LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29476/2011 proposto da:
GEA DI G.G. E C. SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIMMINO GIBELLINI FRANCESCO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 113/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 27/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere MILENA BALSAMO.
ESPOSIZIONE DEL FATTO p.1. La società G.E.A. s.as. di G.G. & C. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate accertava l’irregolare tenuta e registrazione delle fatture, pur essendo le operazioni non soggette ad IVA, trattandosi di imposta assolta a monte in regime monofase.
La CTR della Lombardia respingeva l’appello, sul rilievo che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 dispone che le fatture debbano contenere i dati prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, legittimando l’amministrazione finanziaria ad adottare il metodo induttivo prescindendo dalle scritture contabili.
Il contribuente propone ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe emessa dalla CTR, sorretto da tre motivi.
L’amministrazione finanziaria non si è costituita.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO p. 2. Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 e della L. n. 890 del 1982, art. 8, sostenendo la nullità della sentenza d’appello, per avere il decidente omesso di disporre la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo del gravame, benchè l’atto non fosse mai giunto allo studio del difensore nominato in primo grado; la relata sarebbe infatti priva di data dell’avvenuto deposito e non sarebbero state osservate le prescrizioni del cit. art 8, non meglio indicate nemmeno nell’illustrazione del motivo.
p..3 Con la seconda censura, in via subordinata, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia e violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censurando la pronuncia impugnata nella parte in cui i giudici territoriali hanno applicato il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39disciplinante fattispecie diverse da quella oggetto della presente controversia.
p..4 Con la terza censura si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 con riferimento all’art. 74, commi 1 e 3, nel testo applicabile ratione temporis ex art. 360 c.p.c., n. 3, disapprovando l’applicazione dell’art. 21 cit. da parte del decidente, poichè, al contrario, i soggetti che operano successivamente alla prima fase di distribuzione delle schede telefoniche prepagate non sono soggetti all’obbligo dell’emissione di fatture, così come previsto dalla medesima circolare dell’Agenzia delle Entrate.
p..4 La prima censura è destituita di fondamento per difetto di specificità.
Qualora oggetto del motivo di ricorso per cassazione sia una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale della relata stessa (Cass. 29 agosto 2005, n. 17424; Cass.2017 n.5185).
p..5. Il secondo mezzo è inammissibile poichè la ricorrente opera una inestricabile mescolanza e sovrapposizione di ragioni eterogene, riferite indistintamente alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita prospettare una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello relativo al vizio di falsa applicazione della legge ed omessa e insufficiente motivazione.
Difatti, mentre il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico (con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse,’ fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla dottrina prevalente), il vizio relativo all’omessa della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune e carenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione. Si è quindi concluso, nella giurisprudenza di legittimità, che tra le due censure deducibili in sede di legittimità non vi possono essere giustapposizioni (“contra”, comunque, tra le altre, circa tale specifico profilo, sez. 1 n. 976 del 2008).
Ciò in quanto non può essere attribuito a questa Corte il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno delle ragioni d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle censure del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. (Cass. 2011 n. 19443; Cass. 2016 n. 18021; Cass. 2017 n. 27021).
p..6 La terza censura è parzialmente fondata.
Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. d), disciplina le particolari modalità di applicazione dell’Iva nel settore delle telecomunicazioni secondo il cosiddetto sistema monofase. Tale regime speciale, come noto, è diretto a semplificare l’applicazione dell’imposta, prevedendone l’assolvimento in capo al solo soggetto che si trova “a monte” della catena produttiva-distributiva, sulla base del prezzo di vendita al pubblico del prodotto o del corrispettivo dovuto dall’utente, con la conseguenza che l’imposta non è applicata nei singoli passaggi commerciali con il meccanismo rivalsa-detrazione, ma è dovuta unicamente dal primo soggetto cedente (editore, distributore per i tabacchi, società telefonica per le ricariche dei cellulari o per i posti telefonici pubblici, etc.); i passaggi successivi, ai sensi del medesimo art. 74, comma 2, non sono considerate cessioni ai fini IVA: la norma dispone infatti che “le operazioni non soggette all’imposta in virtù del precedente comma sono equiparate per tutti gli effetti del presente decreto alle operazioni non imponibili di cui all’art. 2, comma 3”.
Nell’ambito del “sistema IVA”, il legislatore ha distinto tre tipi di operazioni: operazioni imponibili, operazioni non imponibili ed operazioni esenti. Sono tutte operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’Iva, nel senso che anche quelle che non determinano l’addebito del tributo (esenti o non imponibili) devono comunque essere formalizzate (mediante registrazioni, fatturazioni, dichiarazioni), a differenza delle operazioni c.d. totalmente “fuori campo”. Le operazioni “non imponibili” hanno a che fare con il principio di territorialità dell’imposta (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8), mentre quelle “esenti” sono tali per ragioni di politica sociale.
Dette operazioni rientrano tutte nel campo di applicazione dell’iva, nel senso che anche quelle che non determinano l’addebito del tributo (esenti o non imponibili) devono essere formalizzate (mediante registrazioni, fatturazioni, dichiarazioni), a differenza delle operazioni totalmente “fuori campo”. Quindi, le categorie delle operazioni “non imponibili” e quella delle operazioni “esenti” hanno fondamento sistematico e giustificazione pratica differenti, per cui non sono sovrapponibili.
Le singole “esenzioni” hanno carattere eccezionale e non è consentito all’inteirprete ampliarne l’estensione senza invadere il terreno delle scelte che competono al legislatore (Cass. n. 201075/2011; n. 7501/2001).
Le operazioni in regime monofasico vanno assimilate alle operazioni soggette ad Iva in relazione a qualsiasi fase di commercializzazione, dunque sia per il produttore/importatore, tenuto al versamento dell’Iva, sia per i rivenditori intermedi; con la conseguenza che – per dette operazioni economiche – sussiste l’obbligo dell’emissione e della registrazione delle fatture, prevista per la generalità dei soggetti passivi Iva, ad eccezione di alcune ipotesi di esonero specificamente regolate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 22.
In particolare, come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, citato art. 74 per tutte le vendite di mezzi tecnici nei confronti di soggetti che agiscono nell’esercizio di imprese, arti o professioni, anche successive alla prima cessione, i cedenti rilasciano un documento in cui devono essere indicate anche la denominazione e la partita Iva del soggetto passivo Iva che ha assolto l’imposta secondo il sistema monofase.
In alcun modo, dette operazioni sono equiparabili alle cessioni di cui all’art. 2, comma 3 ovvero alle operazioni esenti di cui all’art. 10 del cit. D.P.R.; l’esclusione dall’obbligo di fatturazione è disciplinata espressamente dal menzionato art. 10 che non include tra le operazioni esenti da detto obbligo quelle di cui all’art. 74 del medesimo decreto.
Non deve, comunque, essere inoltre trascurato che il contribuente che abbia posto in essere operazioni esenti da imposta di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10 è dispensato, ai sensi dell’art. 36-bis del citato D.P.R., dagli obblighi di fatturazione e registrazione a condizione che ne abbia fatto preventiva comunicazione all’ufficio, ferma restando la soggezione all’obbligo di dichiarazione annuale, per il quale la norma non prevede alcuna dispensa (Cass. n. 12198/2008).
In ogni caso, la norma non può essere interpretata estensivamente applicando l’esenzione dall’obbligo a transazioni non espressamente considerate dall’art. 22, atteso che le disposizioni in tema di condono fiscale, essendo derogatorie rispetto a quelle ordinarie, integrano sistemi compiuti di natura eccezionale, insuscettibili di applicazione analogica; si tratta di disposizioni di stretta interpretazione, insuscettibili di essere integrate in via ermeneutica sia dalle norme generali dell’ordinamento tributario sia da quelle dettate per fattispecie particolari ancorchè contemplate dalla medesima legge (Cass. n. 17796/2018).
Dunque, non sono soggette agli adempimenti formali tipici della fatturazione solo le operazioni per cui è esclusa l’Iva (fuori campo IVA) come nei casi in cui l’operazione difetti del presupposto soggettivo, oggettivo oppure di entrambi; tipico esempio di operazione “IVA esclusa” è la vendita di un bene da parte di un privato.
In tali casi, a differenza dell’IVA esente, l’operazione non è soggetta agli adempimenti formali tipici dell’imposta.
In altri termini, mentre le operazioni non soggette ad IVA non devono essere fatturate, in quanto prive di uno o più presupposti (oggettivo, soggettivo o territoriale) necessari per l’applicazione dell’imposta (es.: le cessioni di denaro), le operazioni esenti dall’iva vanno regolarmente fatturate come prescrive il citato disposto dell’art. 21.
Peraltro, questa Corte non ritiene di condividere l’interpretazione offerta dalla contribuente secondo la quale il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1 laddove prescrive che:” per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili, o, ferma restando la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa dal cessionario o dal committente, ovvero, per suo conto, da un terzo”, prevede una equiparazione tra fatture e “note o simili”, dovendosi interpretare la norma in combinato disposto con l’art. 23, comma 2, medesimo cit. Decreto, secondo il quale “per ciascuna fattura devono essere indicati il numero progressivo e la data di emissione di essa, l’ammontare imponibile dell’operazione o delle operazioni e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata, e la ditta, denominazione o ragione sociale del cessionario del bene o del committente del servizio, ovvero, nelle ipotesi di cui all’art. 17, comma 3 del cedente o del prestatore e del soggetto passivo Iva”.
In altri termini, la fattura può essere equiparata ai soli documenti fiscali che espongano gli elementi indicati dal secondo comma della citata disposizione con la conseguenza che l’emissione di distinte o note cumulative prive dei riferimenti contenutistici indicati dal legislatore (annotazione così effettuata dal contribuente) sono assimilabili alle fatture, solo se consentono di individuare gli elementi contenutistici sopra descritti, rappresentando, altrimenti, una violazione delle norme tributarie.
Tuttavia, la verifica in merito alla sussistenza della documentazione contabile e alla sua equipollenza alle fatture deve essere rimessa al giudice del merito, che deciderà, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso, con riferimento alla terza censura, secondo quanto disposto in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di Cassazione, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018