LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
D.S.E.L.E. e P.L.I., nati in *****, rispettivamente il *****, domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli avvocati Enrico Varali (avvenricovarali-pec.it) e Beatrice Rigotti (avvbeatricerigotti-puntopec.it);
– ricorrente –
nei confronti di:
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege e indica per il ricevimento degli atti il fax 06/96514000 e la p.e.c. ags m2.mailcert.avvocaturastato.it;
– controricorrente –
E nei confronti di:
Sindaco, pro tempore, del Comune di Verona quale ufficiale di stato civile;
avverso la sentenza n. 536/2014 della Corte di appello di Venezia, emessa il 18 novembre 2013 e depositata il 4 marzo 2014, nella causa iscritta al n. 2218/2012 R.G.; sentita la relazione in camera di consiglio del Cons. Dr. Giacinto Bisogni.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 29 maggio – 16 luglio 2012 ha respinto la domanda, proposta con ricorso ex art. 702 bis del 23 dicembre 2011, di riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza italiana proposta congiuntamente da D.S.E.L.E. e dal figlio P.L.I..
2. I ricorrenti avevano esposto di essere discendenti del cittadino italiano L.L.N., nato a *****, trisavolo della ricorrente, emigrato in Brasile alla fine del 19^ secolo insieme alla moglie G.L.. Nel 1893 era nato il figlio dei coniugi L.- G., L.A. e quindi la discendenza era proseguita con la nascita del nonno della ricorrente, L.F.L. e da questi, nel 1952, di L.A.A., padre della ricorrente, che l’aveva riconosciuta nel 2002 quando ella aveva già 31 anni.
3. Ha rilevato il Tribunale che per la madre manca il presupposto della iscrizione nelle liste della popolazione residente nel Comune di Verona anteriore di un trimestre rispetto alla domanda e che per entrambi i richiedenti si sono verificate due interruzioni di continuità della discendenza legittimante: difetto di un valido riconoscimento come figlio legittimo dell’avo comune L.F.L.; difetto di tempestiva elezione, da parte della richiedente, della cittadinanza determinata dalla filiazione, entro un anno dal riconoscimento quale figlia legittima di L.A.A..
4. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 536/2014, ha confermato l’ordinanza del Tribunale rilevando che la elezione di cittadinanza deve essere espressamente dichiarata, nelle forme della L. n. 91 del 1992, art. 23, e trascritta nei registri di cittadinanza, con annotazione a margine riconoscimento da parte dell’avo di cittadinanza italiana. La Corte territoriale ha basato tale affermazione sul dato testuale della L. n. 91 del 1992, art. 2 e sulla considerazione per cui la stessa elezione di cittadinanza implica il consenso al riconoscimento da parte del richiedente. La Corte di appello ha inoltre rilevato che non è stata fornita la prova del mantenimento, e quindi della trasmissione, della cittadinanza italiana da parte degli ascendenti della sig.ra D.S.E.L.E. e del figlio P.L.I..
In particolare, ha rilevato la Corte territoriale che, dopo l’entrata in vigore della L. n. 555 del 1912, la perdita della cittadinanza è determinata dall’acquisto di una cittadinanza straniera e dalla fissazione della residenza all’estero o dalla rinuncia alla cittadinanza italiana da parte di chi abbia acquistato, senza concorso di volontà propria, una cittadinanza straniera e abbia stabilito o stabilisca la sua residenza all’estero.
5. Ricorrono per cassazione D.S.E.L.E. e P.L.I. deducendo: a) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2 – falsa applicazione di norma di diritto; sul termine a quo ex L. n. 91 del 1992, art. 2, comma 2, in combinato disposto con l’art. 250 c.c., comma 2 per il caso di riconoscimento di figlio naturale; b) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione dell’art. 112 c.p.c..
6. Il Ministero dell’Interno propone controricorso.
Rilevato che:
7. Con il primo motivo di ricorso si contesta che il termine annuale per l’elezione di cittadinanza decorra dal riconoscimento dello status di figlio naturale, nella fattispecie avvenuto nel 2002. Si deve ritenere invece secondo i ricorrenti che l’atto di riconoscimento non potrà avere efficacia in Italia se non con l’assenso del figlio ultrasedicenne in base a quanto previsto dall’art. 250 c.c., comma 2. Il consenso del figlio costituisce pertanto un elemento costitutivo dell’efficacia del riconoscimento (Cass. civ. n. 14/2003) cosicchè è da tale momento che va fatto decorrere il termine annuale.
8. Con il secondo motivo i ricorrenti rilevano che la considerazione della Corte circa la mancanza di una prova certa della trasmissione della cittadinanza italiana da parte degli avi dei richiedenti, è stata effettuata senza che sul punto vi fossero state contestazioni fra le parti e senza che la stessa avesse costituito motivo di impugnazione.
Ritenuto che:
9. Il ricorso è infondato. Il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio ne determina la cittadinanza secondo le norme della L. n. 91 del 1992 che all’art. 1 prevede che è cittadino italiano per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Mentre se il figlio (nel caso in esame di discendente italiano da cittadino italiano emigrato all’estero) riconosciuto o dichiarato è maggiorenne conserva il proprio stato di cittadinanza ma può dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale della filiazione ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione. Tale dichiarazione di elezione può essere resa sia in Italia presso il comune di residenza, sia all’estero presso il Consolato italiano territorialmente competente.
10. Nella specie è pacifico che il riconoscimento da parte del padre della ricorrente sia avvenuto nel 2002 e quindi l’elezione della cittadinanza italiana è avvenuta tardivamente perchè come riconosciuto dai ricorrenti D.S.E.L.E. si è recata in Italia per avviare la procedura diretta al riconoscimento della cittadinanza nel 2009 mentre il figlio P.L.I. ha presentato al Comune di Verona richiesta di iscrizione anagrafica agli stessi fini il 17 novembre 2011. Appare pertanto non conferente al caso in esame il richiamo dei ricorrenti alla necessità della dichiarazione di efficacia in Italia del riconoscimento della filiazione.
11. Per ciò che concerne specificamente il secondo motivo di ricorso va rilevato che la Corte di appello ha deciso la causa sulla questione, che ha ritenuto rilevante e assorbente, della verifica del rispetto del termine annuale per l’elezione di cittadinanza. Pertanto ha ritenuto assorbiti gli altri motivi di gravame. Tale statuizione non può che essere confermata anche in questo giudizio se pure non può non ritenersi fondata la difesa dell’amministrazione controricorrente secondo cui “la Corte locale, trattandosi di decidere su diritti fondamentali dell’individuo, quale lo status civitatis, ben può valutare ex officio la sussistenza del possesso di tutti i requisiti perchè possa essere ottenuta la cittadinanza italiana, anche qualora alcuni elementi possano non aver fatto parte delle allegazioni di parte”. In ogni caso sia la questione della tempestività della dichiarazione di elezione della cittadinanza sia quella della continuità della trasmissione della cittadinanza hanno costituito oggetto del giudizio sin dal suo inizio.
12. Il ricorso va pertanto respinto. La Corte ritiene, in relazione all’oggetto della controversia, alla qualità soggettiva delle parti, alla scarsità dei precedenti giurisprudenziali, che ricorrono i presupposti per compensare le spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018