LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16144/2011 R.G. proposto da:
VILLA LETIZIA SRL IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Milia, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara, piazza Alessandrini n. 14;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione n. 5, n. 100/05/10, pronunciata il 9/03/2009, depositata il 12/10/2010;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
Villa Letizia Srl in liquidazione (già Villa Letizia Srl) ricorre, per quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRES, IVA, IRPEG, per l’anno d’imposta 2005, costi per operazioni inesistenti, attinenti al contratto di “service amministrativo” stipulato con la Casa di Cura Villa Letizia Srl – ha rigettato il gravame della contribuente.
Il giudice d’appello ha riconosciuto la regolarità formale della verifica eseguita dalla Guardia di finanza dell’Aquila e dell’avviso di accertamento da essa scaturito e, nel merito, ha individuato una serie di elementi fattuali, rilevanti quali presunzioni gravi, precise e concordanti dell’inesistenza delle prestazioni oggetto del “contratto di service”.
La contribuente ha depositato una memoria ex art. 380 bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso: “A) Violazione e falsa applicazione degli artt. 137,148 e 156 c.p.c.: D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60; in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Si deduce l’errore di diritto della sentenza impugnata che non avrebbe rilevato l’inesistenza dell’avviso di accertamento per l’irregolare apposizione della relata di notifica sulla prima pagina di esso, anzichè sull’ultima.
1.1. Il motivo è infondato.
Innanzitutto, si deve sottolineare che la regolare costituzione in giudizio della società, che ha contestato, analiticamente, il merito dell’accertamento, integra la causa di sanatoria degli atti per il raggiungimento dello scopo a cui sono destinati, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 3.
Con riferimento alla specifica censura sollevata dalla contribuente, poi, va richiamato l’orientamento della Corte, cui s’intende aderire, in base al quale: “(…) la notifica dell’avviso di accertamento, la cui relata sia stata apposta sul frontespizio di quest’ultimo anzichè in calce ad esso, non può dichiararsi nulla qualora non siano oggetto di specifica contestazione la completezza e conformità dell’atto notificato contenente, in ogni foglio, il numero della pagina e l’indicazione del numero complessivo di esse, atteso che, in tale modo, viene garantita all’interessato l’integrità dell’atto notificato, con il conseguente prodursi degli effetti sananti del raggiungimento dello scopo. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23175 del 14/11/2016, Rv. 642020 – 01)”. (Cass. 11/04/2018, n. 8902).
La Commissione regionale ha fatto corretta applicazione di questo principio di diritto escludendo la nullità della notifica dell’atto impositivo, in assenza della specifica contestazione, da parte della contribuente, della completezza ed integrità di esso.
2. Secondo motivo: “B) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600m art. 42, commi 2 e 3; del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 5; della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Si denunciano l’omessa notifica del processo verbale di constatazione (PVC) della Guardia di finanza (GdF) e la mancata allegazione del PVC all’atto di accertamento impugnato.
2.1. Il complesso motivo è, in parte, inammissibile, e, in parte, infondato per le seguenti ragioni.
E’ inammissibile il rilievo riguardante l’omessa notifica del PVC, perchè non proposta nei precedenti gradi del giudizio e, perciò, non vagliata dai giudici di merito.
I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787).
Il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140).
E’ infondato il rilievo – a differenza del precedente, sottoposto al vaglio dei giudici di merito e da questi disatteso – dell’omessa allegazione del PVC.
Al riguardo, la CTR, con apprezzamento di fatto, insindacabilmente demandato al giudice di merito e sottratto al controllo di legalità devoluto a questa Corte, ha respinto l’eccezione della società rilevando che il PVC: “era già pervenuto a conoscenza della società nella persona del suo legale rappresentante che vi aveva apposto la sua sottoscrizione”. (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
3. Terzo motivo: “C) Violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 5, e art. 5, comma 2; motivazione insufficiente ed illogica su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.
Si fa valere che la verifica della GdF presso la società contribuente, iniziata il 5/07/2007, si sia protratta oltre il termine di legge di 30 giorni, mentre la CTR avrebbe erroneamente dichiarato che l’accertamento non superò la durata di 30 giorni.
3.1. Il complesso motivo (articolato nella violazione di legge e nel vizio di motivazione) è infondato.
Vale ancora una volta quanto già osservato in relazione al precedente mezzo (p. 2.1.), ossia la constatazione che la CTR, con accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (vedi infra), ha stabilito che la verifica della GdF, presso i locali della contribuente, ha avuto una durata minore di trenta giorni lavorativi.
La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 5, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta dagli operatori del fisco presso la sede del contribuente, escludendo, quindi, dal computo quei giorni impiegati per verifiche e attività eseguite in altri luoghi (Cass. 21/05/2014, n. 11183).
In ogni caso, è opportuno ricordare che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, ivi stabilito, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, nè l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, poichè nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati. (Cass. 27/01/2017, n. 2055; in senso conforme: Cass. 4/04/2018, n. 8252).
Resta, quindi, assorbito anche il rilievo attinente al vizio di motivazione circa l’effettiva durata della predetta permanenza.
4. Quarto motivo: “D) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.
L’ultimo rilievo critico concerne il vizio dello sviluppo argomentativo della decisione che, secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, avrebbe avallato la correttezza della ricostruzione della vicenda compiuta dall’Amministrazione finanziaria – che, preme ripeterlo, ha qualificato come inesistenti le prestazioni di “service amministrativo” descritte nella fattura emessa dalla Casa di Cura Villa Letizia Srl – trascurando completamente il valore probatorio della documentazione allegata dalla contribuente, a dimostrazione dell’effettività di quegli adempimenti, per altro suffragata dall’archiviazione del procedimento penale, a carico del procuratore generale della società verificata, in virtù della ravvisata effettiva esecuzione del contratto.
4.1. Il motivo è infondato.
Costituisce ius receptum che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente ratione temporis, di: “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” attiene necessariamente a un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass. 29/07/2011, n. 16655).
Ciò premesso, è dato rilevare che l’iter logico-giuridico della sentenza impugnata, seppure vagliato alla luce delle allegazioni (anche documentali) della contribuente, non si presta ad alcuna effettiva e consistente ragione di censura.
Difatti, la CTR, al termine di un complesso, scrupoloso e articolato esame degli elementi salienti della vicenda, ha formulato un giudizio di merito, estraneo al controllo di legittimità, giungendo alla conclusione che le prestazioni di service fatturate dalla Casa di Cura Villa Letizia Sri fossero, in realtà, configurabili come oggettivamente inesistenti.
5. Ne consegue il rigetto del ricorso.
6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018