LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25056/2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.A.;
– intimato –
Nonchè da:
G.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TARO 35, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO RONDELLO;
– controricorrente incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 132/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 03/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
RILEVATO
che:
p. 1.1 L’agenzia delle entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 132/44/10 del 3 novembre 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in accoglimento dell’appello del contribuente ed in rigetto dell’appello incidentale dell’amministrazione finanziaria, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento notificato ad G.A. per Irpef 2003. Avviso di accertamento emesso a seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Vicenza a carico di tal F.I.; soggetto esercente attività abusiva di raccolta del risparmio per conto di una società panamense, e tramite il quale era emerso che il G. avesse, tra il 2002 ed il 2004, effettuato investimenti/disinvestimenti finanziari attestanti il possesso di un maggior reddito (stimato in euro 90.066,55) rispetto al dichiarato (euro 4.876,00).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che giustamente il G. avesse eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento sintetico, sotto i profili: – della mancata comunicazione al contribuente del processo verbale di constatazione che la Guardia di Finanza aveva emesso nei confronti del F., neppure prodotto in giudizio; – della mancata prova dei “fatti indice” di maggiore capacita contributiva di natura finanziaria presi a riferimento dall’amministrazione in esito al questionario inviato al contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32; – della irrilevanza, ai fini di causa, tanto della proprietà di un bene immobile (risultante fin dal 1990), quanto del possesso di due autoveicoli.
Resiste con controricorso il G., il quale formula anche ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi.
p. 1.2 Con memoria 3 agosto 2018 i difensori del G. ne hanno comunicato il decesso in data *****, come da certificato di morte allegato. In forza di tale evento, è stata formulata istanza di interruzione del processo “onde consentire agli eredi la possibilità di costituirsi, riassumendo il giudizio”.
L’istanza non può trovare accoglimento, dovendo farsi qui applicazione del consolidato principio (tra le molte: Cass. 7477/17; 1757/16; 24635/15) per cui nel giudizio di cassazione – in considerazione della particolare struttura ufficiosa e della disciplina del procedimento di legittimità – non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo; con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso principale l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale inopinatamente basato la decisione sulla mancata produzione in giudizio del ***** elevato dalla Guardia di Finanza a carico del G., senza avvedersi che quest’ultimo documento (pertanto non considerato) era stato invece regolarmente prodotto in giudizio dall’ufficio, in allegato alla comparsa di costituzione in primo grado.
p. 2.2 Il motivo è inammissibile.
Nel dedurre che la commissione tributaria regionale non si sarebbe avveduta della presenza agli atti del giudizio di un determinato documento probatorio (il *****), la ricorrente descrive un tipico errore sensoriale di percezione (vera e propria “svista”) nel quale il giudice di merito sarebbe incorso nel compulsare le produzioni di causa e, in particolare, uno dei fascicoli di parte.
Così posta, la censura non mira, in altri termini, a far emergere un errore di giudizio o di valutazione, bensì un errore di fatto; ancorchè relativo non ad un elemento della fattispecie materiale ma ad un evento del processo (positiva affermazione di inesistenza agli atti di un documento invece esistente, perchè ritualmente prodotto).
Si verte dunque, nella stessa prospettazione della ricorrente, di un vero e proprio errore revocatorio di fatto; appunto configurabile anche per quanto concerne i fatti di ordine processuale (tra le altre: Cass. 362/10; 12958/11; 17163/15).
Ne consegue che la doglianza andava se mai formulata, in presenza degli altri presupposti di legge, non come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, bensì in sede di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4).
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2000, art. 7. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto che l’avviso di accertamento fosse carente di motivazione per la mancata allegazione del suddetto *****; nonostante che quest’ultimo fosse riportato in esso per relationem, anche mediante specifica identificazione delle operazioni di investimento/disinvestimento finanziario che il G. aveva posto in essere presso il F..
p. 3.2 Il motivo è fondato.
L’affermazione del giudice regionale è effettivamente erronea là dove evidenzia la carente motivazione dell’avviso di accertamento perchè non contenente, in allegato, il processo verbale di constatazione.
Va premesso, in base alla previsione generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, che l’atto dell’amministrazione finanziaria deve essere motivato alla stregua dei provvedimenti amministrativi, L. n. 241 del 1990, ex art. 3, indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione”. La norma prescrive inoltre che se nella motivazione dell’atto impositivo si fa riferimento ad un altro atto, “questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Il requisito della allegazione dell’atto richiamato deve però reputarsi soddisfatto quando quest’ultimo, ancorchè non materialmente allegato, sia pur tuttavia riportato nello stesso avviso di accertamento; se non nella sua integralità, quantomeno nelle parti da reputarsi essenziali in rapporto alla esatta individuazione della pretesa tributaria specificamente relativa al destinatario. In tale evenienza, la motivazione dell’atto impositivo opera per relationem, risultando comunque tale da soddisfare l’obiettivo sostanziale di porre il contribuente in condizione di percepire – con immediatezza e chiarezza – quei “presupposti di fatto” e quelle “ragioni giuridiche” che devono sempre sottostare all’imposizione.
Tra le molte pronunce di legittimità in tal senso si evidenzia, da ultimo, Cass. ord. 4396/18, la quale ha ribadito la legittimità della motivazione per relationem dell’avviso di accertamento, “purchè, nell’ipotesi di mancata allegazione, nell’atto ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato”.
Ora, da quanto riportato dall’agenzia delle entrate nel ricorso per cassazione (valevole anche al fine di soddisfare i requisiti di specificità ed “autosufficienza” del medesimo), risulta come – nel caso concreto l’avviso di accertamento opposto contenesse appunto la riproduzione testuale degli stralci del processo verbale di constatazione relativi alla posizione del G.. E ciò mediante specifica descrizione (per data, ammontare, tasso di interesse, destinazione del denaro) sia delle operazioni di investimento e disinvestimento da questi compiute presso l’intermediario nelle annualità di riferimento; sia delle modalità attraverso le quali il F. gestiva, operando tramite una società di diritto panamense, i risparmi affidatigli; sia, ancora, dei criteri che l’ufficio, attraverso l’esame del portafoglio-clienti e delle relative utenze telefoniche, aveva seguito nell’attribuzione delle operazioni così individuate proprio al G., e non ad altri.
In tale situazione, pertanto, non poteva il giudice regionale affermare che la pretesa impositiva si basasse illegittimamente su un processo verbale di constatazione “ignoto”.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (formulazione vigente ratione temporis) e art. 2697 c.c.. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, a fronte della indicazione di plurimi e certi “fatti indice” (proprietà immobiliare; possesso di due autovetture; coniuge a carico; investimenti esteri pluriennali tramite il F.) significativi di un reddito eccedente di oltre un quinto quello dichiarato (di appena euro 4.876,00, per l’anno 2003), era onere del contribuente superare la presunzione (legale) così emergente, mediante la dimostrazione documentale del fatto che “il reddito determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti, soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero da smobilizzi patrimoniali”.
p. 4.2 Il motivo è fondato.
Si è recentemente ribadito (Cass. ord. 13602/18) che: “In tema di accertamento sintetico, ai sensi del D.P.R n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), una volta che l’amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti, ovvero da finanziamenti di terzi”.
Nel caso di specie, l’accertamento sintetico era stato dall’amministrazione finanziaria basato, non su uno soltanto, ma su plurimi fatti-indice; in parte risultanti dagli stessi accertamenti della Guardia di Finanza (cospicui investimenti “occulti”, nell’anno di riferimento, presso il F.), ed in parte emergenti dalla risposta dello stesso G. al questionario inviatogli D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, n. 4) (proprietà immobiliare; possesso di due autovetture; presenza di un coniuge privo di redditi propri).
La violazione normativa nella quale è incorsa la commissione tributaria regionale è proprio costituita dalla negazione di qualsivoglia rilevanza all’emersione di tali fatti-indice. Là dove questi ultimi dovevano invece ritenersi rilevanti, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, sia al fine di integrare la presunzione legale di maggior reddito; sia al fine di invertire l’onere della prova, così da porre a carico del contribuente l’onere di dimostrare che l’acquisizione e la disponibilità di tali beni erano state rese possibili in virtù di redditi ulteriori non tassabili.
Per altro verso, la commissione tributaria regionale ha fondato il proprio convincimento sul fatto che tanto l’immobile quanto le due autovetture fossero state acquisite parecchi anni prima dell’accertamento in parola. Questa circostanza, però, non poteva reputarsi di per sè idonea a superare la suddetta presunzione legale legittimante l’accertamento sintetico, trattandosi di verificare come il contribuente potesse, sia possedere e mantenere tali cespiti, sia porre in essere le rilevate operazioni di investimento finanziario, facendo fronte a tutto ciò con un reddito dichiarato di poco superiore ai Euro 400 mensili.
Si è osservato (Cass. ord. 7389/18) che “In tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38,comma 6, la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto esenti o soggetti a ritenute alla fonte, ma anche la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso”.
Sicchè è del tutto mancata qualsivoglia valutazione del fatto che – a fronte di un accertamento di natura indiziaria legittimamente operato dall’amministrazione finanziaria – il contribuente avesse, o meno, dimostrato “attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esisteva o esisteva in misura inferiore” (tra le altre, Cass. 21142/16).
p. 5.1 Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4) e art. 2697 c.c.. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che la mancata esposizione nel questionario delle operazioni finanziarie effettuate tramite il F. non inficiava l’avviso di accertamento; tenuto anche conto del fatto che l’invio del questionario in oggetto costituiva incombente discrezionale, e non obbligatorio, nella procedura di verifica del maggior reddito.
p. 5.2 Anche questo motivo è fondato.
In tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario in oggetto da parte dell’Amministrazione finanziaria – per acquisire dati, notizie e chiarimenti – assolve alla funzione di assicurare, in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra fisco e contribuente; così da favorire la definizione anticipata delle reciproche posizioni, e possibilmente evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario. L’incombente, purtuttavia, rientra per legge nella discrezionalità dell’ufficio; sul quale, del resto, non grava un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo in materia di tributi non armonizzati (SSUU 24823/15).
In altri termini, in materia di accertamento sintetico delle imposte sui redditi, il presupposto della rettifica non è l’invio del questionario di cui all’art. 32, n. 4; tanto che il mancato invio del medesimo non inficia la perfezione e la validità del procedimento accertativo, il quale resta subordinato alla sola sussistenza dei presupposti sostanziali di cui al D.P.R. cit., art. 38 (Cass. 14367/07).
Fermo dunque restando che l’indicazione degli investimenti/disinvestimenti operati dal G. doveva ritenersi coessenziale – nelle modalità di cui si è detto – all’avviso di accertamento, non altrettanto era a dirsi, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, per la mera attività di acquisizione informativa alla quale è funzionalmente preposto l’invio del “questionario”.
p. 6.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato il G. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 156 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale escluso la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento, nonostante che quest’ultimo recasse relata di notifica sul frontespizio e non in calce; con conseguente impossibilità di verificarne la consegna nella sua integrità.
p. 6.2 Il motivo è infondato.
Va fatta qui applicazione del principio per cui (Cass. 23175/16 ord.) “la notifica dell’avviso di accertamento, la cui relata sia stata apposta sul frontespizio di quest’ultimo anzichè in calce ad esso, non può dichiararsi nulla qualora non siano oggetto di specifica contestazione la completezza e conformità dell’atto notificato contenente, in ogni foglio, il numero della pagina e l’indicazione del numero complessivo di esse, atteso che, in tale modo, viene garantita all’interessato l’integrità dell’atto notificato, con il conseguente prodursi degli effetti sananti del raggiungimento dello scopo”.
Dal che si evince come l’invalidità conseguente alla apposizione della relata sul frontespizio, e non in calce, all’atto notificato non abbia ragione di operare allorquando non sia in contestazione che la notificazione abbia comunque avuto riguardo a quest’ultimo nella sua completezza (tutte le pagine); contestazione di incompletezza che, nel caso di specie, non è stata mossa se non quale mera ipotesi astratta e congetturale.
In ogni caso, ricorre anche in proposito il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, in base al quale la sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c.p.c., è applicabile alla notificazione non solo degli atti del processo tributario, ma anche degli atti propriamente impositivi; la cui notificazione opera con richiamo alle norme del codice di rito (v. Cass. 384/16; conf. 23213/14 ed altre).
Secondo il medesimo indirizzo, poi, il raggiungimento dello scopo può essere desunto – con effetto sanante ex tunc – proprio dall’avvenuta tempestiva proposizione del ricorso, da parte del contribuente, avverso l’atto impositivo; quanto meno quando tale proposizione non intervenga successivamente alla decadenza del potere sostanziale di accertamento in capo all’amministrazione finanziaria (Cass. ord. n. 17198/17; n.17251/13 ed altre).
Nella concretezza del caso, dunque, nessuna apprezzabile conseguenza può ritenersi derivata dalla lamentata modalità di apposizione della relata (seppure irregolare): sia perchè non è in discussione che la notificazione abbia riguardato l’avviso di accertamento in tutti i suoi elementi costitutivi, sia perchè l’avvenuta tempestiva ed esauriente proposizione del ricorso da parte del G. sarebbe comunque di per sè valsa a sanare, per raggiungimento dello scopo, ogni eventuale vizio.
p. 7.1 Con il secondo motivo di ricorso incidentale il G. deduce violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 10. Per avere la commissione tributaria regionale escluso l’illegittimità dell’avviso di accertamento per effetto della invalidità del questionario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, n. 4), nonostante che quest’ultimo non contenesse la specifica indicazione delle operazioni di investimento finanziario, nè della segnalazione della Guardia di Finanza secondo cui tali operazioni dovevano ritenersi comprovatamente riferibili alla sua persona. Ciò anche in considerazione del fatto che il Ministero dell’Economia aveva ritenuto infondato altro *****, emesso direttamente a suo carico per l’asserita violazione, in occasione delle operazioni di investimento in oggetto (a lui estranee), della normativa antiriciclaggio.
p. 7.2 A riprova dell’infondatezza di questa censura, si rinvia a quanto poc’anzi osservato in ordine alla natura e finalità del “questionario” (p. 5.2). Non è dunque consentito al contribuente di legittimamente riferire a quest’ultimo atto, puramente informativo, asseriti vizi (mancata specificazione delle operazioni finanziarie) che, in tanto potrebbero eventualmente rilevare, in quanto direttamente incidenti sul requisito motivazionale minimo prescritto per l’atto impositivo vero e proprio (aspetto, anche questo, già esaminato: p. 3.2).
Vale d’altra parte osservare come la “segnalazione” internamente effettuata dalla Guardia di Finanza all’agenzia delle entrate concernesse un aspetto (la riferibilità delle operazioni finanziarie alla persona del G.) trasfuso anch’esso nell’avviso di accertamento; sicchè il problema si risolve, in realtà, in una delibazione probatoria di merito di tale riferibilità (demandata al giudice di rinvio), non già nella verifica della sussistenza di un requisito di validità dell’azione accertativa.
p. 8. Con il terzo motivo di ricorso incidentale il G. ripropone i motivi di opposizione all’avviso di accertamento già inizialmente proposti, e ritenuti assorbiti dalla commissione tributaria regionale: – illegittimità dell’imputazione delle operazioni finanziarie alla sua persona; – mancata comunicazione della segnalazione sulla sua persona inviata dalla Guardia di Finanza all’agenzia delle entrate; – carenza probatoria del maggior reddito; – violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost..
Non si tratta, a ben vedere, di “censure” alla sentenza impugnata; bensì di mera riproposizione, ad opera di parte vittoriosa in appello, di questioni ritenute assorbite.
Ne consegue che l’articolato motivo dovrà essere ritenuto inammissibile in questa sede, ferma restando la riproponibilità dei suoi contenuti avanti al giudice di merito, al quale la causa andrà rinviata (Cass. 9907/10; 3796/08 ed altre).
p. 9. Segue, in definitiva, l’accoglimento del ricorso principale (tranne che nel primo motivo) ed il rigetto del ricorso incidentale condizionato.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla commissione tributaria regionale Lombardia la quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie alla luce dei principi indicati; il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, accolti gli altri;
– rigetta il ricorso incidentale;
– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018