LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Antonio – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14328-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 110/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 04/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
p. 1. L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 110/19/12 del 4 dicembre 2012, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento notificato ad G.A. per Irpef 2004. Avviso di accertamento emesso a seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Vicenza a carico di tal F.I.; soggetto esercente attività abusiva di raccolta del risparmio per conto di una società panamense, e tramite il quale era emerso che il G. avesse, tra il 2002 ed il 2004, effettuato investimenti/disinvestimenti finanziari attestanti il possesso di un maggior reddito (Euro 84.436,37) rispetto al dichiarato (Euro 5.212,00).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: la riferibilità al G. delle operazioni di investimento presso il F. fosse solo supposta, ma non dimostrata; – le attività patrimoniali emerse successivamente all’invio di questionario, ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non fossero tali da giustificare l’accertamento induttivo del reddito, in quanto non significative di maggiore capacità contributiva; – la mancata notificazione del PVC della Guardia di Finanza avesse impedito la conoscenza, da parte del G., del presupposti fattuali dell’accertamento.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dal G..
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Per avere la commissione tributaria regionale inopinatamente basato la decisione sulla mancata produzione in giudizio del PVC elevato dalla Guardia di Finanza a carico del G., senza avvedersi che quest’ultimo documento (pertanto non considerato) era stato invece regolarmente prodotto in giudizio dall’ufficio, in allegato alla comparsa di costituzione in primo grado.
p. 2.2 Il motivo è inammissibile.
Nel dedurre che la commissione tributaria regionale non si sarebbe avveduta della presenza agli atti del giudizio di un determinato documento probatorio (il PVC GdF), la ricorrente descrive un tipico errore sensoriale di percezione (vera e propria “svista”) nel quale il giudice di merito sarebbe incorso nel compulsare le produzioni di causa e, in particolare, uno dei fascicoli di parte.
Così posta, la censura non mira, in altri termini, a far emergere un errore di giudizio o di valutazione, bensì un errore di fatto; ancorchè relativo non ad un elemento della fattispecie materiale ma ad un evento del processo (positiva affermazione di inesistenza agli atti di un documento invece esistente, perchè ritualmente prodotto).
Si verte dunque, nella stessa prospettazione della ricorrente, di un vero e proprio errore revocatorio di fatto; appunto configurabile anche per quanto concerne i fatti di ordine processuale (tra le altre: Cass. 362/10; 12958/11; 17163/15).
Ne consegue che la doglianza andava se mai formulata, in presenza degli altri presupposti di legge, non come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, bensì in sede di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.p., n. 4).
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2000, art. 7. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto che l’avviso di accertamento fosse carente di motivazione per la mancata allegazione del suddetto PVC; nonostante che quest’ultimo fosse riportato in esso per relationem, anche mediante specifica identificazione delle operazioni di investimento/disinvestimento finanziario che il G. aveva posto in essere presso il F..
p. 3.2 Il motivo è fondato.
L’affermazione del giudice regionale è effettivamente erronea là dove evidenzia la carente motivazione dell’avviso di accertamento perchè non contenente, in allegato, il processo verbale di constatazione.
Va premesso, in base alla previsione generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, che l’atto dell’amministrazione finanziaria deve essere motivato alla stregua dei provvedimenti amministrativi, ex L. n. 241 del 1990, art. 3, indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione”. La norma prescrive inoltre che se nella motivazione dell’atto impositivo si fa riferimento ad un altro atto, “questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Il requisito della allegazione dell’atto richiamato deve però reputarsi soddisfatto quando quest’ultimo, ancorchè non materialmente allegato, sia pur tuttavia riportato nello stesso avviso di accertamento; se non nella sua integralità, quantomeno nelle parti da reputarsi essenziali in rapporto alla esatta individuazione della pretesa tributaria specificamente relativa al destinatario. In tale evenienza, la motivazione dell’atto impositivo opera per relationem, risultando comunque tale da soddisfare l’obiettivo sostanziale di porre il contribuente in condizione di percepire – con immediatezza e chiarezza – quei “presupposti di fatto” e quelle “ragioni giuridiche” che devono sempre sottostare all’imposizione.
Tra le molte pronunce di legittimità in tal senso si evidenzia, da ultimo, Cass. ord. 4396/18, la quale ha ribadito la legittimità della motivazione per relationem dell’avviso di accertamento, “purchè, nell’ipotesi di mancata allegazione, nell’atto ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato”.
Ora, da quanto riportato dall’agenzia delle entrate nel ricorso per cassazione (valevole anche al fine di soddisfare i requisiti di specificità ed “autosufficienza” del medesimo), risulta come – nel caso concreto – l’avviso di accertamento opposto contenesse appunto la riproduzione testuale degli stralci del processo verbale di constatazione relativi alla posizione del G.. E ciò mediante specifica descrizione (per data, ammontare, tasso di interesse, destinazione del denaro) sia delle operazioni di investimento e disinvestimento da questi compiute presso l’intermediario nelle annualità di riferimento; sia delle modalità attraverso le quali il F. gestiva, operando tramite una società di diritto panamense, i risparmi affidatigli; sia, ancora, dei criteri che l’ufficio, attraverso l’esame del portafoglio-clienti e delle relative utenze telefoniche, aveva seguito nell’attribuzione delle operazioni così individuate proprio al G., e non ad altri.
In tale situazione, pertanto, non poteva il giudice regionale affermare che la pretesa impositiva si basasse illegittimamente su un processo verbale di constatazione “ignoto”.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (formulazione vigente ratione temporis) e art. 2697 c.c..
Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, a fronte della indicazione di plurimi e certi “fatti indice” (proprietà immobiliare; possesso di due autovetture; coniuge a carico; investimenti esteri pluriennali tramite il F.) significativi di un reddito eccedente di oltre un quinto quello dichiarato (di appena Euro 5.212,00, per l’anno 2004), era onere del contribuente superare la presunzione (legale) così emergente mediante la dimostrazione documentale del fatto che “il reddito determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti, soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero da smobilizzi patrimoniali”.
p. 4.2 Il motivo è fondato.
Si è recentemente ribadito (Cass. ord.13602/18) che: “In tema di accertamento sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), una volta che l’amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti, ovvero da finanziamenti di terzi”.
Nel caso di specie, l’accertamento sintetico era stato dall’amministrazione finanziaria basato, non su uno soltanto, ma su plurimi fatti-indice; in parte risultanti dagli stessi accertamenti della Guardia di Finanza (cospicui investimenti “occulti”, nell’anno di riferimento, presso il F.), ed in parte emergenti dalla risposta dello stesso G. al questionario inviatogli ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4) (proprietà immobiliare; possesso di due autovetture; presenza di un coniuge privo di redditi propri).
La violazione normativa nella quale è incorsa la commissione tributaria regionale è proprio costituita dalla negazione di qualsivoglia rilevanza all’emersione di tali fatti-indice. Là dove questi ultimi dovevano invece ritenersi rilevanti, ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, sia al fine di integrare la presunzione legale di maggior reddito; sia al fine di invertire l’onere della prova, così da porre a carico del contribuente l’onere di dimostrare che l’acquisizione e la disponibilità di tali beni erano state rese possibili in virtù di redditi ulteriori non tassabili.
Per altro verso, la commissione tributaria regionale ha fondato il proprio convincimento sul fatto che tanto l’immobile quanto le due autovetture fossero state acquisite parecchi anni prima dell’accertamento in parola. Questa circostanza, però, non poteva reputarsi di per sè idonea a superare la suddetta presunzione legale legittimante l’accertamento sintetico, trattandosi di verificare come il contribuente potesse, sia possedere e mantenere tali cespiti, sia porre in essere le rilevate operazioni di investimento finanziario, facendo fronte a tutto ciò con un reddito dichiarato di poco superiore ai Euro 400 mensili.
Si è osservato (Cass. ord.7389/18) che “In tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38,comma 6, la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto esenti o soggetti a ritenute alla fonte, ma anche la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso”.
Sicchè è qui del tutto mancata una congrua ed argomentata valutazione del fatto che – a fronte di un accertamento di natura indiziaria legittimamente operato dall’amministrazione finanziaria – il contribuente avesse, o meno, dimostrato “attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esisteva o esisteva in misura inferiore” (tra le altre, Cass. 21142/16).
La commissione tributaria regionale – da un lato – non esplicita le ragioni del proprio convincimento in ordine al superamento della presunzione da parte del contribuente; e – dall’altro – mostra di riferire il possesso delle automobili e dell’immobile ad indici autonomi di maggiore capacità contributiva, là dove si trattava, come detto, di verificare la congruità di “tutti” i fatti indice individuati dall’amministratore finanziaria (certo non ultime le operazioni di investimento del risparmio) in rapporto al “certo reddito” dichiarato (così la commissione tributaria regionale).
p. 5. Segue, in definitiva, l’accoglimento del ricorso (tranne che nel primo motivo).
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla commissione tributaria regionale Lombardia la quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie alla luce dei principi indicati; il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte:
– dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accolti gli altri;
– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018