Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27844 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11865/2011 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ADELAIDE RISTORI 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TIGANI SAVA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE GENERALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 61/2010 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA, depositata il 11/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 61/1/10, emessa in data 25.02.2010, depositata in data 11.03.2010, la Commissione tributaria regionale delle Marche accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della contribuente M.P., riformando la sentenza emessa dalla CTP di Ascoli Piceno n. 26/03/2007 e compensando le spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa del silenzio-rifiuto relativamente all’istanza di rimborso IRPEF ed addizionali, in relazione agli anni di imposta dal 1998 al 2001.

2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso che l’istanza di rimborso trae origine dalla pubblicazione del testamento del coniuge defunto sulla cui base la ricorrente era venuta a conoscenza della diversa attribuzione delle unità immobiliari con conseguente ricadute sulle quote di reddito provenienti dai canoni di locazione precedentemente da essa dichiarate per successione legittima; l’Ufficio riconosceva il diritto al rimborso limitatamente agli anni 1998 e 1999, mentre lo aveva escluso per gli anni 2000 e 2001, in quanto, per l’effetto del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, commi 8 bis e 19, a partire dal 1 gennaio 2002 la contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione integrativa rettificativa secondo le modalità previste dalla norma; avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione, la contribuente proponeva ricorso davanti alla CTP.

3. La CTP adita accoglieva il ricorso, in particolare disponendo il rimborso delle maggiori imposte anche per le annualità 2000 e 2001.

4. A seguito dell’appello interposto dall’Agenzia delle Entrate, la CTR con la sentenza qui ricorsa riformava la decisione dei giudici di prime cure, osservando: 1) che il diritto di richiedere il rimborso delle maggiori imposte versate e quello di presentare l’eventuale dichiarazione integrativa riguardano fattispecie diverse: 2) che anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 435 del 2001, che ha introdotto la c.d. dichiarazione integrativa nei confronti del contribuente (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis), deve considerarsi legittima e tempestiva l’istanza di rimborso presentata dal contribuente nei termini e con le modalità previste dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38; 3) che la contribuente poteva, come del resto dalla stessa fatto, legittimamente recuperare un’eventuale imposta versata in eccesso, attraverso un’istanza di rimborso presentata D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, anche successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 435 del 2001; 4) che, tuttavia, il diritto al rimborso non poteva essere riconosciuto nel caso di specie, in quanto le dichiarazioni dei redditi fatte dalla contribuente negli anni antecedenti al rinvenimento risultavano essere state presentate all’Ufficio sulla base di una situazione incontrovertibile che risultava per tabulas, ossia dalla dichiarazione di successione presentata dagli eredi e in base alla quale venivano attribuite quote legittime della proprietà ereditata; dalla attribuzione pro quota della proprietà ne era derivato il conseguimento, da parte della contribuente, di un reddito prodotto da canoni di locazione delle unità immobiliari che andava certamente dichiarato nei rispettivi periodo di imposta; 5) che essendo incontestato il fatto che la contribuente avesse percepito i frutti della proprietà degli immobili ed il testamento, a meno di un atto che ripristinasse la situazione ex tunc anche con riferimento ai redditi percepiti mediante la restituzione dei canoni di locazione già percepiti, produce effetti dal momento del rinvenimento e da cui, quindi, se ne ha formale conoscenza.

5. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, non essendosi costituito nei termini di legge mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

6. All’udienza in camera di consiglio del 12.09.2018, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non essendo peraltro state rassegnate conclusioni scritte da parte della P.G. presso questa S.C..

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso la contribuente, impugnando la decisione con cui deduce quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

7.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1.

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello almeno con riguardo alla riforma integrale della sentenza richiesta dall’Ufficio, a fronte della mancata opposizione al rimborso del medesimo Ufficio per gli anni 1998 e 1999, come emerge dalla lettura della pag. 2 delle controdeduzioni in primo grado dell’Ufficio.

7.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2.

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole la ricorrente per non aver la CTR dichiarato inammissibile l’eccezione dell’Ufficio proposta a pag. 5 dell’atto di appello dell’Ufficio secondo cui la circostanza sopravvenuta, costituita dal rinvenimento di un testamento olografo che escludeva la titolarità ex tunc dei diritti di proprietà sui beni immobili nel frattempo goduti, non era idonea a dimostrare l’indebito pagamento delle imposte per il periodo di possesso, legittimo ed in buona fede, dei redditi, a mano che non sia fornita la prova dell’avventa restituzione dei frutti del godimento agli eredi testamentari con conseguente venir meno della titolarità dei redditi stessi, prova che nell’appello si evidenziava non essere stata fornita; sostiene la ricorrente che tale eccezione si poneva come nuova e dunque inammissibile ai sensi dell’art. 57 citato, comma 2, non avendo quindi sollevato alcuna eccezione in tal senso nella precedente fase; inoltre, si aggiunge, detta eccezione non poteva dirsi rilevabile d’ufficio, in quanto il giudice non avrebbe alcuna possibilità di accedervi autonomamente, la solo allorquando la parte gli offra contezza del dato fattuale sotteso, ossia la pretesa mancata restituzione dei frutti agli eredi testamentari; quanto sopra avrebbe quindi inficiato la sentenza d’appello che non avrebbe dichiarato inammissibile l’eccezione tardiva sollevata dall’ufficio circa la mancata prova dell’avvenuta restituzione dei frutti del godimento agli eredi testamentari.

7.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c..

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole la ricorrente per aver la CTR taciuto su quanto controdedotto a pag. 2 delle controdeduzioni appello della contribuente, laddove aveva evidenziato come l’Ufficio non si era opposto al rimborso per le annualità 1998 e 1999, limitandosi a contestare un mero vizio di forma per le annualità 2000 e 2001; detta eccezione, se accolta, avrebbe potuto indirizzare altrove la decisione, dimostrando che il silenzio rifiuto dell’Ufficio era stato tenuto in modo strumentale ed apodittico senza alcuna motivazione quanto sopra avrebbe violato la norma processuale evocata, per aver la CTR omesso la pronuncia su un’eccezione introdotta dalla contribuente, così determinando un error in procedendo.

7.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., e art. 116 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26.

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole la ricorrente perchè la sentenza della CTR integrerebbe una palese violazione delle norme in tema di onere della prova, che non sarebbe stata richiesta stante la capacità ex tunc del testamento olografo di far riconsiderare come insussistente il presupposto impositivo, laddove invece la CTR avrebbe richiesto la dimostrazione alla ricorrente di aver restituito agli eredi testamentari i frutti percepiti; inoltre la decisione della CTR avrebbe violato anche la norma sostanziale evocata dell’art. 26 citato, in ragione del quale l’IRPEF, quale imposta personale, è volta a colpire la capacità reddituale del singolo contribuente, non potendosi invece ritenere un’imposta reale indirizzata ad incidere la ricchezza del cespite indipendentemente da chi lo possiede a titolo di proprietà ovvero di altro diritto reale; il rapporto civilistico tra la ricorrente e gli altri eredi testamentari, dunque, avrebbe legittimato questi ultimi a richiedere indietro i frutti civili a causa dell’indebito arricchimento della prima, non legittimando erto l’Ufficio a non restituire quanto non aveva diritto a trattenere a titolo di IRPEF, dal momento che l’Ufficio era venuto a conoscenza dell’errore in cui la ricorrente era incorsa, ossia la mancata conoscenza di un testamento olografo, sicchè ben avrebbe potuto attivarsi onde recuperare dal proprietario l’imposta dovuta.

8. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, non si è costituito con controricorso, ma ha solo depositato atto di costituzione in vista dell’eventuale udienza di discussione.

9. Il ricorso è fondato limitatamente al rimborso IRPEF richiesto per le annualità 1998 e 1999.

10. Ed invero, risulta per tabulas che l’Ufficio aveva riconosciuto il diritto al rimborso limitatamente agli anni 1998 e 1999, mentre lo aveva escluso per gli anni 200 e 2001, in quanto, per l’effetto del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, commi 8 bis e 19, a partire dal 1 gennaio 2002 la contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione integrativa rettificativa secondo le modalità previste dalla norma.

Fondate, pertanto, risultano le censure della ricorrente di cui al primo ed al terzo motivo di ricorso, che attingono l’impugnata sentenza con riferimento alla mancata declaratoria di inammissibilità del ricorso a fronte dell’eccezione sollevata dalla contribuente in grado di appello in sede di controdeduzioni. E’ del resto pacifico che questa Corte può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello che il giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere, al gravame inammissibilmente spiegato, alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (da ultimo, v. Sez. 1, Sentenza n. 16863 del 07/07/2017, Rv. 644842 – 01).

L’impugnata sentenza dev’essere pertanto annullata senza rinvio con riferimento all’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello dell’Ufficio con riferimento ai periodi di imposta 1998 e 1999.

11. Inammissibile, invece, è il secondo motivo di ricorso, con cui viene dedotto error in iudicando in iure con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2.

Ed invero, dalla sentenza ricorsa non risulta che la parte ricorrente, a fronte di quanto argomentato dall’Ufficio in sede di atto di appello (secondo cui la pretesa delle contribuente era da ritenersi infondata poichè il rinvenimento del testamento non determinava l’indebito pagamento delle imposte pregresse, atteso che, per il periodo di possesso delle unità immobiliari, la parte aveva comunque conseguito il reddito derivante dai frutti del godimento dei beni, e non vi era prova che questi ultimi fossero stati restituiti), avesse eccepito la inammissibilità di tale eccezione, essendosi invero limitata in sede di costituzione in giudizio e di controdeduzioni lamentata per l’acquiescenza prestata dall’Ufficio per i periodi di imposta 1998 e 1999, insistendo per la conferma della decisione dei primi giudici.

Il motivo di ricorso, dunque, con cui si denuncia una violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, deve essere dichiarato inammissibile. Ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v., da ultimo: Sez. 3, Ordinanza n. 907 del 17/01/2018, Rv. 647127 – 02). E, nel caso di specie, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, prevede espressamente che il giudice d’appello debba dichiarare inammissibili d’ufficio le domande nuove (comma 1), senza, tuttavia, estendere detta rilevabilità d’ufficio anche alle nuove eccezioni (di cui si occupa il comma 2).

12. Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, non ha pregio l’eccezione di asserita violazione dell’art. 2697 c.c., sollevata dalla parte contribuente.

Pacifico, invero, è in giurisprudenza il principio secondo cui, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione (v., tra le tante: Sez. 5, Sentenza n. 29613 del 29/12/2011, Rv. 621057 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 15026 del 02/07/2014, Rv. 631523 – 01).

Analogamente, non ha pregio l’asserita violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 26, in quanto il contribuente, con la censura di error in iudicando, in realtà non coglie la ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata, in cui i giudici di appello non hanno voluto attribuire, in violazione del citato art. 26, all’IRPEF la natura di imposta reale indirizzata ad incidere la ricchezza del cespite indipendente da chi lo possiede a titolo di proprietà o di altro diritto reale, ma hanno semplicemente voluto affermare, sulla base della consecutio logico-giuridica che emerge dalla piana lettura della sentenza impugnata, che dall’attribuzione pro-quota della proprietà dei cespiti ne è derivato il conseguimento, da parte della contribuente, di un reddito prodotto da canoni di locazione delle unità immobiliare che doveva essere dichiarato nei rispettivi periodi di imposta (dunque, riconoscendosi la natura dell’IRPEF quale imposta personale volta a colpire la capacità reddituale del singolo contribuente); da ciò i giudici di appello hanno fatto conseguire l’affermazione, erroneamente censurata sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè, come sarebbe stato doveroso, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo cui è incontestato il fatto che la contribuente avesse percepito i frutti della proprietà degli immobili ed il testamento, a meno di un atto che ripristinasse la situazione ex tunc anche con riferimento ai redditi percepiti mediante la restituzione dei canoni di locazione già percepiti, produce effetti dal momento del rinvenimento e da cui, quindi, se ne ha formale conoscenza.

Costituisce causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., come pure l’incongruenza fra le norme di legge di cui si prospetta la violazione e le argomentazioni di supporto (Nella specie, sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, proposto ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente si doleva, in realtà, di un vizio di motivazione della sentenza: Sez. 3, Sentenza n. 21099 del 16/09/2013, Rv. 628624 – 01).

13. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dev’essere accolto quanto al primo ed al terzo motivo con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, dovendo essere dichiarato inammissibile quanto al secondo motivo ed al quarto motivo, così confermandosi l’impugnata sentenza quanto alla legittimità del silenzio-rifiuto in relazione alle annualità 2000 e 2001.

14. L’esito parzialmente vittorioso del ricorso, giustifica la ricorrenza di giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente con riferimento alle annualità 1998 e 1999. Conferma nel resto la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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