LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18984/2012 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
COGEME SPA, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Ferrajoli e dall’avv. Giuseppe Fischioni, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via della Giuliana n. 32.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione n. 43, n. 70/43/11, pronunciata il 17/05/2011, depositata il 15/06/2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 settembre 2018 dal Consigliere Dr. Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda la verifica fiscale generale iniziata, in data 26/02/2004, dall’Agenzia dell’Entrate nei confronti della COGEME Spa, nel corso della quale, dall’esame delle scritture ausiliarie di magazzino, erano risultate delle discordanze nelle giacenze di magazzino.
La contribuente, informata dagli organi di controllo, durante la prima verifica, delle conseguenze derivanti dal rifiuto d’esibizione dei libri, dei registri, delle scritture e dei documenti, a mente del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52,comma 5, successivamente aveva presentato all’Amministrazione finanziaria un’istanza d’autotutela (con allegata documentazione) spiegando che, in occasione della prima verifica, aveva esibito, per errore, delle stampe incomplete delle giacenze di magazzino, prive dei beni non movimentati nel corso dell’anno.
L’Ufficio accoglieva la richiesta di supplemento di verifica della società, ma anche il secondo accesso si concludeva con esito negativo per la contribuente e non impediva la formulazione di rilievi e la conseguente emissione dell’avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IVA, IRAP, IRPEG, per l’anno d’imposta 2001, costi indeducibili, ricavi non dichiarati, maggiore imponibile IVA.
La contribuente impugnava l’atto impositivo e la Commissione tributaria provinciale di Cremona, con sentenza n. 92/2007, accoglieva la domanda.
Tale pronuncia è stata confermata dalla Commissione regionale della Lombardia (hinc: CTR), con la sentenza in epigrafe, che ha individuato il fulcro del gravame nelle “differenze inventariali” e nell’errore della “società ricorrente nel fornire le schede di magazzino ai verificatori”.
La CTR ha, quindi, rimarcato che la società aveva “fornito i documenti” entro il termine di 60 giorni previsto dalla L. 27 luglio 2000, art. 12, comma 7; infine, ha condiviso la conclusione del giudice di primo grado che aveva escluso la sussistenza delle prospettate discordanze di magazzino.
Per la cassazione ricorre l’Agenzia delle entrate, sulla base di tre motivi, cui la società resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso: “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e L. n. 212 del 2000, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Si denuncia che la sentenza impugnata, nel rilevare che la contribuente aveva prodotto i documenti entro il termine di 60 giorni di cui all’art. 12, comma 7, cit., avrebbe erroneamente interpretato questa norma come se essa costituisse una deroga al precetto dell’art. 52, comma 5, cit., sugli obblighi di esibizione documentale del contribuente sottoposto a verifica fiscale.
1.1. Il motivo è infondato.
In tema di accertamento tributario, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, secondo cui la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso di non possedere i libri, i registri, le scritture e i documenti richiestigli, ne preclude la valutazione a suo favore in sede amministrativa o contenziosa, trova applicazione solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di esibizione da parte del contribuente, non invece ove si fondi sull’effettiva indisponibilità della documentazione per colpa, caso fortuito o forza maggiore, incombendo la prova dei presupposti di fatto per l’applicazione della norma sull’Amministrazione finanziaria. (Cass. 11/08/2016, n. 16960).
Così precisata la corretta chiave ermeneutica del dato normativo, ritiene la Corte di potere escludere che la CTR sia incorsa nell’errore di diritto paventato dall’Ufficio, laddove ha riconosciuto la facoltà della contribuente di produrre, per così dire, in seconda battuta, documenti (nella specie: le schede di magazzino), che essa aveva omesso di esibire durante la prima verifica fiscale.
La società può esercitare tale facoltà sia in sede contenziosa che, come appare ovvio, in sede amministrativa, vale a dire, segnatamente, durante l’arco di tempo di 60 giorni tra la conclusione dell’attività ispettiva e l’emissione, da parte dell’Ufficio, dell’atto impositivo.
L’aspetto problematico della correlazione tra le due norme a confronto – l’art. 52, comma 5 e l’art. 12, comma 7 -, allora, non risiede tanto nell’impossibilità, adombrata dall’Ufficio, di utilizzare il termine dilatorio assegnato al contribuente per osservazioni o richieste, per produrre documenti che non erano stati esibiti durante la verifica, nonostante che egli fosse stato reso edotto dall’Amministrazione finanziaria delle preclusioni, sul piano probatorio, derivanti dal rifiuto d’esibizione dei libri, registri, scritture e documenti.
Il profilo controverso di tale correlazione investe, piuttosto, la valutazione circa la sussistenza o meno dei presupposti (di fatto), enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, da cui dipende il giudizio se l’omessa esibizione documentale, da parte del contribuente, sia espressione del suo consapevole rifiuto di ottemperare alla richiesta d’organo accertatore o, alternativamente, se essa sia il mero effetto dell’indisponibilità, momentanea e incolpevole, della documentazione.
E’ il caso, però, di rimarcare che la soluzione del dilemma, eccentrico rispetto al motivo di ricorso in esame, si sostanzia in un apprezzamento di fatto, insindacabilmente rimesso al giudice di merito.
2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Si fa valere il vizio della sentenza della CTR che, secondo la tesi erariale, si sarebbe semplicemente riportata, in maniera acritica e apodittica, alla motivazione della decisione di primo grado.
3. Terzo motivo: “Omessa o insufficiente motivazione su di un fatto decisivo per la soluzione della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.
L’ultimo rilievo critico concerne il vizio di motivazione della sentenza in ordine al “fatto controverso” rappresentato dalla tempestiva esibizione ai verificatori della documentazione, da parte della contribuente, in quanto, ancora una volta, la CTR si sarebbe limitata a riprodurre, in modo acritico e parziale, il ragionamento del giudice di primo grado, senza esaminare le risultanze istruttorie nè sviluppare un autonomo ed esauriente percorso argomentativo.
3.1. I due motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono infondati.
In disparte la considerazione che, diversamente da quanto ha fatto l’Ufficio, la nullità della sentenza per difetto assoluto dell’apparato argomentativo va sussunta sotto il paradigma legale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anzichè sotto quello del n. 3, dello stesso comma, in ogni caso è opportuno rammentare il granitico orientamento espresso, anche di recente, dalla Corte, cui va data continuità, in base al quale: “In tema di provvedimenti giudiziali, la motivazione “per relationem” ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da nullità la decisione impugnata per avere la stessa omesso ogni riferimento ai fatti di causa ed alle ragioni poste a fondamento della pretesa tributaria).” (Cass. 3/07/2018, n. 17403).
Orbene, nel caso in esame non è corretto affermare che la pronuncia della CTR sia viziata perchè priva dell’apparato argomentativo, o, comunque, per un deficit nello sviluppo motivazionale; essa, infatti, oltre ad avere illustrato, in modo esaustivo, la vicenda processuale, ha spiegato, con chiarezza, le ragioni del proprio convincimento.
In particolare, la ratio decidendi sta in ciò, che la sentenza ha reputato ammissibile la produzione, da parte della contribuente, di documenti idonei ad inficiare il risultato dell’accertamento fiscale (aspetto fattuale, quest’ultimo, che, come suaccennato (p. 1.1.), è estraneo al controllo di legalità della decisione di merito, demandato a questa Corte), entro il termine di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, cit., che la società non aveva prodotto, a causa di un errore, durante la prima verifica generale della sua contabilità.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato.
5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate a pagare alla contribuente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00, a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018