LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. PERINU Renato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24454/2011 proposto da:
N. ARREDAMENTI S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato ROBERTO FERRI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale estesa a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controresistente –
avverso la sentenza n. 162/10/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 7.7.2010, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18.9.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.
RILEVATO
che:
la società N. Arredamenti s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 87/2/2007 della Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo, che aveva parzialmente accolto il ricorso, proposto dalla società, avverso avviso di accertamento con cui l’Ufficio, con rettifica di maggiori ricavi, aveva determinato induttivamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, maggior reddito imponibile ai fini IRPEG ed ILOR per l’annualità 1996;
la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto… in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 53 Cost.”;
con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio”;
con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza… in relazione all’art. 112 c.p.c.”;
con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio”;
con il quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto… in relazione agli artt. 23 e 53 Cost.”;
l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso deducendo l’infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO
Che:
1.1. deve rilevarsi, in via pregiudiziale, che, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la ricorrente ha dichiarato essere intervenuta – nelle more del presente giudizio – la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 198/7/2010 (allegata alla memoria, con l’attestazione del passaggio in giudicato), con la quale è stato annullato l’avviso di accertamento, emesso, ai fini IRPEG ed ILOR, a carico della medesima N., per l’anno di imposta 1995;
1.2. poichè detto avviso di accertamento avrebbe, secondo la ricorrente, lo stesso contenuto, quanto alla “quantificazione dello sconto praticata basata soltanto sull’esame di sole nove copie commissioni che rappresentano vendite per Lire 27.562.980 a fronte di un volume di cessioni dichiarate nel periodo esaminato – 1995 – per Lire 4.382.076.000 non sia sufficiente a stabilire un ricarico equo”, e dunque sarebbero identiche le “modalità di verifica” sia per l’annualità 1995 che per l’annualità 1996 – oggetto della sentenza, impugnata in questa sede – la ricorrente ha, di conseguenza, eccepito il giudicato esterno, rilevabile d’ufficio anche in cassazione, che – a suo dire – coprirebbe anche l’annualità di imposta in contestazione nel presente giudizio;
1.3. l’eccezione in parola non ha pregio giuridico atteso che la sentenza del Giudice tributario, con la quale si accerta contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta, può fare stato – in coerenza con il principio del divieto di abuso del diritto, che induce ad una impostazione restrittiva in tema di efficacia del giudicato oltre il periodo di imposta che ne costituisce lo specifico oggetto – anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene e qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria, correlati ad un interesse protetto avente il carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni d’imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi (cfr. Cass. n. 18907/2011), come nel presente caso, in cui trattasi di verifica basata su distinte commissioni di vendita relative ai due anni di imposta;
2.1. il terzo motivo di ricorso, che va esaminato preliminarmente, è infondato;
2.2. si lamenta la nullità della sentenza impugnata “per avere i Giudici… pronunciato ultra petita, avendo fondato la propria statuizione sul… “comportamento omissivo della contribuente”… che avrebbe posto in essere un comportamento… di “insufficiente collaborazione”… rilievo… mai… avanzato nè in sede di verifica, nè in sede di accertamento e neppure in sede di giudizio”;
2.3. la CTR, tuttavia, non ha ritenuto legittima la pretesa fiscale sulla base di petitum e causa petendi diversi rispetto a quelli individuati nell’avviso di accertamento, avendo in realtà basato la decisione sulla circostanza che “il controllo di un numero ridotto (nove) di commissioni esaminate in sede di verifica non era sufficiente per stabilire un ricarico equo, tenuto conto di specifico addebito non contestato, ossia che non erano state esibite (dalla contribuente) le distinte di magazzino utilizzate per eseguire la valutazione delle rimanenze”, e l’affermazione della CTR circa un “comportamento omissivo della contribuente” deve ritenersi una mera argomentazione, priva di contenuto decisorio, espressa con termini impropri in merito al fatto che non erano state rinvenute dai verificatori altre commissioni con dati altrettanto certi;
3.1. ritiene poi il Collegio che debba procedersi a trattazione unitaria del primo, secondo e quarto motivo di ricorso, stante la connessione degli stessi, con giudizio complessivo di loro infondatezza;
3.2. con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto la violazione di legge con riguardo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, avendo errato la C.T.R. ove non aveva riconosciuto che l’applicazione al costo del venduto delle percentuali di ricarico utilizzate dall’Ufficio – nella specie, secondo la ricorrente, “percentuale media aritmetica… sulla massa indistinta ed eterogenea dei variegati beni trattati dalla N. Arredamenti srl” – non integrasse presunzione grave, precisa e concordante dell’esistenza di ricavi;
2.3. con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo, avendo omesso la C.T.R. di dar conto della “idoneità della percentuale di sconto praticato, quantificato come media aritmetica sulla base di… nove commissioni… a legittimare l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1”;
3.4. con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo, avendo insufficientemente dato conto la C.T.R. delle “ragioni del prelievo riconosciuto all’Erario, non essendo stato posto a sostegno della stima operata (percentuale di ricarico del 50% sul costo del venduto), alcun elemento, concretamente riferibile alla ricorrente”;
3.5. le censure, così come formulate, pur potendosi considerare pertinenti al decisum in quanto rivolte a contestare uno degli elementi di calcolo utilizzati dalla CTR per la rideterminazione della nuova percentuale media di ricarico applicata a tutti i generi commercializzati dalla contribuente, vanno disattese, posto che, quanto al metodo di calcolo applicato per la determinazione della percentuale di ricarico (media aritmetica, come sostenuto dalla ricorrente; media ponderale, come sostenuto dall’Ufficio), la generica affermazione dell’illegittimità della “media aritmetica semplice”, contenuta nel ricorso, si risolve in una mera asserzione apodittica in quanto priva di riferimenti al caso concreto (non essendo apprezzabile, in mancanza di trascrizione del contenuto dell’avviso o della parte rilevante del verbale di constatazione, quale metodo abbiano effettivamente utilizzato i verbalizzanti per la determinazione della percentuale di ricarico, tanto più in presenza della contraria allegazione della parte resistente che afferma, invece, che è stata applicata “con riferimento alle specifiche tipologie di merci commercializzate ed applicata a ciascuna di esse…(mentre)… la media aritmetica… è stata applicata solo alle cessioni di articoli non classificati nelle varie tipologie”) e, peraltro, difforme dall’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui il criterio della media aritmetica o semplice è inidoneo a rappresentare i maggiori redditi di impresa presunti soltanto nel caso in cui sussista un'”obiettiva disomogeneità” tra i prodotti commercializzati, sia in relazione all’aspetto quantitativo (un tipo di prodotto è venduto in misura assolutamente maggioritaria rispetto ad altri generi pure commercializzati dalla ditta: circostanza che deve emergere dai documenti contabili della impresa dovendo risultare dalle quantità acquistate o dalle rimanenze invendute -), sia in relazione all’aspetto qualitativo (nel caso in cui sussista una notevole sproporzione tra i valori commerciali dei prodotti, e conseguentemente tra i ricarichi praticati sulla vendita, cosicchè l’applicazione della semplice media aritmetica determinerebbe un risultato medio puramente teorico, inidoneo a fornire la prova presuntiva dell’utile non dichiarato effettivamente conseguito dal contribuente), diversamente non potendo in assoluto ritenersi ex se illegittimo il criterio della media aritmetica ai fini della determinazione della percentuale di ricarico da applicare sul quantitativo della merce venduta ai fini dell’accertamento dei maggiori ricavi non dichiarati al Fisco (cfr. Cass. n. 14328/2009; id. n. 6312/2009);
3.6. la contribuente si è, infatti, limitata a protestare l’inadeguatezza del campione in relazione ad un parametro meramente numerico (selezione di 9 commissioni di vendita per Lire 27.562.980 a fronte di cessioni dichiarate nel periodo esaminato per Lire 4.382.076.000) omettendo tuttavia di dare supporto a tale doglianza mediante trascrizione del verbale di constatazione nella parte in cui venivano specificamente censiti i prodotti commercializzati ed i rispettivi ricarichi di vendita – e rappresentando, con puntuale richiamo ai mezzi di prova offerti a supporto delle proprie difese, gli elementi fattuali indicativi della sproporzione delle quantità vendute tra i diversi beni commercializzati dall’impresa (evidenziando la non significatività dei prodotti scelti in relazione al volume di affari), e l’eventuale notevole differenza tra i ricarichi applicati sui beni considerati dai verbalizzanti, rispetto a quelli invece applicati sugli altri beni inventariati;
3.7. ne consegue che nella specie manca del tutto l’indicazione e dimostrazione dell’elemento decisivo, ai fini della fondatezza delle censure, della disomogeneità qualitativa e quantitativa tra i prodotti inseriti nel campione e quelli invece pretermessi (specificamente contestata dalla parte resistente, secondo cui era stata applicata una “percentuale di ricarico medio ponderata”… scaturita dall’esame della quasi totalità delle fatture di acquisto… in confronto con i prezzi riportati sul listino di vendita, al netto di uno sconto medio praticato ai clienti e quantificato nella percentuale del 25,46%”), elemento dal quale soltanto potrebbe inferirsi tanto l’inadeguatezza del campione, quanto l’illogicità del criterio matematico di determinazione della percentuale media di ricarico applicata dall’Amministrazione finanziaria, legittimamente – altrimenti – potendo essere limitata l’individuazione dei prodotti anche ad “un campione significativo, per qualità e quantità, dei beni oggetto dell’attività di impresa, senza necessariamente estendersi alla totalità dei beni” (cfr. Cass. nn. 6086/2009, 8089/1996 in motivazione);
3.8. va inoltre rilevato che, come correttamente evidenziato dalla CTR, l’esame del campione di 9 commissioni risultava dovuto alla mancata esibizione, da parte della contribuente delle distinte di magazzino utilizzate per eseguire la valutazione delle rimanenze, il che priva di fondamento anche le censure della ricorrente su carenze della motivazione circa la “insufficienza delle sole 9 commissioni di vendita poste alla base dell’accertamento”;
4.1. deve ritenersi invece fondato il quinto motivo di ricorso con cui si censura la sentenza impugnata per aver determinato la percentuale di ricarico secondo equità;
4.2. il Giudice tributario non ha, infatti, poteri di equità sostitutiva, dovendo pertanto motivare i propri giudizi estimativi in rapporto al materiale istruttorio (cfr. Cass. nn. 7534/2018, 25707/2015, 4442/2010, 24520/2005, 11354/2001);
4.3. nella specie, la CTR, ha determinato “la percentuale di ricarico sul costo del venduto… in misura equitativa del 50%” ed ha dichiarato “equo e di giustizia ridurre forfettariamente del 50% i maggiori ricavi accertati”, ma ha omesso del tutto di motivare questa rideterminazione quantitativa;
5. il ricorso va quindi accolto con riguardo al quinto motivo, respinti i rimanenti motivi, e la sentenza cassata, con rinvio per nuovo esame e regolamento delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso limitatamente al quinto motivo, respinti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 18 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018