LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1947/2015 proposto da:
COMUNE di SAN FERDINANDO DI PUGLIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato PIETRO DI BENEDETTO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ENTE ASSISTENZIALE EDUCATIVO “MADRE DI DIO”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato RENATO MACRO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE MURGESE, GIOVANNI FRANZESE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1164/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;
lette le considerazioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
l’Ente Assistenziale Madre di Dio, con atto di citazione, notificato in data 1.03.2004, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Trinitapoli, il Comune di S. Ferdinando di Puglia per sentir dichiarare acquisita, per usucapione, la proprietà degli immobili siti in *****, da essa posseduti da oltre vent’anni, facenti parte del complesso immobiliare detto *****, censiti in catasto al fg. *****, p.lle ***** con ordine di trascrizione della sentenza nei RRII di Foggia e condanna alle spese in caso di opposizione. Deduceva l’Ente Assistenziale di avere la propria sede e di operare da oltre cinquant’anni presso il suddetto complesso immobiliare, composto da piano interrato, piano terra e primo piano oltre lastrico solare; di avere svolto attività di orfanotrofio e scuola materna; di aver chiesto al Comune l’autorizzazione amministrativa ad attivare un centro residenziale per anziani, ottenendo l’attestazione di agibilità nel 2003; di aver posseduto pacificamente ed ininterrottamente l’immobile eseguendovi lavori ed ampliamenti a proprie spese, previo ottenimento dei permessi amministrativi dal Comune, ivi compresa la costruzione del primo piano superiore, nel 1972, con autorizzazione amministrativa del 14.01.1972 e certificazione di agibilità del 30.05.1992; di aver eseguito a proprie spese tutti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, di non aver corrisposto alcunchè al Comune che mai aveva chiesto conto di nulla all’Ente.
Si costituiva il Comune di S. Ferdinando, contestando la domanda, di cui chiedeva il rigetto, ed eccependo che il complesso immobiliare era stato concesso in mera custodia alle Suore Missionarie dell’ente cui non era mai stato trasferito alcun potere di fatto, posto che il Comune aveva adibito parte del complesso prima a scuola e poi a un Centro di Riabilitazione Motoria.
In corso di giudizio si costituiva, ad adiuvandum, A.V., sostenendo di aver usucapito una parte del complesso immobiliare e, specificamente quello relativo alle p.lle ***** del fg. ***** e che, pertanto, l’Ente Assistenziale aveva rappresentato nella domanda una situazione diversa da quella reale; si associava, quindi, alla richiesta di rigetto della domanda di parte attrice, ma in seguito si disinteressava del giudizio e non precisava le conclusioni.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 87 del 2011, rigettava la domanda dell’Ente Assistenziale, condannava lo stesso alla rifusione delle spese nei confronti del Comune di S. Ferdinando di Puglia e dichiarava compensate le spese fra L’Ente e l’Altamura. Riteneva il Tribunale che, poichè il rapporto dell’Ente attore con la res doveva configurarsi come “custodia” così come si evinceva dall’atto del 1953, l’Ente medesimo avrebbe dovuto provare l’interversio possessionis e che questa fosse nota al Comune proprietario e tale prova era mancata. Viceversa, il Comune aveva provato di avere, invece, posto in essere atti con cui inequivocabilmente aveva esercitato il possesso sul complesso immobiliare, assegnandone una parte a prima ad alcune scuole e, infine, al Centro di Riabilitazione Motoria “Padre Pio”. Escludeva, altresì, il giudicante che l’usucapione potesse limitarsi alla sola parte detenuta dalle suore, stante il carattere omogeneo del complesso, così come rilevato dal CTU.
Avverso questa sentenza interponeva appello l’Ente Assistenziale “Madre di Dio” censurandola con più motivi, e chiedendone il rigetto, con vittoria di spese del doppio grado.
Si costituiva il Comune di S. Ferdinando di Puglia, resistendo all’appello di cui chiedeva il rigetto, vinte le spese.
La Corte di Appello di Bari con sentenza n. 1164del 2014 accoglieva l’appello, ritenendo che l’Ente Assistenziale aveva realizzato nel tempo una complessa attività nella quasi totalità non contestata dall’appellato, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà e, dunque, aveva posto in essere una interversio possessionis. Dalla interversio possessionis, sempre a dire della Corte distrettuale, erano trascorsi oltre vent’anni di possesso pubblico ed indisturbato utile ad usucapire.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dal Comune di San Ferdinando di Puglia con ricorso affidato a due motivi. L’Ente Assistenziale ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo di ricorso il Comune di San Ferdinando di Puglia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140,1141 e 2697 c.c.. Erroneità della sentenza per illogicità ed inadeguatezza della motivazione. Omesso ed insufficiente esame della questione riguardante l’assenza delle condizioni dell’interversio possessionis. Contraddittorietà della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che le opere di demolizione e ricostruzione parziale dell’immobile avessero integrato gli estremi di una interversio possessionis, non tenendo conto che per la trasformazione della detenzione in possesso occorreva un mutamento del titolo che non può avere luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario possessore. Così come la Corte distrettuale avrebbe errato, sempre secondo il ricorrente nel considerare sufficiente alla interversio possessione il fatto che l’Ente Assistenza avesse pagato l’imposta di consumo e l’Ente veniva indicato come proprietario perchè non avrebbe tenuto conto che l’intestazione di una bolletta non può determinare un mutamento del titolo giustificativo della detenzione del bene.
1.1 – Il motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, l’art. 1141 c.c., non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l’intervento di “una causa proveniente da un terzo”, per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell’atto medesimo (compresa l’ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente), oppure l’opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l’intenzione di tenere la cosa come propria, con correlata sostituzione al precedente “animus detinendi” dell'”animus rem sibi habendi”. Tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e, quindi, tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Cass. 15-3-2010 n. 6237; Cass. 29-12009 n. 2392; Cass. 1-7-2004 n. 12007; Cass. 17-4-2002 n. 5487; 12-5-1999 n. 4701; Cass. 29-10-1999 n. 12149).
1.2. – Nel caso in esame, la Corte di Appello, ha disatteso questi principi. Intanto (la Corte distrettuale) non ha tenuto conto che il protrarsi, anche a lungo, del godimento del bene, nonostante la scadenza del termine di durata del rapporto contrattuale attributivo della detenzione stessa, l’inerzia del proprietario nel richiedere la restituzione della cosa, la mera esternazione – fatta a persone diverse dal possessore – del considerarsi proprietario del bene, sono circostanze inidonee, tanto ad escludere l’operatività della norma dell’art. 1141 c.c., comma 2 (in base alla quale, come già si è detto, chi ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso, finchè il titolo non sia mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore), quanto a configurare un’opposizione al possessore.
1.3. – La Corte distrettuale, a sua volta, ha erroneamente riconosciuto valenza di atto di interversione all’attività di edificazione posta in essere dall’Ente sull’immobile di cui è causa, non tenendo conto che l’attività di cui si dice, era stata autorizzata e concessa dal Comune di San Ferdinando di Puglia, cioè, dal proprietario del bene di cui si dice.
L’interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di sole attività materiali, se esse manifestano in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sè il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (Cass. n. 5419 del 2011; Cass. n. 1296 del 2010). Non par dubbio, pertanto, che, in via generale ed astratta, l’edificazione di un fabbricato su un terreno ricevuto in detenzione possa manifestare la volontà di comportarsi come proprietario, costituendo l’estrinsecazione di una facoltà tipica del diritto dominicale. Tuttavia, perchè l’attività edificatoria possa valere come atto di interversio è necessario che sia attività autonoma e autonomamente decisa dal detentore e non risulti sia stata autorizzata dal proprietario, neppure, in modo tacito. Come ha già detto questa Corte in altra occasione “(…) la costruzione di un organismo edilizio nuovo, realizzato dal detentore di un terreno su propria iniziativa, senza il consenso, quanto meno tacito, dei proprietari, i soli legittimati al compimento di attività edificatorie sul fondo, costituisce un comportamento suscettibile di manifestare pretese dominicali sul bene, trascendenti i limiti della detenzione, sia pur qualificata, incompatibili con il possesso del titolare del diritto reale, come tali idonee ad integrare gli estremi di un atto d’interversione ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2 (Cass. 19-12-2011 n. 27521; Cass. n. 1296 del 2010; Cass. 31-5-2006 n. 12968).
1.4. – Nè può assurgere a prova dell’asserita interversione, la circostanza che, nella ricevuta di pagamento dell’imposta di consumo rilasciata dal soggetto concessionario del servizio di riscossione l’Ente veniva indicato come proprietario dovendo considerare che ai sensi del TUFL n. 1175 del 1931 tenuto al pagamento dell’imposta di consumo (sui materiali di costruzioni) è il soggetto che utilizza i materiali e, comunque, che l’interversio non può essere considerata la conseguenza di una intestazione e/o del pagamento di una qualunque bolletta.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Motivazione contraddittoria. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nel ritenere che l’Ente Assistenziale avesse mutato il titolo del possesso avrebbe reso una motivazione contraddittoria in quanto attribuirebbe al Comune l’onere della prova del diritto di proprietà, omettendo di considerare che era l’Ente appellante a dover dimostrare l’esistenza dei presupposti per l’invocata usucapione. E di più, la Corte avrebbe, sempre secondo il ricorrente, omesso di tener conto che il Comune aveva esercitato le sue prerogative domenicali, destinando l’immobile (parte di esso) a scuola ed anche a centro per la riabilitazione motoria (Ente Padre Pio) senza alcuna opposizione o contestazione da parte dell’Ente.
2.1. – Il motivo è fondato dovendo considerare che era l’Ente appellante a dover dimostrare l’esistenza dei presupposti per l’usucapione. Il Comune ha esercitato le proprie prerogative domenicali destinando l’immobile (parte di esso) a scuola e anche a centro per la riabilitazione motoria, senza alcuna opposizione o contestazione da parte dell’Ente detentore.
Come ha avuto modo di affermare questa Corte in altra occasione (Cass. n. 14593 del 2011): la presunzione del possesso in colui che esercita un potere di fatto, a norma dell’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario d’apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore. In tal caso, per la trasformazione della detenzione in possesso occorre un mutamento del titolo che non può aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario-possessore, quale, ad esempio, l’arbitrario rifiuto della restituzione del bene; non sono, pertanto, sufficienti atti corrispondenti all’esercizio del possesso, che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.
In definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Bari in altra composizione, la quale provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bari in altra composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 20 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018