LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. Balsamo Antonio – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28893-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S. SPA, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato NUNZIO SANTI GIUSEPPE DI PAOLA (avviso postale ex art. 135);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 300/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 07/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
p. 1. L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 300/18/10 del 7 ottobre 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi due provvedimenti di diniego di definizione di lite potenziale, ex L. n. 289 del 2002, art. 15, da essa emessi in relazione ad altrettanti avvisi di accertamento, per Iva 1997 ed imposte dirette 1996, concernenti la S. spa.
La commissione tributaria regionale, in esito a riunione dei ricorsi separatamente proposti, ha ritenuto che: – non sussistesse la causa ostativa rappresentata (art. 15 cit.) dalla proposizione, a carico dell’amministratore, di azione penale per reato tributario ex D.Lgs. n. 74 del 2000, atteso che l’istanza di definizione era stata presentata da un legale rappresentante ( S.A.), diverso da quello effettivamente raggiunto da azione penale ( S.S.); – quest’ultimo era comunque stato successivamente assolto da ogni imputazione; – l’agenzia delle entrate non aveva provato che la società fosse venuta a formale conoscenza, prima della presentazione dell’istanza di definizione, della proposizione dell’azione penale; – il comprovato versamento della prima rata di condono equivaleva, in caso di diniego illegittimo, ad accettazione dell’istanza di condono e conseguente definizione della lite.
Resiste con controricorso la S. spa.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15 e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. e). Per avere la commissione tributaria regionale escluso la causa ostativa a condono derivante dalla proposizione di azione penale, nonostante che tale proposizione riguardasse il legale rappresentante della società nell’anno di imposta oggetto di definizione (non già al momento della presentazione dell’istanza); e che la formale conoscenza dell’azione penale in capo alla società contribuente derivasse dal rapporto di immedesimazione organica.
Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale, da un lato, erroneamente affermato che il solo versamento della prima rata comportasse “accettazione” dell’istanza di definizione; e, dall’altro, omesso di considerare che il versamento della prima rata da essa preso in esame concerneva, comunque, soltanto uno dei due avvisi di accertamento oggetto di definizione (quello per Iva 1997, non anche quello per IIDD 1996).
Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, ult. periodo e L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 14, lett. b). Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato il venir meno – per effetto della successiva assoluzione del legale rappresentante della società contribuente – della causa ostativa a condono rappresentata dalla pendenza di azione penale.
p. 2.2 I tre motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria perchè tutti concernenti i presupposti di ammissibilità e gli effetti del condono ex L. n. 289 del 2002 – sono fondati nei termini che seguono.
La definizione di lite potenziale ex L. n. 289 del 2002, art. 15 cit. è preclusa ai “soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”.
Questa disposizione è stata più volte esaminata dalla corte di legittimità, che ne ha fissato i parametri applicativi.
In particolare, per quanto qui rileva, si è stabilito che: a. in virtù del rapporto di immedesimazione organica, la preclusione “opera con riguardo alla persona giuridica qualora nei confronti del suo legale rappresentante sia già stata esercitata l’azione penale per gli illeciti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui questi abbia avuto formale conoscenza entro la data del perfezionamento della definizione, non essendo necessaria la cosiddetta doppia conoscenza formale (del legale rappresentante e della persona giuridica)” (Cass. 26810/14; 10499/14); b. occorre avere riguardo alla veste di legale rappresentante della società nel momento di proposizione dell’azione penale, a nulla rilevando (anche al fine di evitare facili aggiramenti della disposizione) “l’avvenuto mutamento di tale organo all’epoca di presentazione dell’istanza di condono” (Cass. 10499/14 cit.); c. nemmeno conta la circostanza che il legale rappresentante così individuato, già raggiunto da azione penale al momento della presentazione dell’istanza di condono da parte della società, venga successivamente assolto dall’imputazione, atteso che quest’ultimo evento non incide su un rapporto (quello di condono) già esauritosi con lo spirare del termine perentorio di perfezionamento e versamento del dovuto (Cass.11452/11; 10499/14 cit; 454/15), e – trattandosi di istituto deflattivo avente ad oggetto la chiusura della lite a fronte della certa ed immediata realizzazione del relativo gettito da parte dell’erario – per sua natura incompatibile con i tempi e l’imprevedibilità di eventi processuali diversi e successivi; d. quest’ultima affermazione non ingenera fondati dubbi di legittimità ex art. 3 Cost. “considerato che la scelta discrezionale del legislatore, di configurare quale causa ostativa del condono, in via generale e senza eccezioni, un determinato evento (esercizio dell’azione penale) cristallizzato ad una determinata data, deve ritenersi conforme a canoni di eguaglianza e di razionalità, considerato che l’opposta scelta di attribuire rilevanza ai successivi esiti del processo, avrebbe di fatto impedito di assicurare la definizione del procedimento di condono entro tempi certi e ragionevoli (Cass. 10499/14 cit.).
Non vi sono ragioni per discostarsi da questi principi, non senza osservare come la più volte menzionata sentenza C.Cass. 10499/14 – alla quale interamente ci si richiama – sia stata resa, in termini con la fattispecie qui dedotta, nei confronti della stessa S. spa; sebbene con riguardo a diverso accertamento d’imposta.
Ora, adattando tali regole operative al caso di specie, ha errato la commissione tributaria regionale nel ritenere ammissibile la definizione della vertenza ex art. 15 cit., posto che: – come pacifico in causa, l’azione penale (udienza preliminare fissata il 25.5.01) era stata proposta allorquando la società aveva in S.S. il proprio legale rappresentante ed AU, risultando questi cessato dalla carica, con il subentro di S.A., soltanto l’8.4.03; – in forza di tale rapporto di rappresentanza ed immedesimazione organica, l’avvenuta proposizione di tale azione penale ostava all’accesso al condono da parte della persona giuridica; – la preclusione non poteva venire meno per effetto nè dell’avvenuta presentazione dell’istanza di condono da parte di un diverso legale rappresentante non raggiunto da alcuna imputazione, nè della assoluzione di S.S. dal reato contestatogli, in quanto intervenuta (14.6.05) ben oltre il termine (ancorchè prorogato) di definizione per condono.
Analogamente è a dire per l’avvenuto versamento del dovuto a titolo di condono.
Al di là del problema fattuale della imputazione del versamento di cui alla produzione documentale in atti ad uno, piuttosto che ad altro, avviso di accertamento fatto oggetto di diniego di condono, è dirimente osservare (ma di ciò la stessa commissione tributaria regionale dà conto) come, in tanto il versamento del dovuto implichi perfezionamento della procedura di condono, in quanto sussistano i presupposti legali di accesso alla sanatoria (evenienza che, per le indicate ragioni, doveva invece qui escludersi).
Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata, con decisione nel merito di rigetto del ricorso introduttivo della S. spa.
Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo di legittimità, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo;
compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018