Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27891 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3398-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente-

contro

S.M.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI AZZENA giusta procura speciale estesa a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/08/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SARDEGNA depositata il 9.5.2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26.9.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO IN FATTO

Che:

l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza dianzi indicata, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna aveva accolto l’appello di S.M.P. avverso la sentenza n. 213/03/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Sassari, che aveva respinto il ricorso proposto avverso cartella di pagamento conseguente ad iscrizioni a ruolo ed avvisi di accertamento per gli anni di imposta 1998 e 1999;

l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15”;

il contribuente si è costituito deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che.

1.1. in primo luogo va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente sul presupposto che l’Agenzia delle Entrate avesse fatto riferimento, nel ricorso, a cartella (n. *****) diversa da quella impugnata, oggetto del contendere;

1.2. dall’esame del ricorso emerge, infatti, che l’Agenzia ricorrente ha esattamente indicato, alla pag. 2 del ricorso, la cartella n. *****, oggetto del presente giudizio;

2.1. a seguire, l’Agenzia delle Entrate lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 289 del 2002, art. 15, per non essere invocabile, a differenza di quanto ritenuto dalla C.T.R., l’errore scusabile nell’ipotesi di versamento parziale delle somme dovute per il condono invocato dal contribuente;

2.2. la censura è fondata;

2.3. la disciplina della definizione delle liti tributarie pendenti prevede alla L. n. 289 del 2002, art. 15, commi 1 e 2, quanto segue: “1. Gli avvisi di accertamento per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso, gli inviti al contraddittorio di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 5 e 11, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora intervenuta la definizione, nonchè i processi verbali di constatazione relativamente ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è stato notificato avviso di accertamento ovvero ricevuto invito al contraddittorio, possono essere definiti secondo le modalità previste dal presente articolo, senza applicazione di interessi e sanzioni… 2. La definizione degli avvisi di accertamento e degli inviti al contraddittorio di cui al comma 1, si perfeziona mediante il pagamento, entro il 16 marzo 2003, degli importi che risultano dovuti per effetto dell’applicazione delle percentuali di seguito indicate, con riferimento a ciascuno scaglione: a) 30 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, non superiori a 15.000 Euro; b) 32 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, superiori a 15.000 Euro ma non superiori a 50.000 Euro; c) 35 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, superiori a 50.000 Euro”;

2.4. se ne deduce che è onere della parte provvedere al tempestivo ed integrale pagamento dell’importo dovuto, determinato secondo i criteri di calcolo fissati ex lege e che, in caso di errore, come precisato da questa Corte (cfr. Cass. nn. 18023/2013, 2723/2011), l’amministrazione, solo ove ne riconosca la scusabilità, perchè sussistono condizioni di obiettiva incertezza e di particolare complessità del calcolo, invita la parte alla regolarizzazione del pagamento, atteso che “la scusabilità dell’errore è invocatile se l’esimente si relazioni alla oggettiva difficoltà della conoscenza o interpretazione di una norma, non rilevando invece una mera complessità dei calcoli imposti dalla disciplina, ove l’ausilio di un consulente possa ovviare agli inconvenienti”, mentre nella specie la CTR non risulta aver in alcun modo valutato la sussistenza di tali presupposti;

2.5. è in ogni caso dirimente il principio, altresì affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 5105/2017), secondo cui nell’ordinamento tributario l’errore scusabile, da intendersi quale incertezza normativa oggettiva, costituisce espressione del principio di collaborazione e di buona fede al quale sono improntati i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria ed è riferibile esclusivamente agli istituti sanzionatori, restando, invece, sempre dovuto il tributo, nè potendo essere invocato per giustificare, come nel caso in esame, l’errore sull’importo da versare per potersi avvalere di un istituto clemenziale (nella specie il condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15), quale è configurato dalle norme in questione;

2.6. non rilevando dunque al di fuori dell’applicazione di sanzioni per violazioni tributarie, l’errore scusabile non può essere invocato laddove si tratti non già di siffatta irrogazione, bensì, come nella fattispecie in esame – ove nessuna sanzione risulta irrogata -, di presunto errore circa le somme da versare per la definizione della lite pendente;

2.7. la sentenza impugnata non è pertanto corretta, avendo i Giudici per un verso ritenuto valido il condono, malgrado il versamento insufficiente dell’importo dovuto, ravvisando, da un lato, il presupposto della scusabilità dell’errore, pur non sussistendo applicazione di sanzioni nei confronti del contribuente, e, dall’altro, ritenuto illegittimo il diniego di condono, per mancato integrale versamento nei termini delle somme dovute, sulla base della mancata comunicazione al contribuente, da parte dell’Ufficio, dell’esito della domanda presentata, pur non essendo previsto alcun obbligo in tal senso nè dalla L. n. 289 del 2002, dianzi richiamata, nè dalla L. 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto dei diritti del contribuente) richiamata dalla CTR che si limita, nell’art. 6, comma 2, nel quadro degli obblighi d’informazione a carico dell’Amministrazione, a porre quello d’informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli d’integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, sia pure parziale, di un credito, circostanze che esulano dalla presente fattispecie;

3. per tutto quanto sopra esposto, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2 (ultima parte), derivandone, alla stregua delle considerazioni che precedono, il rigetto dell’originario ricorso proposto dal contribuente;

4. il consolidarsi della giurisprudenza in epoca successiva all’introduzione della lite giustifica la compensazione delle spese processuali relativamente ai gradi di merito e di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Tributaria, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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