LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8875/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
A.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Papa, come da procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Domenico Siciliano, in Roma, Via A. Gramsci, n. 14;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 65/31/2011, depositata il 16 febbraio 2011;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.
RITENUTO IN FATTO
1.A seguito di accesso del ***** l’Agenzia delle entrate notificava a A.P.A. avviso di accertamento in data 27-12-2004, senza attendere il termine di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. In particolare l’Agenzia procedeva, con tale avviso, al recupero del credito di imposta indebitamente utilizzato con riferimento agli anni 2001 e 2002.
2. Il contribuente proponeva ricorso con più ragioni di doglianza: nullità dell’avviso per inesistenza della notificazione; nullità per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non essendo stato rispettato il termine di sessanta giorni tra l’accesso e la notifica dell’avviso di accertamento; difetto di motivazione; assenza di uno specifico riferimento normativo per l’emissione dell’avviso; mancata allegazione del processo verbale di constatazione; violazione L. n. 212 del 2000, art. 3, art. 11 preleggi, L. n. 212 del 2000, artt. 5,6 e 10.
3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente per il mancato rispetto del termine di sessanta giorni tra il momento di redazione del verbale di chiusura delle operazioni di accesso (*****) e la notificazione dell’avviso di accertamento (27-12-2004), non avendo l’ufficio fornito al riguardo alcuna giustificazione della inosservanza del termine, nè della particolare e motivata urgenza ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. La Commissione provinciale riteneva, quindi, che “non sia necessario entrare nel merito delle altre eccezioni”.
4. Nell’atto di appello l’Agenzia deduceva: violazione da parte del primo Giudice della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; infondatezza della doglianza del contribuente per la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3; infondatezza della doglianza del contribuente relativa alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7; infondatezza della doglianza del contribuente relativa alla nullità della notifica ex art. 148 c.p.c..
5. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello della Agenzia delle entrate in quanto “il mancato rispetto del termine in favore del contribuente, previsto dall’art. 12 cit., determina la illegittimità dell’avviso di recupero del credito di imposta da parte dell’Ufficio nè può essere ritenuta valida la giustificazione della particolare urgenza che, in questo caso, non è stata dimostrata. Non si può pertanto, che confermare la sentenza impugnata…”.
5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
6. Resisteva con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, perchè priva di motivazione o con motivazione solo apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza, quando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a base del dispositivo.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “nullità della sentenza per violazione, sotto altro profilo, dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, perchè priva di motivazione o con motivazione solo “per relationern”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4", in quanto la Commissione regionale si è limitata ad aderire acriticamente alla motivazione della sentenza di primo grado impugnata, senza esaminare le censure formulate dalle parti contro tale decisione.
2.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Invero, per giurisprudenza di legittimità, la sentenza motivata per relationem, mediante mera adesione acritica all’atto di impugnazione, senza indicazione nè della tesi in esso sostenuta, nè delle ragioni di condivisione, è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto corredata da motivazione solo apparente (Cass. Civ., sez. 5, 14 ottobre 2015, n. 20648; Cass. Civ., sez. 3, 23 marzo 2017, n. 7402).
Inoltre, per la giurisprudenza di questa Corte ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza quando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure (Cass. Civ., sez. 1, 18 giugno 2018, n. 16057). Si è anche affermato che deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. Civ., sez. 5, 21 settembre 2017, n. 22022; Cass. Civ., sez. 5, 26 giugno 2017, n. 15884). E’, dunque, legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto (Cass. Civ., sez. 3, 2 febbraio 2006, n. 2268).
Nella specie, si è verificata proprio l’ipotesi descritta nell’ultima decisione citata, in quanto la Commissione regionale, sia pure con una stringatissima motivazione, ha però enucleato in modo chiaro il ragionamento seguito per giungere al rigetto dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate.
Infatti, la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, che aveva articolato diverse censure, unicamente con riferimento alla notificazione dell’avviso di accertamento prima del decorso dei sessanta giorni dalla chiusura del verbale di accesso presso la sede dell’impresa, senza indicare alcuna ragione di urgenza, in violazione, quindi, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Le altre censure erano rimaste tutte assorbite.
L’Agenzia delle entrate, in base alla ricostruzione effettuata nel ricorso per cassazione, ha impugnato la decisione di primo grado in quanto la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non prevedeva alcuna sanzione di nullità dell’avviso emesso prima dello scadere del termine dei sessanta giorni, chiarendo, per la prima volta in giudizio, che le ragioni di urgenza consistevano nella possibilità di decadenza dal potere accertativo. Inoltre, l’appellante rilevava l’infondatezza delle altre censure proposte dal contribuente con il ricorso di primo grado (violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3; violazione della L. cit., art. 7; nullità della notifica ex art. 148 c.p.c.).
La Commissione regionale, nella motivazione, pur richiamando la decisione di prime cure, ha, però, da un lato, delineato lo svolgimento dei fatti di causa e le questioni giuridiche sottese, soprattutto in relazione alla questione dirimente della sussistenza o meno della sanzione della illegittimità in caso di avviso di accertamento emesso prima dei sessanta giorni dall’accesso (“Il ricorso presentato dal Sig. A….per avviso di recupero credito d’imposta…previsto per gli investimenti nelle aree svantaggiate dala L. n. n. 388 del 2000, art. 8, indebitamente utilizzato negli anni 2001 e 2002 per mancata trasmissione nei termini del mod. CVS, come da pvc del *****, proponeva… appello l’Ufficio eccependo errata interpretazione dell’art. 12 cit., in quanto nessuna sanzione è stata rilevata, a tal proposito, dal legislatore e, comunque,…i motivi di urgenza riguardano i termini di decadenza dell’accertamento”), e, dall’altro, ha chiarito che il mancato rispetto di tale termine (tale circostanza è pacifica tra le parti) non si sottrae alla declaratoria di illegittimità, ove non sia giustificata da ragioni di urgenza, la cui sussistenza l’Agenzia ha l’onere di dimostrare (” il mancato rispetto del termine in favore del contribuente, previsto dall’art. 12 cit., determina la illegittimità dell’avviso di recupero del credito di imposta da parte dell’Ufficio nè può essere ritenuta valida la giustificazione della particolare urgenza che, in questo caso, non è stata dimostrata. Non si può pertanto, che confermare la sentenza impugnata”).
La Commissione regionale, dunque, ha esaminato in modo critico la doglianza della Agenzia delle entrate, avanzata in appello, evidenziando che la stessa non aveva fornito la “dimostrazione” della sussistenza delle ragioni di particolare e motivata urgenza di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Infatti, l’Agenzia si era limitata ad allegare il pericolo della possibile decadenza della stessa dal potere di accertamento.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto tale norma non prevede la sanzione della illegittimità nel caso in cui l’avviso di accertamento sia notificato prima del decorso dei sessanta giorni dal rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni relative all’accesso espletato presso l’azienda.
3.1. Con altro motivo, indicato dalla ricorrente anch’esso come numero 3 (cfr. pagina 12), ora individuato con il numero 3.1., si deduce “violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il contribuente non ha mai affermato che il minor termine assegnato gli ha impedito di presentare memorie difensive o osservazioni che aveva intenzione di produrre all’ufficio, non essendovi stato, quindi, alcun nocumento al diritto di difesa.
3.2. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Anzitutto, si chiarisce che non è contestato tra le parti che vi sia stato un “accesso” presso l’azienda e che non sia stato rispettato il termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.
Tuttavia, per giurisprudenza di legittimità consolidata, confortata anche da una decisione delle sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (Cass. Civ., Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18184).
Peraltro, si è anche chiarito che l’avviso con il quale l’Ufficio finanziario procede al recupero del credito di imposta, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, non può essere emanato, in assenza di particolari ragioni di urgenza, prima che sia decorso il termine dilatorio di sessanta giorni di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, trattandosi di atto anch’esso impositivo, di accertamento della pretesa tributaria, a cui va, pertanto, estesa la disciplina procedimentale fissata da tale disposizione con specifico riferimento all’avviso di accertamento (Cass. Civ., 17 settembre 2014, n. 19561).
Va anche considerato che, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass. Civ., 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l’amministrazione offrire la come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza, ma, semmai, l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l’attivazione dell’ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l’amministrazione (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come da Cass. Civ., sez. 6-5, 2 luglio 2018, n. 17211).
Peraltro, nella specie, l’avviso di accertamento emesso nel 2004 aveva ad oggetto gli anni 2001 e 2002, sicchè non vi era alcun pericolo di decadenza dell’amministrazione per la notifica dell’accertamento.
Nè la sanzione della illegittimità dell’avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa, non avendo potuto produrre nel ristretto lasso temporale concesso, osservazioni, memorie e documenti. Il termine è infatti stabilito a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi di collaborazione e di buona fede. La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dunque, non prevede, per le verifiche svolte nei locali del contribuente, la c.d. prova di resistenza al fine di rendere operante l’invalidità dell’atto emesso senza il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni. Nè tale interpretazione contrasta con il diritto comunitario, in quanto il maggior grado di tutela previsto a livello interno per i tributi non armonizzati dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per come interpretato dal diritto vivente di questa Corte, si muove in armonia piena con il principio di massimizzazione delle tutele, che consente ad un singolo ordinamento di apprestare livelli di protezione di un diritto fondamentale, quale è sicuramente quello al contraddittorio, più ampi rispetto a quelli garantiti dal sistema Eurounitario per i tributi non armonizzati.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, per omessa pronuncia in relazione al motivo di appello relativo alla “infondatezza della censura avversaria in punto di nullità dell’avviso di recupero per pretesa…violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, in combinato disposto con la L. n. 289 del 2002, art. 62 “, con riferimento all’obbligo di inviare il modello di comunicazione CVS.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” per omessa pronuncia sul motivo di appello articolato dalla Agenzia in ordine alla “infondatezza della censura avversaria in punto di violazione della L. n. 212 del art. 7”, con la affermazione per cui “…..qualora il PV o altri atti procedimentali richiamati nella motivazione siano stati preventivamente notificati o comunicati al contribuente, l’Ufficio non ha l’obbligo di allegare gli stessi”.
6. Con il sesto motivo l’Agenzia deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” per omessa pronuncia sul motivo di appello articolato dalla Agenzia in ordine alla “infondatezza della censura avversaria in punto di nullità della notifica dell’atto impositivio per violazione dell’art. 148 c.p.c.”, con la affermazione per cui “l’atto è stato legittimamente notificato a mezzo del servizio postale come previsto dall’art. 149 c.p.c. e la relata di notifica contiene le indicazioni richieste…in ogni caso, la nullità della notifica…resta sicuramente sanata allorchè l’atto abbia raggiunto il suo scopo”.
7. Tali motivi (quarto, quinto e sesto), che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
Anzitutto, si rileva che la Commissione provinciale non ha esaminato tutti i motivi di ricorso articolati dal contribuente, ma ha accolto il ricorso solo con riferimento al mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla data del rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni sino alla notifica dell’avviso di accertamento. Gli altri motivi, quindi, non sono stati esaminati e risultano assorbiti dall’accoglimento di tale doglianza.
Nel ricorso per cassazione non si chiarisce in alcun modo se, a seguito dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate che deduce l’infondatezza di tali ulteriori censure del contribuente, questi nelle controdeduzioni in appello abbia “riproposto” tutte le ulteriori doglianze rimaste assorbite con la decisione di primo grado. In caso di mancata riproposizione delle domande ed eccezioni “non accolte”, perchè assorbite, le stesse infatti si intendono “rinunciate” ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, analogamente all’art. 346 c.p.c..
I motivi esaminati, quindi, non sono autosufficienti, proprio perchè non consentono di comprendere se le doglianze del contribuente fossero state o meno rinunciate. In caso di rinuncia, infatti, avrebbero perso di rilevanza anche le doglianze di infondatezza delle stesse da parte dell’Agenzia.
Inoltre, i motivi sono inammissibili anche per carenza di interesse della Agenzia delle entrate, in quanto le doglianze erano state formulate dal contribuente, mentre l’Agenzia nell’atto di appello si è limitata alla contestazione delle stesse con proprie argomentazioni. Nessun pregiudizio, dunque, vi può essere per l’Agenzia dal preteso mancato esame delle ulteriori censure mosse dal contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento.
Peraltro, la Commissione regionale, quando ha rigettato il motivo di appello articolato dall’Agenzia in ordine al rispetto del termine dei sessanta giorni sussistendo ragioni di urgenza di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ha rigettato implicitamente la doglianza del contribuente sulla dedotta questione preliminare della inesistenza giuridica della notifica, avendo affrontato il merito della controversia, con difetto di interesse della Agenzia delle entrate ad impugnare una statuizione a essa favorevole.
Allo stesso modo, con riguardo alle doglianze del contribuente sulla mancata allegazione del processo verbale di constatazione e sul mancato invio del modello di comunicazione CVS, la decisione di illegittimità dell’avviso di accertamento, eliminando in radice l’efficacia dello stesso, ha determinato l’assorbimento di tali motivi, rendendo ultronea ogni decisione sugli stessi.
8. Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti, in quanto la questione in ordine alla natura della sanzione applicabile per il mancato rispetto del termine dei sessanta giorni è stata risolta solo con la pronuncia delle Sezioni Unite del 2013.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018