LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8255/2011 proposto da:
F.N., elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 21, presso lo studio dell’avvocato LO GIUDICE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO VIGNOLA;
– ricorrente –
contro
EQUITALIA NOMOS SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato SANTE RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO CIMETTI;
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
e contro
T.S.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 30/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di VERONA, depositata il 09/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 30/21/10, emessa in data 5.11.2009, depositata in data 9.02.2010, la Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva l’appello principale proposto dal concessionario della riscossione EQUITALIA NOMOS S.p.A. nonchè quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei contribuenti F.N. e F.S., riformando la sentenza emessa dalla CTP di Verona n. 124/02/2008 e compensando le spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa di alcune cartelle di pagamento relative agli anni d’imposta 1998/2003, di importo complessivo pari ad Euro 112.930,86, emesse nei confronti dei predetti contribuenti quali soci coobbligati della società Speed box service s.n.c., relativamente ad imposte IVA, IRPEF, ILOR ed IRAP.
2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso che i contribuenti avevano chiesto l’annullamento delle cartelle lamentando decadenza dalla notifica delle cartelle di pagamento D.L. n. 106 del 2005, ex art. 5 bis, l’inesistenza della notifica delle cartelle, la carenza di motivazione, la carenza di sottoscrizione e l’omessa indicazione del responsabile del procedimento; costituitesi sia L’Agenzia delle Entrate che l’Agente della riscossione, nel ribadire la legittimità del proprio operato, eccepivano la carenza di legittimazione attiva per gli eventuali vizi afferenti la cartella e/o il ruolo.
3. La CTP adita respingeva il ricorso, rilevando l’inammissibilità dell’eccezione di decadenza per la tardività delle notifiche, salvo due cartelle (la n. ***** relativa all’anno 1998 e la n. ***** relativa all’anno 2000), in quanto non risultava accertata la convivenza del socio F. destinatario delle notifiche con la madre ed il padre che le avevano ricevute.
4. A seguito dell’appello interposto dal Concessionario della riscossione e dell’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, la CTR con la sentenza qui ricorsa riformava la decisione dei giudici di prime cure, osservando: 1) che la società Speed box service s.n.c. era stata posta in liquidazione a far data dal 30 maggio 2002, ossia dopo la notifica delle cartelle di pagamento e stante l’incapienza del patrimonio sociale al soddisfacimento del credito doveva ritenersi assolto l’onere della preventiva escussione ex art. 2304 c.c., operando la responsabilità solidale ed illimitata del socio per i debiti della s.n.c., prevista dall’art. 2291 c.c., in assenza di espressa previsione derogatoria, anche per i rapporti tributari con riguardo alle obbligazioni dagli stessi derivanti; 2) che, con riferimento alle notifiche delle due cartelle relative agli anni 1998 e 2000, la decisione del primo giudice non poteva essere condivisa, in quanto l’eccezione di nullità della notifica non era stata sollevata ritualmente con i motivi di ricorso, ma proposta in sede di memoria illustrativa, dunque in maniera irrituale e tardiva; 3) che, quanto all’appello incidentale dell’Agenzia, essendo stata l’impugnazione della cartella esattoriale proposta per vizi propri della stessa e del procedimento di notificazione e non per la debenza del tributo, non sussisteva la legittimazione passiva dell’Ufficio, donde anche l’appello incidentale andava accolto.
5. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, e il Concessionario della riscossione, mediante avvocati del libero Foro, si sono costituiti nei termini di legge mediante seprato controricorso.
6. All’udienza in camera di consiglio del 12.09.2018, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non essendo peraltro state rassegnate conclusioni scritte da parte della P.G. presso questa S.C..
CONSIDERATO IN DIRITTO
7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso il contribuente F.N., nella qualità di socio coobbligato della società Speed box service s.n.c., impugnando la decisione con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24.
In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, sarebbe ravvisabile un error in procedendo per non aver la CTR ritenuto tempestivamente svolta l’eccezione di nullità della notifica delle due cartelle relative agli anni 1998 e 2000, poichè ricevute da persone non conviventi con il destinatario della cartella, nonostante la stessa, pur non ritualmente sollevata con i motivi di ricorso, fosse stata svolta in sede di atto di integrazione dei motivi depositato in data 2.10.2008; dopo aver trascritto le eccezioni di nullità delle notifiche poste a base della sentenza di primo grado (pagg. 6/7 del ricorso), sostiene il ricorrente che nessuna irritualità e/o tardività poteva essere contestata alla difesa che aveva, infatti, provveduto a sollevare le eccezioni tempestivamente con l’atto di integrazione motivi spedito il 30.09.2008 e depositato il 2.10.2008, a seguito delle difese ex adverso formulate negli atti introduttivi depositati il 27.06.2008, e non come erroneamente affermato dalla CTR, con la memoria illustrativa depositata in un secondo tempo; sarebbe stato quindi rispettato quanto dispone, in via di deroga, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24,comma 2, essendo stato osservato il termine di gg. 60 dalla data di deposito delle difese avversarie.
7.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per aver il giudice di appello ritenuto la sentenza di primo grado affetta da vizio di ultrapetizione nonostante l’eccezione di nullità delle notifiche fosse stata ritualmente introdotta nel processo di primo grado in sede di atto di integrazione dei motivi.
In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole il ricorrente per aver la CTR commesso un evidente errore, individuabile con la semplice lettura della memoria depositata in data 2.10.2008, in cui erano state sollevate le eccezioni di nullità delle cartelle relative agli anni 1998 e 2000, in quanto effettuate a soggetti che non avevano alcuna relazione con la società e di cui non risultava accertata la loro convivenza con l’amministratore; i giudici di primo grado avrebbero, dunque, esercitato un corretto sindacato sulle eccezioni proposte dalla difesa, senza andare ultra petita, come invece sostenuto dalla CTR; si chiede, quindi, che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte decida nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, annullando le cartelle di pagamento per gli anni 1998 e 2000 sulla base di quanto argomentato dia primi giudici, in subordine rinviando gli atti alla CTR del veneto per nuovo giudizio.
8. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, in sede di controricorso, ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, respingersi il ricorso, deducendo quanto segue sui motivi di cui all’impugnazione.
8.1. Anzitutto, ha rilevato che non essendo stato impugnato il capo della sentenza di appello che ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia in quanto sprovvista di legittimazione passiva, l’impugnazione di legittimità dev’essere dichiarata inammissibile nei confronti dell’Ufficio.
8.2. In secondo luogo, ha comunque rilevato l’infondatezza del ricorso, in quanto, essendo state le notifiche eseguite presso le residenze dei soci, come risulta dalla produzione documentale del concessionario, i motivi di ricorso sono stati correttamente ritenuti inammissibili dalla CTR, non derivando la proponibilità degli stessi dalla produzione effettuata in giudizio dal concessionario.
9. Il concessionario, pel tramite dei difensori del libero Foro, in sede di controricorso, ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, respingersi il ricorso, deducendo quanto segue sui motivi di cui all’impugnazione.
9.1. Con riferimento al motivo afferente alla violazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, si è rimessa alle decisioni di questa Corte; quanto, invece, al secondo motivo, il concessionario ne sostiene l’inammissibilità non essendo la CTR entrata nel merito dell’eccepita nullità, ossia verificando la regolarità delle predette notifiche, ma ha annullato invece la sentenza di primo grado per vizio di ultrapetizione; ciò esclude che la Corte possa esercitare quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2; in ogni caso, si rileva che la difesa del contribuente nel prospettare il motivo in sede di legittimità, eccepisce la nullità delle predette due notifiche limitandosi a richiamare i documenti dei fascicoli di parte, con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, che rende il motivo pertanto inammissibile.
9.2. In ogni caso, il motivo sarebbe infondato, atteso che la notifica delle due cartelle di pagamento alla società Speed box service s.n.c., è avvenuta del tutto regolarmente; a tal proposito, la difesa del concessionario, contestualmente allegando la relativa documentazione a supporto, evidenzia come il ricorrente all’epoca della ricezione delle due notifiche era il liquidatore della società (v. visura storica allegata); le notifiche risultano essere state eseguite entrambe all’indirizzo di residenza del predetto liquidatore, la prima, a mani di tale A.M. e, la seconda, a mani di tale F.G. (v. notifiche allegate al ricorso), rispettivamente madre e padre del liquidatore F.N.; ne discende che le notifiche sono state ritualmente seguite all’indirizzo del socio liquidatore, quale legale rappresentante della società Speed box service s.n.c. in liquidazione, atteso che la società all’indirizzo corrispondente alla sede legale era sempre risultata irreperibile; detta modalità di notifica sarebbe rituale, anche in base alla giurisprudenza di questa Corte, richiamata dal concessionario in sede di controricorso.
10. Il ricorso è fondato.
11. Il primo motivo, con riferimento alla censura del vizio di “error in judicando” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, è inammissibile.
Per giurisprudenza costante di questa Corte nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il Giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente: ne consegue che l’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 24, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione ” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011; id., Sez. 5, Sentenza n. 23326 del 15/10/2013).
Orbene, la CTR ha dichiarato inammissibile il deposito della “memoria integrativa” in quanto i vizi della notifica delle due cartelle relative agli anni 1998 e 2000 (accolta dai primi giudici perchè ricevute da persona, il padre e la madre, che si riteneva indimostrato essere conviventi con il destinatario delle cartelle) costituiva eccezione non ritualmente sollevata con i motivi svolti in sede di ricorso, con conseguente pronuncia ultrapetita.
Detti “documenti”, all’evidenza, non potevano dirsi non conosciuti all’atto della presentazione del ricorso introduttivo ad opera del F.N., commissario liquidatore della società Speed box service s.n.c. in liquidazione, in quanto le cartelle di cui si discute risultavano notificate presso l’indirizzo di residenza anagrafica dello stesso F., a mani del padre e della madre.
La pronuncia della CTR, dunque, deve ritenersi pertanto del tutto conforme allo schema della fattispecie considerata dalla norma processuale, in quanto all’accertamento in fatto della carenza del presupposto (mancanza di precedente conoscenza del contenuto del documento prodotto in giudizio) al quale dalla norma processuale è ricollegata la esigenza di tutela del principio del contraddittorio, i Giudici di merito hanno fatto correttamente seguire l’effetto preclusivo dell’ampliamento del “thema decidendum”.
12. In relazione, poi, alla censura di vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Il contribuente si è, infatti, limitato a descrivere i fatti, in particolare riferendo che (v. pag. 6 dell’atto di appello), in conseguenza delle difese svolte dalle controparti costituite, erano state formulate a pag. 3 e 4 le eccezioni di nullità delle notifiche di cui sopra, poste a base della sentenza di primo grado che ha accolto i ricorsi limitatamente alle cartelle relative agli anni 1998 e 2000.
Orbene indipendentemente dal momento in cui il ricorrente allega di aver preso contezza dell’avvenuto deposito del documento (risulterebbe che tale momento sia identificabile nel 27.06.2008, data del deposito della memoria “con fatti nuovi” del Concessionario della riscossione, cui sarebbe conseguito l’atto di integrazione dei motivi D.Lgs. n. 546 del 192, ex art. 24, spedito il 30.09.2008, poi depositato il 2.10.2008), ciò che difetta, ai fini della ammissibilità del motivo, è proprio la specifica critica alla statuizione della sentenza di appello che, con accertamento in fatto, ha ritenuto insussistenti i presupposti che legittimavano il contribuente attraverso la “integrazione dei motivi di ricorso” D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 24, comma 2, ad estendere il “thema decidendum” al vizio di inesistenza/nullità della notifica dell’atto impositivo, affermando che “detta eccezione non è stata ritualmente sollevata con i motivi di ricorso”.
Ed infatti la contestazione della inesatta rilevazione e valutazione da parte della CTR della irritualità e tardività della doglianza in quanto specificamente proposta solo con la memoria illustrativa, avrebbe dovuto essere supportata dalla prova documentale costituita dalla produzione delle due cartelle di pagamento di cui si discute, laddove, diversamente, a sostegno delle eccezioni di nullità della notifica delle predette cartelle, la difesa del ricorrente si limita a richiamare i fascicoli di parte; diversamente, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (v., tra le tante: Sez. 5, sentenza n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120-01).
13. Infine, per completezza, deve comunque rilevarsi che quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente circa l’asserita nullità delle predette notifiche è infondato, atteso che – come diversamente documentato puntualmente dalla difesa dell’Agente della riscossione nel proprio controricorso – le due notifiche relative alle cartelle di pagamento di cui si discute, erano da ritenersi pienamente legittime, in quanto eseguite presso l’indirizzo di residenza del commissario liquidatore della società, F.N., attuale ricorrente, circostanza rispetto alla quale, dunque, fallace risultava essere l’affermazione, contenuta invece nella prima sentenza, dell’asserita nullità delle notifiche in quanto ricevute da due soggetti, il padre e la madre del F., che non risultava essere dimostrato essere conviventi con il destinatario.
Orbene – in disparte il rilievo che di tale non convivenza il ricorrente non fornisce davanti a questa Corte di legittimità alcun elemento di prova (ad esempio, mediante la produzione del certificato di residenza storico), prova positiva contraria, rivestita del carattere della decisività ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), volta a dimostrare l’assunto secondo cui il contribuente non sarebbe pervenuto a conoscenza della notifica delle due cartelle che aveva però provveduto ad impugnare avanti la CTP (ad analoga conclusione è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte in tema di ammissibilità della impugnazione tardivamente proposta per mancata conoscenza della pendenza della lite o del decreto ingiuntivo conseguente a vizio di nullità della notifica dell’atto introduttivo della lite o del provvedimento monitorio, affermando che la parte interessata è onerata della prova della non tempestiva conoscenza che può essere fornita a mezzo di presunzioni ed in particolare, trattandosi di fatto negativo, attraverso la dimostrazione del fatto positivo costituito dal modo e dal quando la conoscenza sia avvenuta, e che non si può esaurire nella sola dimostrazione della nullità della notificazione: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9938 del 12/05/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 05/02/2009) – deve comunque rilevarsi come l’essere state eseguite le notifiche presso l’indirizzo di residenza anagrafica del commissario liquidatore della società, da un lato, costituisce modalità notificatoria del tutto legittima ove, come evincibile dalle notifiche relative alle altre cartelle di pagamento, la società all’indirizzo corrispondente alla sede legale è sempre risultata irreperibile; ed infatti, come già affermato da questa Corte, in tema di accertamenti tributari, la disciplina delle notificazioni, che ne consente l’esecuzione nel domicilio fiscale del contribuente per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), in caso di mancata comunicazione da parte di quest’ultimo di eventuali variazioni, è posta a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, cui non può essere addossato l’onere di ricercare il contribuente, che non abbia assolto l’onere informativo a suo carico, fuori dal suo domicilio fiscale, sicchè la sua inosservanza non può comportare l’illegittimità della notifica effettuata con una procedura più garantista, come quella di cui all’art. 139 c.p.c., presso la residenza del destinatario mediante consegna al coniuge convivente (Sez. 5, Sentenza n. 18934 del 24/09/2015, Rv. 636511-01).
Dall’altro, e in ogni caso, trova applicazione il principio secondo cui la nullità della notifica della cartella esattoriale, atto avente duplice natura di comunicazione dell’estratto di ruolo e di intimazione ad adempiere, corrispondente al titolo esecutivo e all’atto di precetto nel rito ordinario, è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ai sensi degli artt. 156 e 160 c.p.c., atteso l’espresso richiamo, operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, alle norme sulle notificazioni del codice di rito. (Sez. 5, Sentenza n. 384 del 13/01/2016, Rv. 638250-01). E, nel caso di specie, l’impugnazione tempestiva da parte del socio liquidatore, F.N., delle due cartelle notificate alla madre e al padre, che si assumeva non essere conviventi con il destinatario delle stesse (fatto, come visto, indimostrato dal ricorrente), oltre a privare di pregio la prospettazione del ricorrente medesimo, ha comportato comunque la sanatoria della asserita nullità delle notifiche per raggiungimento dello scopo.
14. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dev’essere respinto, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.
15. Alla soccombenza deve seguire la condanna del contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate come da dispositivo, in base ai parametri disciplinati dal D.M. n. 55 del 2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 6”, nella misura di Euro 4.000,00 per compensi in ragione del valore della causa (scaglione da 25.000,00 Euro a 52.000,00 Euro), oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente F.N. al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018