Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.27919 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20416-2014 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PROZZO;

– ricorrente –

contro

D.G., rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO DI NANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1672/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2018 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DAMIANO Iuliano, con delega depositata in udienza dell’Avvocato DI NANNI Carlo, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

ESPOSIZIONE DEL FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato D.G., premesso di essere proprietario di un fabbricato urbano sito in *****, riportato in catasto alle particelle nn. ***** del foglio di mappa n. *****, confinante con un lotto di terreno di proprietà di C.T., in corso di edificazione, conveniva in giudizio quest’ultimo dinanzi al Tribunale di Benevento – sezione di Guardia Sanframondi – al fine di sentir disporre l’arretramento dell’erigendo corpo di fabbrica, in quanto esso risultava in violazione delle distanze legali di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

Proponeva altresì ricorso per denuncia di nuova opera, al fine di ottenere la sospensione dell’attività costruttiva per violazione delle norme in materia di distanze nonchè di quelle antisismiche.

Avverso il provvedimento di rigetto di tale ricorso proponeva reclamo che veniva accolto, con conseguente ordine alla controparte di sospensione dei lavori.

Si costituiva in giudizio il convenuto, eccependo che l’attore aveva per primo violato le norme in materia di distanze, costruendo una parete finestrata a distanza di due metri, anzichè cinque, dal confine, come previsto dall’art. 32 del P.R.G. del Comune di Telese Terme.

Il Tribunale di Benevento – sezione di Guardia Sanframondi – accoglieva la domanda dell’attore e condannava il C. all’arretramento della costruzione a 10 metri dal confine, nonchè al risarcimento del danno, quantificato in Euro 5.000,00.

Con distinto atto di citazione il C. conveniva in giudizio D. dinanzi al medesimo tribunale per sentirlo condannare ad arretrare il proprio fabbricato fino a 5 metri dal confine, giusta previsione dell’art. 32 PRG del Comune di Telese, oltre al risarcimento del danno.

Il convenuto, costituitosi resisteva, eccependo l’infondatezza della domanda.

Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il D. all’arretramento, alla distanza di 5 metri dal confine, del proprio fabbricato.

Avverso entrambe le sentenze veniva proposto appello e la Corte d’Appello di Napoli riuniva i giudizi.

Con la sentenza n. 1672/2014 la Corte territoriale rigettava l’appello proposto dal C. ed accoglieva quello proposto da D.G., compensando le spese in misura di 1/4 e per l’effetto condannava il C. ad arretrare il proprio fabbricato alla distanza di dieci metri da quello D., che recava una parete finestrata, mentre rigettava la domanda del C. di arretramento dell’immobile di proprietà del D. ad almeno 5 metri dal confine.

La Corte distrettuale affermava rinderogabilità della disposizione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e la sua prevalenza su eventuali disposizioni difformi previste dagli strumenti urbanistici locali, mentre, con riferimento al fabbricato del D., rilevava che questi in corso di causa aveva eliminato i balconi rendendo cosi la parete del fabbricato frontistante “non finestrata” e che non vi erano ulteriori pareti di detto corpo di fabbrica a distanza dal confine inferiore a 5 metri.

Avverso detta sentenza propone ricorso in cassazione, articolato in sette motivi, C.T..

Resiste con controricorso D.G..

In prossimità dell’odierna udienza tute le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso viene denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 17 e del D.M. n. 1444 del 1968, anche in relazione all’art. 2 bis del T.U. Edilizia introdotto con il D.L. n. 69 del 2013, art. 30 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver la Corte territoriale ritenuto che il D.M. n. 1444 del 1968 si applicasse anche ai privati e che fosse inderogabile.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, in conformità alla giurisprudenza espressa da questa Corte a Sezioni Unite, ha affermato che -in tema di costruzioni, il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1152, art. 41 quinquies (legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica”(Cass. Ss. Uu. n. 14953/2011).

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale principio, riconoscendo che la distanza di 10 metri tra parerti finestrate e pareti di edifici antistanti fosse inderogabile, assoluta e tassativa e si applicasse anche nei rapporti tra privati, con conseguente disapplicazione delle norme previste dai piani regolatori generali, ancorchè successivi.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l’omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sul secondo motivo di appello, con il quale il ricorrente aveva dedotto l’inapplicabilità del D.M. n. 1444 del 1968 ai Comuni colpiti dal sisma.

Con il terzo motivo di gravame si denuncia la violazione della L. n. 219 del 1981, art. 28, degli artt. 34 e 48 del T.U. approvato con D.Lgs. n. 76 del 1990 della L.R. Campania n. 14 del 1982 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la Corte territoriale pronunciato sull’inapplicabilità ai Comuni colpiti dal sisma del D.M. n. 1444 del 1968.

I motivi, che in quanto attinenti la medesima questione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, posto che nel caso di specie la decisione adottata comporta una statuizione implicita di rigetto su tale eccezione (Cass. 29191/2017).

La Corte territoriale ha infatti statuito l’applicabilità assoluta, inderogabile e tassativa del D.M. n. 1444 del 1968 in materia di distanze, in quanto legge di carattere statale, ritenendo che prevalesse su qualsiasi altra norma successiva.

Da ciò discende che la Corte ha implicitamente pronunciato sul punto richiamato nei motivi che precedono, concludendo per l’inapplicabilità della legge speciale in tema di distanze.

Tale statuizione è conforme a diritto.

Gli indirizzi di assetto territoriale previsti dalla L.R. Campania n. 14 del 1982 non possono infatti sostituirsi e derogare alla disposizione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, che, come già evidenziato, fissa, con disposizione tassativa ed inderogabile, la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Tale prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali è prevalente sulle contrastanti previsioni dei regolamenti successivi, compresa la citata legislazione della Regione Campania, ai quali si sostituisce per inserzione automatica (Cass.Ss.Uu.14953/2011). Con il quarto motivo si censura l’erronea applicazione del -principio di prevenzione”, la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., art. 32 e Tavola Sinottica riportata a pagina 73 delle N.T.A. del P.R.G. di Telese Terme; la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile il -principio della prevenzione”.

Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia, pur dovendo rilevarsi l’improprietà del richiamo, in motivazione, al principio di prevenzione.

La Corte territoriale ha infatti affermato che la distanza di dieci metri prescritta in maniera assoluta in relazione a pareti finestrate di cui all’art. 9 è inderogabile, onde a fronte della preesistente costruzione del D., costruita ad una distanza di 2 mt. dal confine, sussisteva l’obbligo, per l’odierno ricorrente, di erigere la propria costruzione, rispettando la distanza suddetta.

E ciò, anche se la costruzione preesistente era stata eretta in violazione della disposizione della normativa locale, che prevedeva non solo l’osservanza di distanze tra costruzioni, ma pure dal confine, distanza che, in relazione alle caratteristiche della parete – se finestrata e di lunghezza superiore a 9 metri – variava da 5 mt a 2 mt.

Il ricorrente avrebbe peraltro potuto pretendere che il primo costruttore eliminasse le pareti finestrate e riducesse la lunghezza della propria costruzione entro i nove metri, o arretrasse la propria costruzione dal confine, ma, considerato il rilievo pubblicistico del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, in assenza della eliminazione delle finestre altrui, non avrebbe potuto in ogni caso costruire a distanza inferiore a dieci metri, ed, in ogni caso, non avrebbe potuto a sua volta erigere a meno di dieci metri -pareti finestrate-.

Tale statuizione, è conforme a diritto, seppure, come già evidenziato, non risulta pertinente il richiamo del -principio di prevenzione”, che non trova applicazione nell’ipotesi, sussistente nel caso di specie, di quei regolamenti che impongono anche un limite minimo tra la costruzione ed il confine.

Con il quinto motivo di ricorso si denuncia l’omessa pronuncia e la violazione dell’art. 32 delle N.T.A del P.R.G. del Comune di Telese Terme in relazione al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per aver la Corte d’Appello ritenuto legittima la riduzione, operata in corso di causa dal controricorrente, della distanza dal confine.

In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto possibile il venir meno della violazione della distanza minima dal confine da parte della resistente, mediante modificazione del proprio manufatto, in assenza di riduzione della distanza tra i fabbricati.

Ad avviso del ricorrente, in difetto della possibilità di ridurre la distanza tra gli edifici, non poteva ridursi neppure la distanza del fabbricato del resistente dal confine.

Con il sesto motivo si denuncia l’omessa pronuncia, nonchè la violazione del principio di legalità, tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi e la violazione dell’art. 14 del T.U. edilizia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la Corte territoriale ritenuto possibile la riduzione della distanza per avere il resistente presentato una “verifica di compatibilità- al Comune.

Con il settimo motivo di ricorso si denuncia l’omessa pronuncia e la violazione del principio tempus regil ucium in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, lamentando che la Corte territoriale, dopo aver rilevato che il resistente aveva effettivamente violato la distanza minima di 5 mt. dal confine, ha però dato atto che questi, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, aveva ridotto la lunghezza della parete ed eliminato le finestre; la corte aveva peraltro omesso di considerare che l’intervento modificativo del resistente andava valutato in relazione alla attuale situazione dei luoghi, e dunque considerando l’intervenuta realizzazione del proprio fabbricato.

I motivi che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La Corte territoriale ha rilevato che l’odierno resistente, in esecuzione del dispositivo della sentenza di primo grado, aveva adeguato il proprio fabbricato si da renderlo conforme alle disposizioni del PRG, riducendo la lunghezza della parete ed eliminando le finestre.

Il giudice di appello non ha invero attribuito efficacia vincolante alla c.d. -verifica di compatibilità-, che è stata unicamente valutata a conferma della corretta esecuzione delle opere, laddove la situazione di fatto, come modificata dal resistente, non è stata specificamente contestata nel ricorso.

Quanto alla censura secondo cui la sentenza impugnata avrebbe dovuto fare riferimento alla mutata situazione di fatto, ed in particolare alla già eretta costruzione del C., la censura è infondata.

La Corte territoriale ha infatti correttamente rilevato che la violazione dell’ obbligo di distanza dal confine, previsto dall’art. 32 NTA del Prg del Comune di Telese da parte del proprietario del fondo limitrofo, dava la facoltà all’odierno ricorrente di esigere da costui il rispetto della distanza suddetta, ma non gli consentiva di erigere la propria costruzione a distanza inferiore a 10 mt., in violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 cit., che ha natura inderogabile.

La Corte ha altresi accertato che, a seguito dell’esecuzione, da parte del resistente, di modifiche alla struttura del proprio fabbricato, era venuta meno la violazione originaria, sì che la costruzione era conforme alle disposizioni del PRG.

Costituisce indiretta conferma della intervenuta regolarizzazione della costruzione, anche in relazione alla normativa vigente, la c.d. -verifica di compatibilità”, quale risulta dall’espletata ctu.

Il venir meno dell’illecito, a seguito dell’intervento di adeguamento del proprio fabbricato posto in essere dal resistente, in esecuzione della sentenza di primo grado, se fa cessare la materia del contendere in relazione a tale violazione, non comporta peraltro automaticamente il venir meno della diversa violazione a carico del ricorrente e fondata, non già sulla inosservanza delle disposizioni (in materia di distanze dal confine) stabilite dal PRG, ma sulla violazione della disposizione inderogabile prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, in materia di distanze tra pareti finestrate (seppure presenti anche in uno solo dei fabbricati). Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese, che liquida in complessivi 3.700,00, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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