Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27867 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4595/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

VILLA LETIZIA SRL IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv. Alfredo Iacone, elettivamente domiciliata in Roma, in via Beniamino De Ritis n. 18, presso lo studio dell’avv. Domenico Di Lisa;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione n. 5, n. 43/05/13, pronunciata il 27/03/2012, depositata il 25/06/2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

FATTI DI CAUSA

In seguito alle sentenze della Commissione tributaria provinciale dell’Aquila (hinc: CTP) n. 183/05/2008 e n. 226/03/2008 che, rispettivamente, rigettavano il ricorso di Villa Letizia Srl avverso un avviso d’accertamento (prima sentenza della CTP) e annullavano la conseguente iscrizione a ruolo straordinario della pretesa tributaria, ordinando l’iscrizione a ruolo ordinario (seconda sentenza della CTP), venne notificata alla contribuente una cartella di pagamento del tributo, degli interessi e delle sanzioni, che fu impugnata dalla società.

La CTP, con sentenza n. 138/03/2010, in parziale accoglimento del ricorso, escluse la legittimità della cartella, limitatamente alle sanzioni pecuniarie per Euro 395.033,33, sul presupposto che, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, richiamato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, in pendenza del contenzioso tributario riguardante l’atto impositivo, non sono dovute le sanzioni pecuniarie.

Tale pronuncia, impugnata dall’Agenzia delle entrate, è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo (hinc: CTR) con la sentenza in epigrafe che, in sostanza, ha condiviso il ragionamento del giudice di primo grado, secondo cui, a norma dell’art. 19 cit., in pendenza del giudizio relativo all’impugnazione dell’avviso di accertamento, è illegittima l’iscrizione a ruolo delle sanzioni.

Per la cassazione ha proposto ricorso, con un motivo, l’Agenzia delle entrate, nei confronti di Villa Letizia Srl (ora Villa Letizia Srl in liquidazione), che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Unico motivo del ricorso: “Violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 19 e 24 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.”.

Si denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che avrebbe negato che, dopo la sentenza di primo grado che ha rigettato l’impugnazione dell’avviso di accertamento, recante sanzioni a carico del contribuente, queste ultime possano essere iscritte a ruolo, in virtù degli artt. 68 e 19, sopra citati.

1.1. Il motivo è fondato.

E’ opportuno comporre il quadro normativo di riferimento.

Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, comma 3, prevedeva: “3. Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione.”.

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 29, in vigore dal 1/04/1998, ha abrogato ( comma 1, lett. d) le parole “e le sanzioni pecuniarie”.

Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, nel riordinare tutte le norme in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie, al primo comma dispone che: “In caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario.”.

La generica menzione delle commissioni tributarie, in relazione sia al precedente che all’attuale ordinamento, e l’abrogazione, col D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 37, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2, che regolava la riscossione frazionata secondo il precedente sistema normativo, fanno sì che l’art. 68 cit., sia divenuto la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12/11/2010, n. 22997; 10/06/2011, n. 12791).

Il tema del decidere è regolato dal principio di diritto secondo cui, con riferimento alla riscossione frazionata di sanzioni, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, commi 1 e 2, nella formulazione vigente dal 1/04/1998, a seguito dell’intervento abrogativo del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, riguardante proprio le sanzioni pecuniarie, l’applicazione delle medesime, in caso di esecuzione frazionata, può avvenire anche antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che ad esse si riferisca.

Tale regula iuris, applicabile alla fattispecie concreta in esame, consente la riscossione (frazionata) anche delle sanzioni antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che statuisca su di esse (Cass. 4/12/2013, n. 27201; 11/10/2017, n. 23784).

La CTR, nell’affermare l’antigiuridicità della riscossione delle sanzioni, dopo la sentenza di primo grado dichiarativa della legittimità dell’atto impositivo (presupposto), non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto appena enunciato.

2. L’accoglimento del motivo comporta la cassazione della sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, come stabilito dall’art. 384 c.p.c., comma 2, seconda parte, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

3. Le spese dei due gradi di merito vanno compensate, tra le parti, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna la contribuente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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