispecie, costui non può avere più diritto agli utili, poichè, nel momento in cui quel diritto matura, non è titolare nei confronti della società di alcun diritto di credito, costituente estrinsecazione della sua qualità di socio; il diritto verso la società a percepire l’intera quota di utili compete al socio al momento del rendiconto, cioè al momento in cui quel diritto alla percezione degli utili si concretizza (Cass. n. 19238/2003).
7. D’altra parte, non va trascurato che la dichiarazione affetta da errori di fatto o di diritto da cui possa derivare, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del contribuente a tributi più gravosi di quelli previsti per legge è emendabile anche in sede contenziosa, attesa la sua natura di mera esternazione di scienza, dovendosi ritenere che il limite temporale di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, sia circoscritto ai fini dell’utilizzabilità in compensazione, ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17 dell’eventuale credito risultante dalla rettifica: il diritto al rimborso, dunque, non è precluso dall’errore nella dichiarazione, sempre emendabile e, nel caso di specie, emendato dall’erede (Cass. n. 31372016; n. 22443/2015; Cass. n. 4049 del 2015; Cass. n 20208 del 2015; Cass. n 19537 del 2014).
Infine, la circostanza che il de cuius sia deceduto l’ultimo giorno dell’esercizio sociale non inficia l’esposto principio, in virtù del quale il diritto alla percezione degli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto, deliberata, nella fattispecie, in epoca successiva al decesso del socio.
8.Pertanto il ricorso va respinto con riferimento al primo motivo, assorbiti gli altri, con aggravio di spese.
P.Q.M.
La Corte:
– respinge il ricorso con riferimento al primo motivo, assorbiti gli altri;
– Condanna l’amministrazione finanziaria alla refusione delle spese di lite sostenute dal contribuente che liquida in Euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario, e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 22 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018