Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27928 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 708/2013 proposto da:

Curatela del Fallimento di Z.G., in persona del curatore dott. B.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via Umberto Boccioni n. 4, presso lo studio dell’avvocato Smiroldo Antonio, rappresentata e difesa dall’avvocato Rascio Sabino, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.L.M.M., A.C., A.D., nella qualità di eredi di A.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via A. Bertoloni n. 41, presso lo studio dell’avvocato Guancioli Giuseppe, rappresentati e difesi dall’avvocato Carrano Pasquale, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3009/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/09/2012;

letta la memoria di parte ricorrente ex art. 380 bis1 c.p.c.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2018 dal cons. VELLA PAOLA.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Napoli ha accolto l’appello proposto da A.A. e, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli, ha rigettato la domanda di simulazione dell’atto di compravendita del 23/05/1996 con cui Z.G. gli aveva venduto un immobile sito in Napoli proposta dal Fallimento di Z.G. in via principale rispetto alla domanda subordinata di revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1).

2. La Corte distrettuale, muovendo dal rilievo che l’acquirente aveva fornito le prove dell’effettivo pagamento del prezzo addirittura per un importo maggiore rispetto a quello formalmente pattuito nell’atto pubblico – ha escluso la sussistenza di un accordo simulatorio tra le parti (sebbene il venditore Z. fosse stato lasciato nella disponibilità dell’appartamento, asseritamente in virtù di un contratto verbale, con pagamento dei canoni in contanti) ed anche la sproporzione tra corrispettivo e valore commerciale del bene, “configurata soltanto come uno degli elementi diretti a dimostrare – insieme ad altri – la simulazione della compravendita immobiliare”. Ha quindi ritenuto di non poter prendere in esame la domanda subordinata di revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, in quanto non espressamente riproposta dall’appellato, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

3. Avverso detta sentenza la Curatela del Fallimento di Z.G. ha proposto ricorso affidato a sei motivi, cui gli eredi di A.A. hanno resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1350,1414,1415,1417,2697,2722,2729 e 2704 c.c.”.

2. Con il secondo mezzo si lamenta la “nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2”.

3. Con il terzo motivo si deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nella formulazione successiva alle modifiche apportate dal D.I. n. 83 del 2012 convertito dalla L. n. 134 del 2012)”.

4. Il quarto mezzo prospetta invece la “omessa, insufficiente o contradittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nella formulazione previgente rispetto alle modifiche apportate dal D.I. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012)”.

5. Con il quinto motivo si lamenta la “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, ed agli artt. 112,342 e 346 c.p.c.”.

6. Il sesto mezzo riguarda infine la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, ed agli artt. 112,342 e 346 c.p.c.”.

7. I motivi proposti – che parte ricorrente ha raggruppato, illustrando congiuntamente i primi quattro ed i restanti due presentano profili sia di inammissibilità che di infondatezza.

8. In generale, nei due gruppi di motivi vengono prospettati cumulativamente e confusamente mezzi di impugnazione eterogenei (errores in procedendo, errores in iudicando e vizi motivazionali), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; n. 5964 del 2015; nn. 26018 e 22404 del 2014).

8.1. Vi è anche una ragione specifica di inammissibilità del quarto motivo che, oltre a prospettare in modo incongruo “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” – non potendosi predicare l’assenza di ciò che si critica quanto ad estensione e contenuto (cfr. Cass. nn. 13336 e 6690 del 2016) – segue erroneamente il previgente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonostante si tratti di sentenza pubblicata successivamente all’11 settembre 2012 e quindi soggetta al nuovo modello di censura motivazionale vigente (Cass. n. 19761 e n. 19040 del 2016).

8.2. Inoltre, il primo gruppo di motivi, ed in particolare il primo, benchè formulato come censura in diritto, veicola una lunga serie di contestazioni in fatto (nel senso che, tra l’altro: i) non vi sarebbe prova che il venditore abbia incassato i primi quattro assegni corrispondenti all’acconto per il quale Z. aveva rilasciato quietanza, peraltro privi di data certa anteriore al fallimento; ii) l’importo degli assegni sarebbe inferiore di circa due milioni di lire alla somma quietanzata; iii) nell’atto notarile di compravendita il venditore aveva dichiarato di aver ricevuto il pagamento in contanti;

iv) il possesso da parte dell’ A. delle ventinove cambiali emesse lo stesso giorno della stipula dell’atto di compravendita non dimostrerebbe l’avvenuto pagamento, ma sarebbe anzi del tutto coerente con la simulazione dell’atto; v) la tesi della simulazione sarebbe avvalorata dal fatto che l’acquirente aveva pagato la quota residua del mutuo gravante sull’immobile con notevole ritardo, solo dopo il pignoramento; vi) gli ulteriori assegni circolari emessi da A. ed incassati da Z. non costituirebbero prova della simulazione del prezzo della compravendita) che integrano sostanzialmente censure di merito, attinenti alla valutazione del materiale probatorio; e ciò in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione rappresenta un rimedio impugnatorio a critica vincolata e cognizione determinata dall’ambito dei vizi dedotti, non già uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plurimis, Cass. Sez. U. sent. n. 7931 del 2013; conf. Cass. nn. 14233 e 959 del 2015; nn. 26860 e 12264 del 2014).

8.3. Si è al riguardo precisato che le doglianze attinenti non tanto all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, quanto all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (ex multis, Cass. n. 26110 del 2015 e n. 13238 del 2017). Di conseguenza questa Corte ha più volte chiarito: a) che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), può rivestire la forma della violazione di legge – intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato – e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero nella deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione (Cass. 26 settembre 2005, n. 18782); b) che non integra nè violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) che il discrimine tra la violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) e l’erronea applicazione della legge, in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura – diversamente dalla prima – è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. U., 05/05/2006, n. 10313; Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 30/12/2015, n. 26110; Cass. 04/04/2013, n. 8315; Cass. 16/07/2010, n. 16698; Cass. 26/03/2010, n. 7394).

8.4. Del tutto infondato è invece il secondo motivo, non ravvisandosi nella motivazione della sentenza impugnata i denunziati “errori di logica giuridica” che si tradurrebbero nel radicale vizio di nullità denunziato da parte ricorrente. Invero, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali”, con la precisazione che “tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 e n. 9032 del 20140 cfr. Cass. n. 20112 del 2009). Ebbene, nel caso di specie il sostrato motivazionale della decisione non solo esiste effettivamente ma supera ampiamente la soglia del cd. “minimo costituzionale”, essendo del tutto intellegibile e coerente.

8.5. Anche il terzo motivo è infondato, in quanto dei fatti allegati a pag. 25 – 26 del ricorso dei quali si lamenta l’omesso esame, (sostanzialmente, l’essere rimasto lo Z. nella disponibilità dell’appartamento, apparentemente a titolo gratuito), i giudici d’appello hanno in realtà tenuto conto (v. pag. 5), pur dando preminenza ad altre circostanze ritenute maggiormente rilevanti e quindi decisive. Al riguardo, per consolidato orientamento di questa Corte sono inammissibili in sede di legittimità le censure volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass., n. 19547/2017; cfr., ex plurimis, Cass. Sez. U. n. 7931/2013; Cass. nn. 962/2015 e 26860/2014).

8.6. Parimenti infondati sono, infine, il quinto ed il sesto motivo, con i quali si contesta l’omessa delibazione della domanda di revocatoria L. Fall., ex art. 67.

8.7. In realtà, la Corte distrettuale ha espressamente rilevato che nelle conclusioni della comparsa di risposta dell’11/01/2007 il Fallimento appellato si era limitato a chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del Tribunale, senza fare “alcun cenno all’originaria domanda subordinata di revocatoria fallimentare”, per dedurne conseguentemente l’impossibilità di esaminare detta domanda, in quanto non riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c., “neanche per il caso di accoglimento dell’appello sulla domanda di simulazione”.

8.8. Tale statuizione del giudice a quo è in linea con l’insegnamento di questa Corte, per cui “l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione” (Sez. 2, 14/04/2015 n. 7457, Rv. 635000 – 01; cfr. Sez. U. 12/05/2017, n. 11799).

8.9. Con specifico riferimento all’ipotesi di domande subordinate proposte in primo grado e ritenute assorbite dall’accoglimento della domanda principale, è stato precisato che tale riproposizione “può ritenersi rituale ai sensi dell’art. 346 c.p.c., solo se la relativa domanda sia proposta con chiarezza e precisione sufficienti a renderla inequivocamente intellegibile per la controparte ed il giudicante” (Sez. 2, 14/12/2005, n. 27570, Rv. 585774 – 01), o comunque “con un richiamo esplicito in qualsiasi scritto… entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, pena l’effetto di tacita rinuncia sancito dall’art. 346 c.p.c.” (Sez. 3, 19/07/2005 n. 15223, Rv. 582973 – 01). Tali presupposti non appaiono sussistenti nel caso di specie, poichè a pag. 36 dello stesso ricorso si legge che, in sede di appello, la curatela appellata aveva dichiarato “inutile prima ancora che inammissibile” ogni riferimento ai “requisiti di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1” per la ragione che, “con l’accoglimento della domanda principale, quella subordinata è stata – naturalmente – dichiarata assorbita per cui ogni argomentazione intesa a sostenere l’infondatezza della stessa è chiaramente priva di ogni giuridico fondamento”.

9. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

10. Trattandosi di ricorso notificato anteriormente al 30 gennaio 2013, non sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore del controricorrente in Euro 5.600,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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