Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27878 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21772/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ITALAPPALTI COSTRUZIONI GENERALI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA AURELIANA 53, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO STRANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO CARRUBBA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 247/2010 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di CATANIA, depositata il 28/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

RILEVATO

che:

p. 1. L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 247/34/10 del 28 giugno 2010, con la quale la commissione tributaria regionale della Sicilia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi due avvisi di recupero del credito (e relativa cartella) conseguenti ad avvenuta revoca parziale dell’agevolazione già ottenuta, L. n. 449 del 1997, ex art. 4, dalla Italappalti Costruzioni Generali spa. Revoca disposta a seguito di un processo verbale dal quale risultava che la società aveva subito, nel triennio *****, una diminuzione del livello occupazionale (rispetto alla data di riferimento del 30 settembre 1997), di nove unità, di cui: – due unità successivamente riassunte, ma non tramite le liste di collocamento e mobilità, nè tra lavoratori già ammessi alla cassa integrazione; – sette unità cessate dal rapporto di lavoro mediante “lettere di passaggio”, non rientranti tra le cause di diminuzione del livello occupazionale non dipendenti dalla volontà del datore.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – la revoca della agevolazione fosse illegittima per le ragioni già indicate dal primo giudice, richiamate per relationem; – ai fini del mantenimento dell’agevolazione, non fosse prescritto che le unità dismesse venissero riassunte mediante obbligatorio ricorso alle liste di collocamento e mobilità (come anche desumibile dalla Circ. Min. Fin. n. 219/E del 18 settembre 1998).

Resiste con controricorso la società contribuente, mentre nessuna attività difensiva è stata posta in essere dall’agente per la riscossione, anch’esso intimato.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – insufficiente motivazione. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di esplicitare le ragioni per cui: dovesse ritenersi sufficiente il ripristino delle unità lavorative cessate, senza assunzione dei nuovi occupati dalle liste di collocamento; – la cessazione del rapporto di lavoro tramite “lettere di passaggio” ad altra azienda non concretasse causa di cessazione del rapporto lavorativo per causa dipendente dal datore.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e L. n. 449 del 1997, art. 4, comma 5. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente disciplinato la fattispecie sulla base di normativa secondaria (circolare ministeriale cit.), e non pertinente al caso.

p. 2.2 I due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria, sono fondati.

L’agevolazione in parola viene riconosciuta, tra il resto, a condizione che (L. n. 449 del 1997, art. 4, comma 5): “a) l’impresa di cui al comma 1, anche di nuova costituzione, realizzi un incremento del numero di dipendenti a tempo pieno e indeterminato. (…)”; e che “c) il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisca riduzioni nel corso del periodo agevolato”.

Ora, è nella specie incontroverso in fatto (la circostanza viene riferita in sentenza, e non trova smentita nelle difese della società contribuente, la quale ha anzi sostenuto la legittimità di tali modalità di riassunzione) che i nuovi assunti non siano stati attinti dalle liste di collocamento o mobilità; e che, inoltre, non si trattasse di lavoratori già ammessi al regime di cassa integrazione.

Ciò depone per l’insussistenza del requisito agevolativo contemplato dalla norma da ultimo citata (lett. e), ed insito nel fatto che: “i nuovi dipendenti siano iscritti nelle liste di collocamento o di mobilità oppure fruiscano della cassa integrazione guadagni nei territori di cui all’obiettivo 1 del regolamento (CEE) n. 2052/88, e successive modificazioni”.

Si tratta di un requisito di portata generale, così da valere non soltanto per l’avvio iniziale del programma di incremento occupazionale ma anche stante l’identità di ratio agevolativa – per il suo mantenimento nel tempo.

Il presupposto del disconoscimento dell’agevolazione in questione sussisteva tuttavia anche con riferimento ai sette lavoratori cessati con “lettera di passaggio”.

Fattispecie in ordine alla quale va qui riaffermato il principio di cui in Cass. 27832/13: “In tema di credito di imposta riconosciuto per l’incremento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, secondo i requisiti e per l’ambito territoriale di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 4, la revoca del beneficio, connessa alla riduzione del livello occupazionale raggiunto, opera in modo obiettivo, cioè anche se tale riduzione sia indipendente dalla volontà del datore di lavoro (ad esempio, per il recesso del lavoratore) e salvo che si verifichi la reintegrazione da parte dell’impresa del precedente livello degli occupati, senza che sulla legittimità dell’atto incida la contraria previsione di cui alla Circolare del Ministero delle Finanze 18 settembre 1998, n. 219/E, emanata ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449 cit., art. 4, comma 6, avendo essa carattere meramente interno e non vincolante per i terzi.”.

Da tale indirizzo, fatto proprio anche da Cass. 23769/13, 8736/13 e 4933/13, si evince – da un lato – la rilevanza oggettiva ed automatica della riduzione occupazionale, indipendentemente dalla imputabilità al datore della causa di cessazione del rapporto, e – dall’altro – l’ininfluenza di quanto diversamente previsto dalla circolare ministeriale citata, trattandosi di fonte meramente interna e non vincolante; come tale inidonea a fondare posizioni di diritto soggettivo in contrasto con la disciplina legislativa o regolamentare di settore.

Tutto ciò osservato, sussistono i presupposti per la cassazione della sentenza impugnata e per la decisione nel merito – discendente da pronuncia in puro diritto – nella presente sede di legittimità ex art. 384 c.p.c.; mediante rigetto dei ricorsi in opposizione (riuniti in corso di causa) introdotti dalla società contribuente.

Stante il sopravvenire in corso di causa dell’orientamento interpretativo di legittimità su riportato, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta i ricorsi introduttivi riuniti della società contribuente;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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