LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M. T. – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. Balsamo Antonio – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21590-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.S., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato NUNZIO SANTI GIUSEPPE DI PAOLA (avviso postale ex art.
135);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 166/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 13/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
p. 1. L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 166/18/11 del 13 giugno 2011, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’atto di contestazione n. ***** notificato il 13 dicembre 2002 a S.S. (in qualità di legale rappresentante della S. spa), in recupero di Iva su operazioni inesistenti indebitamente detratta dalla società nell’anno 1997; così come risultante dal PVC elevato nei confronti della stessa, il 14 luglio 2000, dalla Guardia di Finanza di Catania.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: contrariamente a quanto affermato dalla commissione tributaria provinciale di Catania, il ricorso proposto dallo S. (il 15 giugno 2004) dovesse ritenersi tempestivo, attesa la presentazione da parte della società di istanza di definizione di lite potenziale ex L. n. 289 del 2002, art. 15, con conseguente proroga dei termini di impugnazione; – l’istanza di condono in questione dovesse ritenersi ammissibile ex art. 15 cit.: sia perchè, al momento della sua presentazione, la S. spa era amministrata da un soggetto ( S.A., subentrato a S.S. l’8 aprile 2003) indenne da azione penale per taluno dei reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, sia perchè S.S. (amministratore in carica nell’annualità di imposta presa a riferimento) era comunque stato assolto dalle relative imputazioni; – nel merito, l’atto di contestazione opposto doveva essere annullato, perchè relativo a sanzioni amministrative tributarie (non definitive) delle quali poteva essere chiamata a rispondere, per la sopravvenienza del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 convertito in L. n. 326 del 2003, soltanto la società-persona giuridica.
Resiste con controricorso S.S..
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, comma n. 5 – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dalla tempestività del ricorso introduttivo dello S.. In particolare, la commissione tributaria regionale non avrebbe considerato l’inapplicabilità nella specie della sospensione dei termini di cui alla L. n. 289 del 2002, dal momento che: a. l’istanza di condono era stata anch’essa tardiva, perchè presentata (su atto di contestazione notificato il 13 dicembre 2002) non entro la scadenza dell’11 febbraio 2003, ma soltanto il 26 maggio 2003; b. tale istanza doveva ritenersi comunque inammissibile ex L. n. 289 del 2002, art. 15 cit., stante l’esercizio di azione penale nei confronti del legale rappresentante Sebastiano S. per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000.
p. 2.2 Il motivo non può trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile là dove deduce come “omessa motivazione” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quella che, sulla base dello stesso svolgimento argomentativo della censura, doveva più propriamente configurarsi come violazione o falsa applicazione di legge. Del resto, la doglianza appare mal posta pur mantenendola nell’ambito del vizio di cui al n.5) cit., risultando che il giudice regionale – lungi dall’ometterè ogni motivazione sul punto ha invece esplicitato chiaramente il proprio convincimento in ordine alle ragioni che deponevano, nella specie, per la tempestività del ricorso in forza dell’effetto sospensivo ottenuto dalla società a seguito della presentazione di una istanza di condono ritenuta ammissibile ex art. 15 cit.. E ciò con argomentazione errata in diritto, come tra breve si dirà, ma non per questo integrante il vizio motivazionale qui denunciato.
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15, commi 1 e 5. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto ammissibile l’istanza di condono, nonostante che S.S. fosse stato imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (utilizzo di fatture contabilizzate per operazioni inesistenti) allorquando era ancora AU e legale rappresentante della società richiedente il condono; a nulla rilevando nè che egli fosse stato successivamente assolto, nè che la società si fosse dotata, successivamente alla contestazione del reato, di un diverso amministratore ( S.A.) non raggiunto da alcuna imputazione.
p. 3.2 Il motivo è fondato.
La definizione di lite potenziale ex L. n. 289 del 2002, art. 15 è preclusa ai “soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”.
Questa disposizione è stata più volte esaminata dalla corte di legittimità, che ne ha fissato i parametri applicativi.
In particolare, per quanto qui rileva, si è stabilito che: a. in virtù del rapporto di immedesimazione organica, la preclusione “opera con riguardo alla persona giuridica qualora nei confronti del suo legale rappresentante sia già stata esercitata l’azione penale per gli illeciti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui questi abbia avuto formale conoscenza entro la data del perfezionamento della definizione, non essendo necessaria la cosiddetta doppia conoscenza formale (del legale rappresentante e della persona giuridica)” (Cass. 26810/14; 10499/14); b. occorre avere riguardo alla veste di legale rappresentante della società nel momento di proposizione dell’azione penale, a nulla rilevando (anche al fine di evitare facili aggiramenti della disposizione) “l’avvenuto mutamento di tale organo all’epoca di presentazione dell’istanza di condono” (Cass. 10499/14 cit.); c. nemmeno conta la circostanza che il legale rappresentante così individuato, già raggiunto da azione penale al momento della presentazione dell’istanza di condono da parte della società, venga successivamente assolto dall’imputazione, atteso che quest’ultimo evento non incide su un rapporto (quello di condono) già esauritosi con lo spirare del termine perentorio di perfezionamento e versamento del dovuto (Cass.11452/11; 10499/14 cit; 454/15), e – trattandosi di istituto deflattivo avente ad oggetto la chiusura della lite a fronte della certa ed immediata realizzazione del relativo gettito da parte dell’erario – per sua natura incompatibile con i tempi e l’imprevedibilità di eventi processuali diversi e successivi; d. quest’ultima affermazione non ingenera fondati dubbi di legittimità ex art. 3 Cost. “considerato che la scelta discrezionale del legislatore, di configurare quale causa ostativa del condono, in via generale e senza eccezioni, un determinato evento (esercizio dell’azione penale) cristallizzato ad una determinata data, deve ritenersi conforme a canoni di eguaglianza e di razionalità, considerato che l’opposta scelta di attribuire rilevanza ai successivi esiti del processo, avrebbe di fatto impedito di assicurare la definizione del procedimento di condono entro tempi certi e ragionevoli” (Cass. 10499/14 cit.).
Non vi sono ragioni per discostarsi da questi principi, non senza osservare come la più volte menzionata sentenza C.Cass. 10499/14 – alla quale interamente ci si richiama – sia stata resa, in termini con la fattispecie qui dedotta, nei confronti della stessa S. spa; sebbene con riguardo a diverso accertamento d’imposta.
Ora, adattando tali regole operative al caso di specie (nel quale, diversamente da quanto affermato dalla parte controricorrente, non sussiste alcuna pronuncia definitiva di annullamento del diniego di condono, essendo la sentenza CTR Sicilia n. 300/18/10 ancora sub iudice in quanto gravata per cassazione dall’agenzia delle entrate) ha errato la commissione tributaria regionale nel ritenere ammissibile la definizione della vertenza ex art.15 cit., posto che: – come pacifico in causa, l’azione penale (udienza preliminare fissata il 25.5.01) era stata proposta allorquando la società aveva in S.S. il proprio legale rappresentante ed AU, risultando questi cessato dalla carica, con il subentro di S.A., soltanto l’8.4.03; – in forza di questo rapporto di rappresentanza ed immedesimazione organica, l’avvenuta proposizione di tale azione penale ostava all’accesso al condono da parte della persona giuridica; – la preclusione non poteva venire meno per effetto nè dell’avvenuta presentazione dell’istanza di condono da parte di un diverso legale rappresentante non raggiunto da alcuna imputazione, nè della assoluzione di S.S. dal reato contestatogli, in quanto intervenuta (14.6.05) ben oltre il termine (ancorchè prorogato) di definizione per condono.
Da tutto ciò discende che lo S. non poteva fruire, per la presentazione del ricorso avverso l’atto di contestazione in esame, della sospensione dei termini di impugnazione previsti dalla L. n. 289 del 2002 sul condono, e successivi provvedimenti di proroga (con ultima scadenza al 19.4.04); e ciò pur tenendo conto, secondo quanto dedotto nel controricorso, dell’ulteriore sospensione dei termini di impugnazione (fino al 31.3.03) disposta dal D.L. n. 245 del 2002 conv. in L. n. 286 del 2002 a favore dei soggetti residenti in Comuni (nella specie, Catania) colpiti dal sisma del 2002.
L’atto impositivo in questione – notificato il 13.12.02 ed impugnato soltanto il 15.6.04 – doveva dunque ritenersi ormai definitivo ed inoppugnabile ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.
p. 4. Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con decisione nel merito – ex art. 384 c.p.c. – di inammissibilità del ricorso introduttivo dello S..
Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo di legittimità, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Quinta Civile, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018