LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8533-2011 proposto da:
STUDIO LEGALE ASSOCIATO MAGNANI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA MAGNANI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE DI ROMA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 33/2010 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 10/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 33/38/2010, emessa in data 20.01.2010, depositata in data 10.02.2010, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente Studio legale associato Magnani (da ora in poi: lo Studio), riformando la sentenza emessa dalla CTP di Roma n. 404/04/2008 e compensando le spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa del silenzio-rifiuto relativamente all’istanza di rimborso IRAP, per un importo pari ad Euro 47.319,21, in relazione agli anni dal 15.06.2001 al 29.11.2004.
2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso che con istanza 31.05.2005 lo Studio aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di Roma, il rimborso della somma di Euro 44.142,51 pagata a titolo id IRAP per gli anni di imposta 200/2004, e, sul silenzio-rifiuto, aveva proposto ricorso alla CTP di Roma.
3. La CTP adita accoglieva il ricorso, in particolare disponendo il rimborso della predetta somma, accertando che nella fattispecie non era sussistente quell’autonoma organizzazione tale, di per sè stessa, da determinare un potenziamento del reddito professionale; segnatamente, si legge nella sentenza di prime cure, i tre componenti dello Studio esercenti la professione di avvocato, svolgono la propria attività autonoma senza alcuna specifica organizzazione e senza personale dipendente, giovandosi esclusivamente di alcuni beni strumentali necessari; risultava, in particolare, dall’esame della documentazione in atti, che i ricorrenti, come studio legale, avevano svolto la loro attività senza mai utilizzare il lavoro altri nè sotto la forma del lavoro dipendente nè sotto qualsiasi altra forma, avendo altresì impiegato ridotte risorse strumentali, quelle oggettivamente occorrenti allo svolgimento dell’attività di riferimento.
4. A seguito dell’appello interposto dall’Agenzia delle Entrate, la CTR con la sentenza qui ricorsa riformava la decisione dei giudici di prime cure, osservando: 1) che l’associazione tra professionisti, secondo la giurisprudenza di legittimità, fa conseguire ai suoi aderenti utilità altre ed aggiuntive rappresentate dai vantaggi organizzativi (sostituzioni nell’attività, utilizzazione di locali comuni, utilizzazione di mezzi, apparecchiature e servizi collettivi), che determinano l’incremento della ricchezza privata; 2) che, nel vaso si specie, non rilevavano le ragioni per cui si era inteso creare la struttura associativa, e al di là che della stessa facciano parte professionisti tra loro in rapporti di parentela, rileva la circostanza che l’associazione contiene in sè l’autonoma organizzazione che costituisce presupposto impositivo; 3) che, ancora, nel caso di specie, benchè l’attività si svolga presso l’abitazione (di cui però, si precisa in sentenza, non è dato sapere quante stanze siano destinate all’esercizio della professione), tuttavia ciò non esclude per la CTR la comune utilizzazione dei locali tra i tre professionisti, con reciproci vantaggi organizzativi ed oltre a ciò, dall’esame dei quadri delle dichiarazioni rese per gli anni di imposta chiesti a rimborso, emerge anche che in ciascun anno compaiono compensi a terzi e beni strumentali di valore significativo i quali, si legge in sentenza, unitamente al principio di base esposto, concorrono a creare quella autonoma organizzazione che costituisce il presupposto dell’imposta.
5. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, si è costituito nei termini di legge mediante controricorso.
6. All’udienza in camera di consiglio del 12.09.2018, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non essendo peraltro state rassegnate conclusioni scritte da parte della P.G. presso questa S.C..
CONSIDERATO IN DIRITTO
7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso il contribuente Studio, impugnando la decisione con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, in relazione all’interpretazione datane dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001.
In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, i giudici di appello non avrebbero tenuto conto di quanto statuito con la Corte costituzionale con la richiamata sentenza e da questa stessa Corte con altre decisioni in materia, laddove si è affermato che l’attività di lavoro autonomo diversa dall’esercizio di impresa commerciale integra il presupposto impositivo IRAP solo ove si svolga per mezzo di un’attività autonomamente organizzata; nella specie, premesso che si tratta di uno studio legale composto dal padre e dai due figli, sostiene li ricorrente che il contribuente può sempre dimostrare, richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di debenza dell’IRAP da parte degli studi associati, il superamento della presunzione, ossia provare che il reddito IRAP d cui si chiede il rimborso non è derivato nè è stato potenziato dalla struttura così come organizzata, essendo unicamente riconducibile al lavoro professionale dei singoli; la CTR avrebbe errato perchè non poteva assolutamente esimersi dal valutare anche negativamente le prove offerte dal ricorrente a superamento della presunzione (ossia: attività professionale sempre svolta dal padre e dai due figli, in modo singolo ed autonomo e solo formalmente associati tra loro; conferimento degli incarichi sempre singolarmente ad personam; totale assenza di spese per prestazioni di lavoro subordinato e per collaboratori; assenza di locali specificamente adibiti a studio, atteso l’uso promiscuo dell’abitazione; esistenza di quei soli beni strumentali strettamente indispensabili per l’esercizio della professione) e non avrebbe tenuto conto delle ragioni sottese alla necessità di costituire uno studio associato tra il padre e i figli (atteso che il padre, oggi ultraottantenne, aveva quali unici due committenti due note compagni di assicurazioni che conferiscono sì gli incarichi ad personam, ma pretendono per motivi attinenti alla loro organizzazione interna di avere sempre un unico referente, in termini di fatturazione e pagamento), donde avrebbe dovuto esaminare il documento costituito dalle certificazioni dei compensi erogati allo studio dalle due compagnie assicuratrici, prodotte al fine di dimostrare come il reddito dello studio derivasse quasi esclusivamente da incarichi conferiti da tali compagnie, con la conseguenza che non risultava essere mai esistita un’autonoma organizzazione capace ex se di comportare un potenziamento del reddito; si rileva, ancora, in ricorso l’inappropriato riferimento ad alcune decisioni della Cassazione in sentenza, confermative, piuttosto, del fatto che la presunzione non opera ex lege, ma che l’applicazione dell’IRAP richiede pur sempre un esame caso per caso nei confronti di chi esercita attività professionali in forma associata, e produce reddito da lavoro autonomo, non trattandosi di una presunzione assoluta; una diversa lettura condurrebbe all’affermazione erronea secondo cui la presunzione opererebbe sempre nei confronti degli esercenti arti e professioni quali soggetti passivi di imposta, laddove la stessa vale in termini assoluti solo per i redditi di impresa e non per quelli di lavoro autonomo, dovendosi, in ogni caso, per questi ultimi, verificare se detto reddito deriva unicamente dal lavoro dei singoli professionisti o se sia stato almeno potenziato dalla struttura autonomamente organizzata che, nel caso degli studi associati è lecito presumere ma che non è detto debba sempre e comunque esistere.
7.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente ed erronea motivazione su fatti controverse e decisivi per il giudizio.
In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole il ricorrente per non aver la CTR minimamente tenuto conto delle argomentazioni e delle prove offerte a superamento della presunzione di sussistenza dell’autonoma organizzazione; richiamata la produzione documentale costituita dalle certificazioni dei compensi erogati dalle compagnie di assicurazione allo studio, si duole del fatto che la CTR avrebbe ritenuto irrilevanti detti argomenti e prove documentali senza motivare le ragioni, non essendosi peraltro tenuto conto del fatto che, anche in assenza di costituzione dello studio associato, i tre professionisti avrebbero in ogni caso beneficiato di quei vantaggi che la CTR ha ritenuto invece sussistenti per il solo fatto dell’esistenza dello studio associato, essendo notorio che in assenza di una formale associazione, si verifica sempre che il padre si avvalga a titolo gratuito per le incombenze derivanti dall’esercizio della professione forense, dell’ausilio dell’opera dei figli e viceversa, essendo parimenti notorio il fatto che avendo il padre a disposizione l’appartamento adibito promiscuamente a studio, ne consenta l’uso gratuito ai figli per l’esercizio della medesima professione; infine, si deduce il vizio di omessa motivazione nella parte in cui la sentenza non entra nel merito della quantificazione dei compensi a terzi e dei beni strumentali, affermando che gli stessi erano di ammontare significativo, senza indicarne gli importi in sentenza; diversamente, ove i giudici avessero analizzato i quadri delle dichiarazioni reddituali, avrebbero rilevato che non solo i compensi (peraltro assai modesti, essendo nell’ordine dei 415000Euro annui) erano costituiti da importi corrisposti a studi legali per la domiciliazione dei clienti presso fori diversi da quelli della Capitale e da spettanze del commercialista dello studio, non dunque da compensi per collaboratori o per prestazioni lavorative di tipo dipendente o assimilato, indicando il relativo rigo RE10 sempre l’importo pari zero, donde l’affermazione della CTR sulla rilevanza dei compensi al fine di ritenere provata l’autonoma organizzazione sarebbe priva di pregio in quanto immotivata; dall’altro, con riferimento ai beni strumentali, la CTR non si sofferma ad esaminare in cosa essi consistessero e quale ne fosse il loro reale valore laddove, diversamente, ove avessero preso in esame il registro dei beni ammortizzabili, avrebbero potuto valutare che si trattava dei soli beni strumentali indispensabili.
8. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, in sede di controricorso, ha chiesto respingersi il ricorso, deducendo quanto segue sui motivi di cui all’impugnazione.
8.1. Anzitutto, ha ritenuto inammissibili i motivi di ricorso, perchè risolventisi in censure finalizzate ad una diversa ricostruzione dei fatti contrastante con quella accertata dai giudici di merito.
8.2. In secondo luogo, ha comunque rilevato l’infondatezza del ricorso, in quanto, risultano emersi nel caso di specie elementi sufficienti a ritenere comprovata l’esistenza di un’autonoma organizzazione idonea ad integrare il presupposto impositivo; ricorda la difesa Erariale come il quid pluris rispetto alla produttività auto-organizzata del solo lavoro personale non deve necessariamente consistere nell’avvalimento di lavoro altrui, ma è costituito da una serie eterogenea di fattori, tra cui assume rilievo, oltre alla presenza di personale dipendente, anche l’impiego di beni strumentali eccedenti per quantità o valore il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività; nella fattispecie in esame, osserva la difesa Erariale, dalle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in questione era emerso che lo studio ricorrente sosteneva nell’esercizio della professione, rilevanti spese per beni strumentali, rilevate in misura pari ad oltre 60 min. di Lire per il 2000, ad oltre 97 min. di Lire per il 2001, e, per i successivi anni di imposta, oltre 3lmila Euro per il 2002, oltre 18.000Euro per il 2003 e quasi 15.000Euro per il 2004; quanto sopra avrebbe reso palese la sussistenza di quel quid pluris configurante l’autonoma organizzazione.
9. Il ricorso è infondato.
10. La soluzione cui è pervenuto il Collegio presuppone un sintetico inquadramento giuridico della vicenda.
Ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 presupposto oggettivo dell’IRAP è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Con specifico riferimento alle società ed agli enti, l’attività esercitata costituisce sempre, per espressa previsione normativa, presupposto d’imposta.
Relativamente alla locuzione “autonomamente organizzata”, la C.M. 4.6.98 n. 141/E (p. 1.2) aveva precisato che “l’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire è quello di escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio d’impresa, di arti o professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato” (es.: attività di collaborazione coordinata e continuativa che si configura soltanto laddove non vengano impiegati propri “mezzi organizzati”).
Con la sentenza 21.5.2001 n. 156, la Corte Costituzionale ha affermato che l’assoggettamento ad imposizione “del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale” è “pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva, identica essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta”. L’elemento di maggiore novità nella sentenza della Consulta risiede nella constatazione che, “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa d’impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorchè svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o di lavoro altrui”.
Pertanto: a) in assenza di autonoma organizzazione, le attività di lavoro autonomo non rientrano nell’ambito applicativo dell’IRAP; b) l’accertamento degli elementi di organizzazione, in assenza di specifiche disposizioni normative, è una questione di fatto (in linea di principio non censurabile dinanzi alla Corte di Cassazione).
11. A seguito dell’intervento della Corte costituzionale, la nozione di attività autonomamente organizzata è stata esaminata da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Sulla questione era possibile individuare due filoni interpretativi: a) l’uno (maggioritario) che privilegiava comunque l’elemento organizzativo; b) l’altro che prescindeva dalla struttura utilizzata per l’esercizio dell’attività.
11.1. Nelle sentenze 31.5.2016 n. 113271, 3.11.2010 n. 22386, 28.10.2009 n. 22781 e 11.6.2007 n. 13570 e nelle ordinanze 27.2.2014 n. 4663, 26.7.2011 n. 16337, 30.5.2011 n. 11933, 7.6.2010 n. 13716 e 5.2.2008 n. 2715, è stato rilevato che lo studio associato è soggetto ad IRAP quando l’esercizio in comune dell’attività professionale, pur non configurando un centro di interessi dotato di autonomia strutturale e funzionale (stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell’esercizio delle professioni), dia luogo ad un insieme di mezzi e strutture (immobili, mobili, macchinari, servizi, collaboratori) tale che il “reddito” da sottoporre ad IRAP sia stato almeno potenziato e derivato dalla struttura, e non provenga dal solo lavoro professionale dei singoli. In altre parole, l’esercizio in forma associata di una professione (liberale) è circostanza di per sè idonea a far presumere: a) l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorchè di non particolare onere economico; b) l’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e delle reciproche competenze ovvero della sostituibilità nell’adempimento dell’attività. Per quanto sopra, il reddito prodotto non può ritenersi frutto soltanto della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne deriva l’assoggettamento ad IRAP dello studio medesimo, salvo che si sia in grado di dimostrare che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati.
11.2. Una diversa impostazione è stata seguita dalle ordinanze 29.10.2010 n. 22212 e 28.11.2014 n. 25313, nelle quali si sostiene che le associazioni professionali e gli studi associati sono sempre soggetti ad IRAP, indipendentemente dalla struttura organizzativa della quale si avvalgono per l’esercizio dell’attività.
11.3. Con le sentenze a Sezioni Unite 14.4.2016 n. 7371 e 13.4.2016n. 7291, la Corte di Cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, ha affermato che le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici esercenti attività di lavoro autonomo sono sempre soggetti ad IRAP, indipendentemente dalla struttura organizzativa della quale si avvalgono per l’esercizio dell’attività. Infatti, in base al secondo periodo del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2"l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”, dovendosi, quindi, prescindere dal requisito dell’autonoma organizzazione. Atteso che lo stesso D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, comma 1, lett. c) contempla, tra i soggetti passivi d’imposta, le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate (in buona sostanza, le associazioni professionali e gli studi associati), ne deriva il relativo assoggettamento ad IRAP.
Nella motivazione della sentenza 7371/2016, dunque, la Corte di Cassazione sostiene che il minoritario filone giurisprudenziale non pare attribuire adeguato rilievo alla circostanza che la “”prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa”. Dalle parole testuali di cui alla sentenza, si evince che l’eventuale esclusione da IRAP delle società semplici (esercenti attività di lavoro autonomo), delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, va provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito.
12. Alla luce delle richiamate decisioni delle Sezioni Unite (e della conforme giurisprudenza successiva: cfr., ad es. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12763 del 19/05/2017, Rv. 644260 – 01, relativa all’applicazione del principio dettato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7371/2016 ad uno studio legale associato, come nel caso in esame), conclusivamente, le doglianze del ricorrente studio legale associato Magnani sono del tutto prive di pregio, in quanto articolate sostanzialmente sull’orientamento della giurisprudenza, minoritaria, come visto, disatteso dalle Sezioni Unite di questa Corte, derivandone pertanto l’infondatezza di entrambi i motivi di ricorso proposti.
13. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dev’essere respinto, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.
14. Essendo intervenuta la decisione delle Sezioni Unite in data successiva alla presentazione del ricorso, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018