LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M. T. – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Antonio – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24373-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CAUFIN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RAMADORI, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO D’ARRIGO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 194/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 06/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI.
RITENUTO IN FATTO
Che:
1. La società Caufin s.r.l. impugnava l’avviso di rettifica e liquidazione con cui l’agenzia delle entrate, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, aveva elevato da Euro 1.723.000,00 ad Euro 3.197.000,00 il valore di un terreno sito in ***** che la società aveva acquistato con atto registrato l’8 gennaio 2007.
La commissione tributaria provinciale di Brescia accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla CTR della Lombardia, sezione staccata di Brescia, sul rilievo che l’accertamento si basava sul listino dei valori immobiliari della camera di commercio che aveva valore meramente indiziario, anche tenuto conto che il valore indicato nel listino era riferito alle aree urbanizzate, laddove nel caso di specie si trattava di aree non urbanizzate, per il che l’ufficio non aveva assolto l’onere della prova mentre il contribuente aveva addotto elementi a suo favore rinvenibili nella perizia giurata e nella valutazione comunale ai fini Ici.
2. Avverso la sentenza pronunciata dalla CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato ad un motivo. Resiste con controricorso la contribuente, la quale ha altresì depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, L. n. 248 del 2006, art. 36, art. 2697 c.c., nonchè omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che ha errato la CTR nel ritenere che i valori desunti dal listino della camera di commercio non fossero attendibili e nell’attribuire maggiore valenza probatoria alla valutazione comunale ai fini Ici nonchè alla perizia giurata. Ciò in quanto i valori indicati nel predetto listino erano stati elaborati tenendo conto degli elementi indicati nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 mentre i valori ai fini Ici non erano attendibili poichè si riferivano ad una diversa imposta e la perizia giurata era un atto di parte.
2. Osserva la Corte che la contribuente, con la memoria depositata, ha invocato il giudicato a sè favorevole ottenuto dalle coobbligate in solido G.A., G.A.L. e G.A.M., venditrici dell’immobile per cui è causa, in forza della sentenza n. 8405 pronunciata dalla Corte di Cassazione il 3 ottobre 2016 ed un tanto costituirebbe ragione sufficiente per pervenire al rigetto del ricorso. In ogni caso il motivo proposto è in parte inammissibile ed in parte infondato. E’ inammissibile ove si sostiene sia stato violato il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 in quanto la ricorrente non censura la ratio decidendi. Ciò in quanto la CTR ha ritenuto l’inattendibilità del valore indicato sulla base dei listini non perchè essi non si attenessero ai criteri indicati dal D.P.R. n. 131 del 1986 ma in quanto riguardavano terreni urbanizzati ove, nel caso di specie, si trattava di terreno non urbanizzato.
Il motivo è, poi, infondato con riguardo al dedotto vizio di motivazione in quanto con esso si deduce che la CTR, in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio costituito dalla stima del terreno, ha ritenuto non probanti gli elementi addotti dall’agenzia delle entrate senza tuttavia esplicitarne adeguatamente le ragioni e conferendo maggiore persuasività agli elementi addotti dalla contribuente. Mette conto considerare che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 27162 del 23/12/2009). Il riesame degli elementi oggetto di valutazione, laddove non siano evidenziati vizi logici, costituisce, dunque, accertamento di merito che esula dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato alla corte di legittimità.
Nella specie non sussiste alcuna lacuna nel ragionamento decisorio seguito dalla CTR, tenuto conto che le doglianze della ricorrente si sostanziano nel fatto che le circostanze di causa sono state lette in modo non corrispondente alle proprie aspettative. Ne deriva che non sussiste il dedotto vizio motivazionale per non aver la CTR considerato preponderante la valenza persuasiva di quanto affermato dall’agenzia delle entrate.
2. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna l’agenzia delle entrate a rifondere alla contribuente le spese processuali che liquida in Euro 10.000,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018