Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27838 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24206/2011 proposto da:

ECOSESTO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ***** MILANO, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO TERRITORIALE MILANO *****, ECONORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 74/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 02/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

RILEVATO

che:

p. 1. La società per azioni Ecosesto impugnava l’avviso con cui l’Ufficio aveva rettificato il valore della cessione del ramo d’azienda avente ad oggetto un impianto di trattamento e recupero della frazione umida dei rifiuti urbani e vegetali, derivanti dalla manutenzione di area verde, contestando il criterio adottato dall’Agenzia e l’omesso riconoscimento delle passività emergenti dalle scritture contabili.

La CTP di Milano accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate.

La C.T.R. della Lombardia accoglieva l’appello, sul presupposto della correttezza del criterio assunto dall’ufficio per la determinazione del valore-avviamento individuato dall’amministrazione finanziaria nel valore attuale della rendita unitaria immediata posticipata (da considerarsi una eccedenza del valore attuale del ramo ceduto) che l’acquirente anticipa a fronte dei benefici economici futuri che si attende dall’attività acquisita – non smentito da criteri alternativi offerti dalla contribuente, tenuto conto che le perdite di gestione indicate nella perizia prodotta attenevano ad un periodo anteriore alla cessione, avvenuta nell’anno 2005; mentre le perdite di gestione dell’impianto di compostaggio, successive alla cessione, allegate dalla società, non risultavano corroborate dalle scritture contabili. Confermava di poi il disconoscimento tra le passività del finanziamento di Euro 10.000.000 assunto nei confronti della B.P di Sondrio, in quanto non correlato alla ristrutturazione dell’impianto collaudato prima della concessione del prestito e qualificato dai giudici come accollo del debito da parte della cessionaria. I giudici di appello concludevano infine che la questione delle aliquote applicate sul valore dell’intero impianto di compostaggio invece che sul valore della componente immobiliare era stata già oggetto di esame, in altro giudizio, da parte della medesima Commissione.

Avverso detta sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione svolgendo cinque motivi di ricorso.

Resiste con controricorso l’Agenzia.

CONSIDERATO

CHE:

p. 2. Con il primo motivo del ricorso, si lamenta insufficiente motivazione in relazione ad un fatto decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5, censurando l’impugnata pronuncia per aver affermato la correttezza del criterio adottato dall’ufficio, svincolato dalla reale situazione economica dell’azienda, nonostante la carenza di riscontri dottrinali, giurisprudenziali e commerciali.

A tal fine la ricorrente critica le statuizioni dei giudici territoriali nella parte in cui si afferma che il criterio adottato dall’ufficio risulta adeguato alla realtà economica, in mancanza di criteri alternativi indicati dalla ricorrente, la quale, al contrario, aveva suggerito la “capitalizzazione per tre dell’utile lordo economico risultante dalle scritture contabili”, quale criterio idoneo a quantificare il valore dell’avviamento.

Con lo stesso mezzo, la società contesta le argomentazioni poste a fondamento della pronuncia, in quanto la CTR ha statuito che non era stata fornita prova attraverso le scritture contabili – della redditività effettiva (delle perdite economiche) del ramo d’azienda successiva alla cessione, benchè la relazione predisposta da Econord, risalente al maggio 2005, riguardasse proprio il periodo in esame e non il periodo di tempo luglio 2003-luglio 2004, come asserito dal decidente.

Sotto il medesimo profilo, la ricorrente assume di aver fornito prospetti riepilogativi della situazione economica della cessionaria nel periodo successivo alla cessione del ramo d’azienda, al fine di dimostrare la redditività dell’impresa.

p. 3. Con la seconda e terza censura, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’insufficiente motivazione della pronuncia, osservando che la CTR della Lombardia ha fatto errata applicazione della norma medesima, escludendo dalla base imponibile le passività risultanti dalle scritture contabili che in quanto tali non potevano essere disconosciute, motivando detta esclusione sulla carenza di correlazione tra epoca del collaudo e concessione del finanziamento, motivazione ritenuta insufficiente per sostenere l’estromissione delle indicate passività.

p. 4. Con la quarta censura, si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nella parte relativa alla errata applicazione delle aliquote, con riferimento alle quali, il decidente ha richiamato per relationem altra sentenza del medesimo giudicante, non meglio specificata, omettendo indi di decidere su un motivo di impugnazione dell’avviso.

p. 5. La prima censura è fondata nei limiti che seguono.

L’avviamento è la capacità di profitto di un’attività produttiva, ossia una qualità dell’azienda costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitariamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono, ed implica perciò la considerazione della prevedibile capacità della stessa di coprire i costi (Cass. n. 9115 del 2012).

In ordine al valore da attribuire all’avviamento, l’accertamento compiuto dalla CTR non è solo di mero fatto, e perciò non si sottrae al sindacato di legittimità per il profilo invocato dalle società ricorrenti, in quanto presuppone anche la corretta interpretazione della norma di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, che prevede che il valore delle aziende va controllato dall’Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile.

Ciò premesso, occorre considerare che, per le aziende, il valore di avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori al trasferimento moltiplicata per tre (Cass. n. 9583 del 2016).

Ebbene, nella specie, si tratta di determinare il valore di avviamento di un impianto di compostaggio: il criterio matematico adottato dall’ufficio (definito dallo stesso “particolare strumento di matematica finanziaria”) – in cui il valore attuale al momento della cessione posticipata di n annualità(pari in questo caso a 5) ed il tasso di attualizzazione pari al 12% (tasso di rischio specifico del settore di impresa) sono dati che conducono alla quantificazione del coefficiente di attualizzazione di Euro 3.604.77620, moltiplicato per il reddito derivante dall’investimento a rischio zero – è stato recepito dai giudici territoriali senza adeguata motivazione, pur in presenza di specifiche contestazioni in ordine ai ricavi del ramo d’azienda ed alle sue capacità di produrre reddito.

Ed invero, benché nell’esposizione in fatto della sentenza, il decidente abbia dato atto delle specifiche contestazioni della contribuente in merito alla circostanza che, con detta particolare formula matematica, veniva valutato non l’avviamento dell’impresa ma un investimento teorico alternativo, nella motivazione in diritto, i giudici si sono limitati ad affermare che detto criterio non risultava posto in dubbio da criteri alternativi suggeriti dalla società contribuente.

Non vi è dubbio che queste contestazioni – non palesemente strumentali, in quanto assistite da perizie tecniche e produzione di documentazione di supporto, oltre che già valorizzate dal primo giudice – investissero direttamente un punto decisivo della controversia fatto oggetto di contraddittorio tra le parti, perché volte a far emergere l’illegittimità dell’operato dell’ufficio impositore nell’adozione di un metodo di calcolo di tale valore che appariva avulso dalla realtà economica dell’azienda.

Si trattava, in definitiva, di contestazioni incentrate sulla verifica della corretta applicazione, nella concretezza della fattispecie, del criterio fondamentale di cui del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, secondo cui il valore delle aziende dedotte nell’atto assoggettato a registrazione “è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento (…)”. Ebbene, è evidente che, quanto alla statuizione relativa alla validità del criterio adottato per quantificare il valore dell’avviamento, si tratta di affermazione apodittica che non dà conto, in quanto tale, del percorso logico e della ricostruzione delle risultanze di causa che hanno formato il convincimento del giudice di appello. L’assoluta mancanza di qualsivoglia argomento volto a confutare i motivi di opposizione dedotti dalla società contribuente denota, anzi, una situazione in tutto assimilabile alla motivazione apparente ovvero omessa; il che è non è inficiata dall’esame da parte del decidente della documentazione prodotta relativa ai redditi dell’impianto prima e dopo la cessione (cfr. Cass. 5315/2015).

Le ulteriori statuizioni – che attengono invece alla esclusione del finanziamento bancario dalle passività registrate in bilancio e fatte oggetto di ulteriore censura dell’ente ricorrente – non integrano nè rappresentano la ratio decidendi che fonda l’apodittica affermazione di legittimità del criterio adottato dall’amministrazione finanziaria, così come il riferimento alla documentazione prodotta non giustifica la statuizione in ordine alla legittimità del criterio adottato, atteso che detti documenti avrebbero dovuto al più essere valutati ai fini di un adeguamento alla realtà economica specifica del valore già accertato col predetto criterio di matematica finanziaria.

Quanto alle divergenze tra la documentazione prodotta dalla società e le valutazioni effettuate dal decidente, il motivo è inammissibile. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053).

Resta tuttavia fermo che, anche per ciò che concerne la doglianza sul mancato esame degli elementi istruttori deve essere osservato il principio di autosufficienza del ricorso, essendo inibito al giudice di legittimità l’accesso agli atti del processo in presenza di vizio che non sia quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il contenuto della prova trascurato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; 31 luglio 2012, n. 13677; 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. nn. 19985 e 14107 del 2017).

p. 6. La seconda e terza censura sono prive di pregio.

Ancorché dell’art. 51 cit., comma 4, preveda che l’ufficio, nel caso di atti che abbiano per oggetto aziende o diritti reali su di essi, effettui il controllo del valore dichiarato con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, “al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere (…)” senza, pertanto, fare riferimento esplicito al requisito di inerenza, deve pur tuttavia ritenersi che il suddetto controllo non possa prescindere dal riscontro altresì di quest’ultimo requisito al fine dell’adeguamento dell’imposizione al valore effettivo del complesso aziendale trasferito. Il richiamo testuale di legge vuole indicare che, in tanto dovrà tenersi conto delle passività aziendali, in quanto queste ultime risultino dalle scritture contabili obbligatorie (o da altri atti con data certa); non anche che le passività effettivamente risultanti in contabilità comportino per ciò solo, in sede di controllo, la diminuzione della base imponibile dell’imposta di registro indipendentemente dalla loro comprovata inerenza all’azienda ceduta.

In sede di interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 50, in tema di conferimento di aziende – nella formulazione antecedente alla modificazione apportata dalla L. n. 488 del 1999, la quale ha comunque mantenuto il criterio secondo cui “la base imponibile è costituita dal valore dei beni o diritti conferiti al netto delle passività e degli oneri (…)” – questa Corte di legittimità (Cass. n. 10218/2016; nn. 23234/15; 3444/14; 2577/11, ord.; 16768/02; 536/01) ha affermato, in più occasioni, che la deduzione delle passività e degli oneri dai beni conferiti è in ogni caso condizionata alla loro inerenza (v. 3444/14 cit.) “all’oggetto del trasferimento stesso con esclusione, quindi, di passività od oneri che, anche se gravanti sul conferente ed assunti dalla società cessionaria, non possono dirsi collegati all’oggetto del trasferimento”.

Ulteriormente rilevando come tale principio, conformativo dell’ordinamento nazionale alla Dir.CEE n. 335/69 in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali, sia “di ostacolo ad una deduzione indiscriminata delle passività ed oneri gravanti sui beni conferiti, ed imponga una verifica circa la sussistenza del “collegamento” tra la passività e l’acquisizione del bene da parte del cedente o del cessionario”; così da doversi escludere la legittimità di una riduzione dell’imposta nel caso di mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario.

Traslando questo principio di ordine generale nell’ambito della cessione aziendale ex art. 51 D.P.R. cit., rileva dunque come la presunzione di corrispondenza del valore reale a quello dichiarato dalle parti nell’atto (comma 1) possa essere superata dall’amministrazione finanziaria allorquando quest’ultima accerti (comma 4) che il valore dichiarato ha tenuto conto di passività le quali, per quanto iscritte nei libri contabili obbligatori, non presentino alcun collegamento o inerenza con l’azienda trasferita.

E’ pur vero che in quest’ultima ipotesi sussiste, per il solo fatto che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente dell’azienda ex art. 2560 c.c., comma 2; ma, allorquando emerga che tali debiti siano in realtà estranei all’azienda, l’assunzione di tale responsabilità da parte dell’acquirente non può che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accolto da parte del cessionario del debito del cedente (indipendentemente dalla inerenza soltanto contabile, e non operativa, della posta passiva). Senonchè, tale accolto non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al “netto”, ma al “tordo” della passività non inerente (Cass. 12215/08).

Il che trova del resto riscontro del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 2, il quale stabilisce che “i debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile”.

Nel caso di specie, l’ufficio non ha disconosciuto l’effettività del debito ceduto, assumendone però la non inerenza all’azienda ceduta; la contestazione dell’amministrazione finanziaria, in altri termini, non ha riguardato l’esistenza in sé del debito, ma unicamente la sua pertinenza alle esigenze e finalità aziendali. E ciò ha fatto sostenendo una tesi, in linea di principio, esatta; perché volta, in sede di controllo del valore dichiarato dalle parti nell’atto, ad ammettere la deduzione dalla base imponibile delle sole passività inerenti.

La commissione tributaria regionale ha dato ingresso a questa tesi, adeguatamente motivando la non inerenza della passività iscritta in bilancio.

p. 7. L’ultimo mezzo è fondato.

Il decidente, si è limitato ad affermare – in merito alle contestazioni sulle aliquote applicate – che la questione ha formato oggetto di una pronuncia della medesima commissione.

Questa Corte, a tale riguardo, ha affermato che: “la sentenza motivata per relationem, mediante mera adesione critica ad altro atto, senza indicazione nè della tesi in esso sostenuta, nè delle ragioni di condivisione, è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto correlata da motivazione solo apparente” (Cass. n. 2332/2016; Cass. n. 20648 del 2015, Cass. n. 12542 del 2001).

Orbene nel caso di specie, non solo non viene neppure sommariamente riportato il contenuto del procedimento cui la sentenza fa rinvio, ma manca ogni indicazione, seppure sintetica, delle ragioni per le quali, implicitamente, si è ritenuto di condividere la tesi prospettata dall’Agenzia delle Entrate (avendo deciso per l’integrale accoglimento del gravame). Tale motivazione rende impossibile apprezzare l’iter logico posto a fondamento della decisione e di verificare le ragioni che hanno indotto la CTR a fare propria la tesi dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 16736 del 2007).

In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento al primo e all’ultimo motivo, rigettati il secondo ed il terzo, con conseguente cassazione della pronuncia impugnata e rinvio alla CTR della Lombardia in altra composizione.

P.Q.M.

La Corte:

– Accoglie il ricorso con riferimento al primo ed all’ultimo motivo, respinti il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche la statuizione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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