Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27835 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M. T. – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27187-2011 proposto da C. ACQUE MINERALI DI C.R. & C SNC *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAPECCI, rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO BIAGI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE LIVORNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 33/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LIVORNO, depositata il 11/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI.

RITENUTO IN FATTO

Che:

1. La società C. acque minerali di C.R. e C. s.n.c. impugnava l’avviso di accertamento relativo all’anno 1997 con cui era stata richiesta la maggior imposta ILOR per Euro 37.792,77, oltre a sanzioni ed interessi. La pretesa fiscale era basata sulla deduzione indebita di costi riferita ad operazioni inesistenti.

La commissione tributaria provinciale di Livorno accoglieva il ricorso. Proponeva appello l’agenzia delle entrate e la CTR della Toscana, sezione staccata di Livorno, lo accoglieva sul rilievo che dall’esame della motivazione della sentenza penale di assoluzione degli amministratori C.L. e C.G. per i fatti che avevano generato la pretesa fiscale e dai motivi di accertamento si rilevavano elementi che facevano propendere per la fondatezza della pretesa dell’ufficio.

2. Avverso la sentenza pronunciata dalla CTR propone ricorso per cassazione la contribuente affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che la sentenza d’appello non da conto delle ragioni per le quali la pretesa dell’ufficio era stata ritenuta fondata, considerato anche che la motivazione della sentenza penale, lungi dal contenere elementi a carico degli imputati, escludeva la loro partecipazione nella frode carosello e nessun ulteriore elemento era stato addotto dall’agenzia delle entrate.

2. Osserva la Corte che l’eccezione di inammissibilità del ricorso perchè tardivamente proposto è fondata. Ciò in quanto l’agenzia delle entrate ha prodotto con il controricorso la ricevuta di ritorno della raccomandata A.R. recante la data del 30 giugno 2011 con cui asserisce di aver notificato a mezzo posta alla contribuente la sentenza qui impugnata. Va considerato che sussiste il principio di conoscenza legale, da parte del destinatario, dell’atto ritualmente notificato a mezzo di servizio postale (come attestato dall’avviso di ricevimento), che esclude, in ogni caso, che sia il mittente a dover fornire la prova (anche) del contenuto dell’atto notificato. La lettera raccomandata o il telegramma, invero, costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente. Proprio dalla prova contraria che lo stesso destinatario dell’atto è tenuto a fornire (“se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”, recita lo stesso art. 1335 c.c. per gli atti negoziale ricettizi), deriva la presunzione legale di conoscenza dell’atto medesimo che è estesa al contenuto proprio di esso (Cass. n. 22133 del 24/11/2004; Cass. n. 10536 del 03/07/2003).

Ne consegue che, avendo la ricorrente notificato il ricorso per cassazione in data 4 novembre 2011, esso è tardivo a norma dell’art. 325 c.p.c., comma 2.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a rifondere all’agenzia delle entrate le spese processuali che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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