Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27853 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 815-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S. SPA, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato NUNZIO SANTI GIUSEPPE DI PAOLA (avviso postale ex art. 135);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 16/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

RILEVATO IN FATTO

Che:

p. 1. L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 61/31/11 del 16 febbraio 2011, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento per Iva, Irpeg ed Irap 1998 notificato alla S. spa; ciò in esito a PVC elevato nei confronti della società, il 14 luglio 2000, dalla Guardia di Finanza di Catania.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: come già osservato dal primo giudice, la vertenza doveva ritenersi definita a seguito di istanza di condono ex L. n. 289 del 2002, art. 15, così come proposta dalla società contribuente (con versamento della prima rata); diversamente da quanto sostenuto dall’agenzia delle entrate, la definizione in questione non era impedita dall’avvenuta proposizione di azione penale a carico dell’amministratore per reato tributario ex D.Lgs. n. 74 del 2000, dal momento che tale proposizione aveva riguardato non il legale rappresentante che aveva presentato l’istanza di definizione, bensì un precedente amministratore.

Resiste con controricorso la S. spa.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo di causa. Per non avere la commissione tributaria regionale adeguatamente esplicitato le ragioni per cui la sola circostanza che l’istanza di definizione fosse stata presentata da un amministratore indenne da azione penale fosse di per sè tale da escludere la causa ostativa al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15; invece insita nella pendenza di tale azione nei confronti dell’amministratore in carica nelle annualità di imposta dedotte in giudizio.

Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che: – l’azione penale aveva riguardato S.S., vale a dire l’amministratore della società nelle annualità di imposta 1997 e 1998; – tale azione penale era stata formalizzata (con udienza preliminare fissata al 25 maggio 2001) ben prima dell’istanza di condono; – a nulla rilevava che (in data 8.4.03, successivamente alla contestazione del reato) la società si fosse poi dotata di un diverso amministratore ( S.A.) indenne da azioni penali.

p. 2.2 I due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria perchè entrambi incentrati sui presupposti di ammissibilità del condono ex L. n. 289 del 2002, sono fondati nei termini che seguono.

La definizione di lite potenziale ex L. n. 289 del 2002, art. 15 è preclusa ai “soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”.

Questa disposizione è stata più volte esaminata dalla corte di legittimità, che ne ha fissato i parametri applicativi.

In particolare, per quanto qui rileva, si è stabilito che: a. in virtù del rapporto di immedesimazione organica, la preclusione “opera con riguardo alla persona giuridica qualora nei confronti del suo legale rappresentante sia già stata esercitata l’azione penale per gli illeciti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui questi abbia avuto formale conoscenza entro la data del perfezionamento della definizione, non essendo necessaria la cosiddetta doppia conoscenza formale (del legale rappresentante e della persona giuridica)” (Cass. 26810/14; 10499/14); b. occorre avere riguardo alla veste di legale rappresentante della società nel momento di proposizione dell’azione penale, a nulla rilevando (anche al fine di evitare facili aggiramenti della disposizione) “l’avvenuto mutamento di tale organo all’epoca di presentazione dell’istanza di condono” (Cass. 10499/14 cit.); c. nemmeno conta la circostanza che il legale rappresentante così individuato, già raggiunto da azione penale al momento della presentazione dell’istanza di condono da parte della società, venga successivamente assolto dall’imputazione, atteso che quest’ultimo evento non incide su un rapporto (quello di condono) già esauritosi con lo spirare del termine perentorio di perfezionamento e versamento del dovuto (Cass.11452/11; 10499/14 cit; 454/15), e – trattandosi di istituto deflattivo avente ad oggetto la chiusura della lite a fronte della certa ed immediata realizzazione del relativo gettito da parte dell’erario – per sua natura incompatibile con i tempi e l’imprevedibilità di eventi processuali diversi e successivi; d. quest’ultima affermazione non ingenera fondati dubbi di legittimità ex art. 3 Cost. “considerato che la scelta discrezionale del legislatore, di configurare quale causa ostativa del condono, in via generale e senza eccezioni, un determinato evento (esercizio dell’azione penale) cristallizzato ad una determinata data, deve ritenersi conforme a canoni di eguaglianza e di razionalità, considerato che l’opposta scelta di attribuire rilevanza ai successivi esiti del processo, avrebbe di fatto impedito di assicurare la definizione del procedimento di condono entro tempi certi e ragionevoli” (Cass. 10499/14 cit.).

Non vi sono ragioni per discostarsi da questi principi, non senza osservare come la più volte menzionata sentenza C. Cass. 10499/14 – alla quale interamente ci si richiama – sia stata resa, in termini con la fattispecie qui dedotta, nei confronti della stessa S. spa; sebbene con riguardo a diverso accertamento d’imposta.

Ora, adattando tali regole operative al caso di specie (nel quale, diversamente da quanto affermato dalla parte controricorrente, non sussiste alcuna pronuncia definitiva di annullamento del diniego di condono, essendo la sentenza CTR Sicilia n. 300/18/10 ancora sub iudice in quanto gravata per cassazione dall’agenzia delle entrate) ha errato la commissione tributaria regionale nel ritenere ammissibile la definizione della vertenza ex art.15 cit., posto che: – come pacifico in causa, l’azione penale (udienza preliminare fissata il 25.5.01) era stata proposta allorquando la società aveva in S.S. il proprio legale rappresentante ed AU, risultando questi cessato dalla carica, con il subentro di S.A., soltanto 1’8.4.03; – in forza di tale rapporto di rappresentanza ed immedesimazione organica, l’avvenuta proposizione di tale azione penale ostava all’accesso al condono da parte della persona giuridica; – la preclusione non poteva venire meno per effetto nè dell’avvenuta presentazione dell’istanza di condono da parte di un diverso legale rappresentante non raggiunto da alcuna imputazione, nè della assoluzione di S.S. dal reato contestatogli, in quanto intervenuta (14.6.05) ben oltre il termine (ancorchè prorogato) di definizione per condono.

p. 3. Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata, con decisione nel merito di rigetto del ricorso introduttivo della S. spa.

Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo di legittimità, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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